La comunità scientifica non ha compreso la sentenza con cui il tribunale di Milano riconosce nel vaccino esavalente Infarix Hexa Sk una concausa dell’insorgere dell’autismo in un bambino di 9 anni e la conseguente ingiunzione al Ministero della Salute di risarcirlo con un indennizzo vita natural durante, cosi come si trova messa in scacco dall’ondata di allarmi conseguente alle presunte morti da vaccino influenzale che riempiono le pagine dei giornali in queste ore, e che fa pensare a una sorta di contagio mediatico più che all'effetto avverso di un farmaco.
Molti ricercatori non hanno compreso quella sentenza per una serie di motivi. Il primo dei quali è che non esiste in tutta la letteratura scientifica internazionale una sola prova che ci sia una qualche correlazione tra la somministrazione di un vaccino e l’insorgere dell’autismo. Anche perché, come hanno spiegato su Scienzainrete Antonio Persico e Maria Luisa Scattoni, l’autismo non è una malattia specifica ma la manifestazione di quadro complesso di condizioni definite dai disturbi dello spettro autistico.
L’associazione tra vaccini e disturbi dello spettro
autistico nasce nel 1998, quando un chirurgo inglese, Andrew Wakefield,
pubblica su un’accreditata rivista medica, The
Lancet, un articolo (The Lancet, Volume 351, Issue
9103, Pages 637 - 641, 28 February 1998) in
cui sostiene che la somministrazione di MPR (il vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia) può provocare autismo
e anche malattie intestinali.
Dopo questo articolo nessun ricercatore al mondo è
riuscito a trovare la correlazione denunciata da Wakefield. Anzi sono sorti
forti dubbi sul modo in cui il medico aveva ottenuto i suoi dati. In breve, nel
2010 The Lancet ha ritirato
l’articolo originario dichiarando che era basato su dichiarazioni disoneste.
Nello stesso anno Wakefield è stato radiato dal Medical Register del Regno
Unito e non può più praticare la professione medica. Nel 2011 un’altra rivista
autorevole, il British Medical Journal,
ha definito la ricerca di Wakefield una frode elaborata.
Ma, al di là delle vicende dell’ex medico inglese, ciò
che conta è che nella letteratura scientifica internazionale non esiste alcuna
prova documentata che correli la somministrazione di un vaccino all’autismo (o
meglio, ai disturbi dello spettro autistico).
Sorge spontanea, pertanto, la domanda: su che base i
magistrati di Milano hanno emanato la loro sentenza? E, alla luce di quando è
successo di recente con la vicenda Stamina e meno di recente con la vicenda Di
Bella, su che base i magistrati italiani pronunciano con una certa frequenza sentenze
in materia di salute e di ricerca che stridono fortemente con le conoscenze
scientifiche?
Molti puntano l’indice contro “l’invadenza della
magistratura”, o meglio, contro una certa tendenza di molti magistrati italiani
a invadere il campo della scienza. Quando questa tendenza si combina con una
mancanza di cultura scientifica avviene il cortocircuito e i magistrati
pronunciano sentenze in materia di salute o di ambiente o d’altro senza
fondamento scientifico. Di qui la doppia proposta: da un lato contenere
l’invadenza facendo in modo che i magistrati attingano necessariamente al
meglio delle conoscenze scientifiche; dall’altra lavorare per aumentare la
cultura scientifica dei magistrati.
Nessun dubbio che una stretta (e vincolante) collaborazione tra magistratura e
comunità scientifica sia necessaria e che una crescita della cultura
scientifica di chi si pronuncia in nome del popolo italiano sia auspicabile.
Ma se gli auspici e le proposte si fermano a questo, si
rischia di concentrarsi sul dito che la indica e di perdere di vista la luna
alla quale dobbiamo guardare. E la luna è la “latitanza della politica”. O
meglio, il mancato intervento del legislatore.
Il caso Di Bella, con il pesante intervento di qualche pretore, risale a venti anni fa. La vicenda risultò incomprensibile alla comunità scientifica, nazionale e non. Ma ebbe almeno un merito: rese evidente a tutti che non è più possibile, se mai lo è stato, lasciare che a sbrogliare i nodi al confine tra scienza e società sia il libero convincimento del singolo magistrato o del singolo funzionario ministeriale. La complessità del rapporto tra scienza e società rende necessaria la compartecipazione al più alto livello possibile della comunità scientifica, secondo modalità regolate per legge. Altrimenti i rischi sociali sono altissimi.
Prendiamo a esempio ciò che sta avvenendo in queste ore con il vaccino antiinfluenzale Fluad, sospettato di essere concausa della morte di oltre una decina di persone. Di fronte a un medesimo allarme – il rischio, non ancora provato, che alcuni lotti del vaccino antinfluenzale possa avere tragici effetti collaterali – le regioni italiane stanno andando in ordine sparso. In una regione il vaccino viene somministrato, in un’altra viene ritirato e in un’altra ancora è l’intero programma di vaccinazione viene bloccato. Tutti vanno in ordine sparso. In questo modo si alimenta una psicosi che sta portando molte persone a rinunciare alla vaccinazione. Ma noi sappiamo che le complicanze dell’influenza determinano ogni anno la morte evitabile di centinaia, se non di migliaia di italiani. O, detta in altri termini, se la campagna di vaccinazione fallisce a causa di un allarme che si rivelasse infondato o mal gestito, sarebbero moltissimi gli italiani che andrebbero incontro a una morte evitabile.
Chi si assume questa responsabilità? O meglio, una
responsabilità così grande, può essere lasciata al caso e al convincimento del
singolo presidente di una regione? Non sarebbe necessario un piano nazionale
che, in caso di allarme sanitario e/o ambientale, in maniera automatica e
vincolante preveda l’intervento anche della comunità scientifica? E non
dovrebbe essere il Legislatore a definire i termini di questa necessaria
compartecipazione?
Dopo la vicenda Di Bella ci sono state altri casi che
hanno lasciato perplesso il mondo della ricerca. L’ormai annoso ma non risolto
caso Stamina. Il caso dell’Aquila. Ora la sentenza sull’associazione tra
vaccini e autismo. E tuttavia manca ancora una legge quadro che regoli i
rapporti tra diritto e ricerca lungo i confini sempre più estesi tra scienza e
società.
In tutti questi anni il Parlamento nazionale non è intervenuto. Ma in
assenza di un sistema chiaro di regole che assegni precise responsabilità è
inevitabile che tutti – magistrati, amministratori, mass media, singoli
cittadini – procedano in ordine sparso. Esponendo il paese ai venti della
demagogia e tutti i cittadini a rischi altissimi. La latitanza della politica è ormai insostenibile.