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Il governo democratico della società della conoscenza

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Un “Senato della conoscenza”. L’idea lanciata da Armando Massarenti e fatta propria da Elena Cattaneo è accattivante. Potrebbe essere la mossa del cavallo. Un paese che da sessant’anni persegue un modello di sviluppo economico (e sociale e civile) “senza conoscenza” che si dota, primo al mondo, di una Camera Alta che si fonda sulla conoscenza. Sarebbe un segnale forte.
L’annuncio, prima ancora che di un cambiamento istituzionale, di un cambiamento nel mondo di pensare.
Una svolta a 180 gradi nella nostra provinciale visione del mondo. Non va affatto sottovalutato il messaggio che porterebbe con sé la sostituzione dell’attuale Senato, sostanziale doppione della Camera, in un “Senato della conoscenza”.
Tuttavia la proposta ha dei limiti, molti dei quali acutamente sottolineati da Giovanni Boniolo.
Per questo merita di essere ulteriormente discussa. Due aspetti sono particolarmente critici.
Uno riguarda i messaggi – gli altri messaggi – che la proposta, essendo forte, si trascina dietro. L’altro riguarda il contenuto: come si attrezza la democrazia rappresentativa – il Parlamento, nella sua più alta espressione – nell’era della conoscenza.
La costituzione di un “Senato della conoscenza” formato da persone esperte – oltre, lo ripetiamo, al messaggio forte di un paese che intende cambiare il suo modello di sviluppo economico, sociale e civile – dovrebbe risolvere alcuni problemi niente affatto banali: nominato da chi? E sulla base di quali criteri? Ma, soprattutto, si porterebbe dietro un altro messaggio non meno forte, di carattere elitario. Apparirebbe come la riproposizione in salsa moderna del “governo dei filosofi” di Platone.

Solo una classe ristretta di persone, dotate di razionalità e saggezza, può governare una società altrimenti preda del caos e della demagogia. Il problema sollevato da Platone è più che mai attuale. E assolutamente generale.
Vale per l’Italia come per il mondo intero. Viviamo, ormai, nella società della società della conoscenza. In cui molti dei problemi che la polis è chiamata ad affrontare hanno un carattere tecnico e scientifico.
La rivoluzione della conoscenza è stata così veloce – pochi decenni – che la politica non è riuscita sempre a tenerle dietro. Senza un riparo istituzionale – senza nuove agorà – la società democratica della conoscenza è esposta ai venti della demagogia.
Per tutti, due esempi che riempiono le pagine dei nostri giornali.
La sperimentazione animale: con la Camera dei Deputati che approva una legge giudicata estremamente restrittiva da parte della comunità scientifica. E gruppi – certo minoritari, ma non sufficientemente emarginati – di animalisti che nel nome dell’amore per gli animali non umani minacciano, persino di morte, animali umani particolarmente esperti.
Il caso Stamina. Con persone che senza la minima base scientifica e la minima trasparenza propongono una terapia per malati in gravi condizioni che trovano ascolto non solo tra i media, ma anche nei tribunali della Repubblica.
In entrambi i casi la saggezza e la razionalità vagheggiata da Platone sono andate completamente smarrite.
E la demagogia domina in maniera troppo poco contrastata. La domanda a questo punto è: il “Senato della conoscenza” è il (o almeno un) rimedio contro il caos e il conflitto di una società democratica ma acerba della conoscenza? Platone ha sperimentato direttamente che il governo dei filosofi è di difficile attuazione. 
È una scorciatoia che si rivela quasi sempre un vicolo cieco. In una società democratica della conoscenza occorre operare, attraverso un lento processo educativo, a elevare il tasso di razionalità e di saggezza (che implica anche la capacità di provare emozioni e portare avanti ideali) di tutti i cittadini. È una via molto stretta e scivolosa. Ma non ha alternative. Non in una democrazia, almeno. È anche questa, come quella dei Platone, una repubblica utopica? Certo, nessuno ha delle ricette di validità universale per la paideia dell’intera società. Ma alcuni – per esempio molti paesi a noi vicini del centro e del nord Europa – hanno esperienze significative di partecipazione democratica alle scelte tecniche e scientifiche. In Svizzera, grazie a forme ancora sperimentali ma efficaci di compartecipazione ex ante degli stakeholders, di coloro che hanno una posta in gioco, si sta scavando in tutta tranquillità un tunnel di quasi 60 chilometri sotto il Gottardo per il passaggio dei treni ad alta velocità. In Val di Susa, senza la ricerca di una partecipazione ex ante della popolazione locale, lo scavo di un tunnel di quasi 60 chilometri per il passaggio di treni ad alta velocità è diventato un problema di ordine pubblico. Di caos e di conflitto, appunto.

La proposta di un “Senato della conoscenza” non intende certo affrontare il problema della educazione per la costruzione di una matura società democratica della conoscenza. Ma potrebbe rallentarne la costruzione, alimentando l’illusione che basta il “governo di pochi”, purché saggi e razionali. Un secondo punto critico, riguarda i contenuti. Cosa dovrebbe fare il “Senato della conoscenza”? Nelle intenzioni dei proponenti, dovrebbe proporre soluzioni ai problemi della società italiana sulla base della saggezza e della razionalità. Mobilitando le migliori menti ed esperienze. Ma, a ben vedere, questo è il compito di ogni Parlamento, compresa l’attuale Camera e Senato della Repubblica. Un consesso di trecento persone, o giù di lì, per quanto tutte di altissimo livello non conterrebbe certo al suo interno tutta l’esperienza e la capacità scientifica per affrontare i mille problemi complessi di un paese. Questa esperienza e questa capacità scientifica, peraltro, risiede già nelle università, negli Enti pubblici di ricerca, nelle accademie e associazioni scientifiche. E allora, non sarebbe meglio che la Camera e il Senato della Repubblica si attrezzassero per esprimere in maniera efficace ed efficiente le loro competenze di democrazia rappresentativa, instaurando un rapporto sistematico e chiaro con le università, gli Enti pubblici di ricerca, le accademie e le associazioni scientifiche che già esistono? Gli esempi, fuori dai nostri confini, non mancano.
Negli Stati Uniti sia la Camera dei rappresentanti sia il Senato fanno ricorso in maniera sistematica alle agenzie scientifiche, come la National Science Foundation o il National Institute of Health.
In Gran Bretagna, il Parlamento si rivolge in maniera sistematica alla Royal Society e il governo fa propri i pareri della HFEA, la Human Fertilisation and Embryology Authority che, da parte sua, sperimenta significative forme di partecipazione democratica alle scelte anche di carattere bioetico.

In definitiva, ecco una modesta controproposta. Elena Cattaneo organizzi un altro incontro al Senato tra senatori e ricercatori, ponendo all’ordine del giorno come l’intero Parlamento italiano – quello attuale e quello futuro, riformato – può organizzare un dialogo sistematico e organico, nel pieno rispetto della differenza dei ruoli, con università, Enti pubblici di ricerca, accademie e associazioni scientifiche. Un dialogo che abbia come scopo non solo di fondare le decisioni del Legislatore su basi scientifiche molto solide, ma anche di creare un ponte tra democrazia rappresentativa e democrazia deliberativa per il governo democratico della società della conoscenza.   

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