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Mare da salvare

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Lo scorso 21 aprile l'Italia ha raggiunto il “fish dependence day”. Ciò significa che abbiamo già consumato più pesce di quello che siamo in grado di produrre nell'arco di un anno e che a partire da questa data abbiamo cominciato a dipendere dalle importazioni da altri mari. Il dato è contenuto nel rapporto Fish dependence – 2012 Update, pubblicato dalla New Economics Foundation (NEF) e da Ocean2012, che analizza il problema su scala europea. Per l'Europa nel suo complesso il fish dependence day sarà il 6 luglio. In altre parole, nei mari che bagnano il continente viene pescato poco più del 50% necessario a coprire la domanda del mercato europeo. Per il resto dobbiamo rivolgerci altrove, spesso dall'altra parte del pianeta, ricorrendo a metodi di pesca industriali che stanno mettendo a repentaglio la sostenibilità di questa preziosa risorsa. Ancor più significativo è il trend registrato nell'ultimo decennio, che ha visto anticipare il momento fatidico di quasi un mese: dal 4 agosto del 2000 al 6 luglio attuale. Anni di gestione poco accorta della pesca e di sovrasfruttamento dei mari hanno ridotto all'osso gli stock ittici e la biocapacità delle nostre acque. Di contro, il consumo, dal 1961 a oggi, è andato costantemente aumentando, con punte del 108% in Italia, del 217% in Irlanda e del 304% a Cipro. Tanto che l'Europa rappresenta il principale mercato di importazione del pesce, per un valore di 44,7 miliardi di dollari, ovvero il 42% delle importazioni globali.

Un modello insostenibile, non soltanto a livello continentale, ma su scala planetaria. La domanda sul mercato che arriva dall'Europa sta infatti intaccando le riserve di pesce anche al di fuori dei suoi confini, minacciando la produttività di ecosistemi marini in regioni povere del mondo, come l'Africa sub-sahariana e il sud-est dell'Asia, in cui la pesca rappresenta l'unica fonte di reddito e sostentamento per molte comunità costiere.

Secondo il rapporto della Fao The State of World Fisheries and Aquaculture 2010, dalla metà degli anni 1970 al 2008 le riserve di pesce sottoutilizzate o moderatamente utilizzate sono scese dal 40% al 15%, mentre quelle sovrasfruttate, esaurite o in fase di “convalescenza” sono salite dal 10% al 32%.Tra le specie più a rischio c'è il tonno: il 60% circa degli stock è al limite di utilizzo, mentre il 35% è sovrasfruttato o esaurito. Anche l'incremento dell'acquacoltura – passata da una produzione di 0,7 kg pro capite nel 1970 a 7,8 kg nel 2008 – contribuisce ad aggravare il bilancio degli oceani. Quando a essere allevate sono specie carnivore è infatti necessario attingere agli stock ittici selvatici come mangime, con un rapporto spesso svantaggioso tra tonnellate pescate e prodotte.

Il Parlamento Europeo discute la riforma sulla Politica Comune della Pesca

Il problema, riconosciuto anche dalla Commissione Europea, è che il mare viene sfruttato troppo intensamente, impedendo alle risorse ittiche di rinnovarsi. Livelli di pesca non sostenibile, che hanno portato allo spopolamento dei mari europei, ora ci obbligano a far affidamento sul pesce importato.

“L’Unione Europea ha una delle più grandi e ricche superfici di pesca del mondo” dichiara Aniol Esteban, rappresentante di Ocean2012 e Nef. “Ma non siamo riusciti a gestire in modo responsabile questa grande ricchezza: così per soddisfare la nostra voglia di pesce stiamo via via esportando la pesca eccessiva e il sovrasfruttamento delle risorse ittiche in altre parti del mondo”. La questione va oltre all’evidente emergenza di carattere ambientale. “La pesca eccessiva rappresenta un danno per l’economia” continua Esteban. “Stiamo perdendo ogni anno milioni di euro e migliaia di posti di lavoro continuando a permettere che la pesca eccessiva persista.”

La Commissione Europea non è indifferente alla questione: attualmente è in discussione la riforma della Politica Comune della Pesca, presentata durante l’estate scorsa al Parlamento Europeo. La proposta si basa su alcuni punti fondamentali:  

  • Il divieto di rigetto: circa il 23% del pescato viene rigettato in mare. La CE si propone di intervenire in questo punto con un piano strutturato in più fasi, secondo un calendario e con un sostegno finanziario. Dal 2013 tutto il pescato dovrà essere portato a terra per evitare una pratica considerata generatrice di sprechi.
  • Una spinta alla regionalizzazione, per garantire che le regole siano adattate alle specificità di ciascuna zona di pesca e marittima.
  • Il raggiungimento del rendimento massimo sostenibile (Maximum Sustainable Yield, MSY): che indica la quantità massima di pesce che si può catturare in un periodo indefinito di tempo senza danneggiare lo stock. Una politica che la CE ritiene necessaria alla luce dei dati che vedono il 75% degli stock ittici dell'UE soggetto a sfruttamento eccessivo, rispetto a una media mondiale del 25%.
  • le concessioni di pesca trasferibili, considerate uno strumento utile per gli armatori per programmare le attività di pesca seguendo gli sviluppi del mercato, effettuare lo sbarco di tutte le catture e pianificare gli investimenti. In vari Stati membri il sistema delle concessioni di pesca trasferibili ha contribuito a razionalizzare la flotta. In Danimarca è stato introdotto nel 2003 per la flotta pelagica, che da allora è diminuita del 50% senza perdere la propria capacità di pesca.

Non tutti però sono d’accordo con le soluzioni proposte. Secondo il WWF la riforma è poco ambiziosa e rischia di mantenere la situazione così com’è. L’associazione ritiene che alcuni problemi fondamentali vengano affrontati in maniera carente: l’overcapacity, per esempio, cioè la presenza in mare di troppe barche per troppo pochi pesci. Inoltre si discute sulla regolamentazione della pesca europea in ambito internazionale: oltre il 60% del pesce consumato in Europa non proviene dai nostri mari, ma per il WWF le politiche proposte dalla Commissione Europea rimangono troppo vaghe. Secondo Marco Costantini, responsabile del Programma Mare per il WWF Italia, “la riforma deve essere drastica e risolutiva.” E aggiunge: “Se l’Europa voterà per lo status quo, non riusciremo a salvare i nostri mari, i pesci, né il settore della pesca. Il nostro obiettivo è raggiungere le 500.000 firme entro settembre per dimostrare ai membri del Parlamento Europeo che i cittadini tengono a una pesca sostenibile e li ritengono responsabili della sua realizzazione.”

Followfish.de: l’esperienza sostenibile

 "Addio, e grazie per tutto il pesce." Mentre Douglas Adams scriveva il quarto libro della divertente Guida galattica per gli autostoppisti, il pesce stava iniziando a finire veramente. Chi l'avrebbe mai detto? Come mostrato nel documetario The end of the line di Rupert Murray (2009), dopo il 2050 non ci sarà più nulla negli oceani se l'uomo continuerà a pescare in modo sconsiderato e intensivo. Il film denuncia i metodi neocolonialisti che i paesi occidentali utilizzano nei mari africani, ribadendo la necessità di una gestione più equilibrata ed etica delle risorse ittiche. 

Mangiare pesce in maniera sostenibile è in realtà già possibile, almeno in Germania. Il movimento Followfish, fondato nel 2007 dalla ditta Fish&More e appoggiato  dal WWF Deutschland, si distingue, infatti, quanto a trasparenza e sostenibilità. Sul lato delle confezioni dell'azienda di Friedrichshafen (Bodensee) c'è un codice di tracciabilità, che si può digitare in ogni momento sul sito web followfish.de. In pochi secondi si ottengono tutte le informazioni sull'origine, i metodi di cattura, le norme di lavorazione e il trasporto del pesce. Tutti i prodotti sono naturali, senza aggiunta di additivi. Il team di Followfish è oggi composto da circa 20 dipendenti e può contare su una rete di pescatori in tutto il mondo. Per esempio in Vietnam, per la produzione biologica dei gamberetti, oppure in Irlanda, per quella delle cozze. Come nelle Maldive, dove i lavoratori utilizzano solo le canne da pesca per evitare lo sfruttamento eccessivo dei mari. L'obiettivo è ovunque lo stesso: offrire prodotti ittici pescati o allevati in maniera sostenibile da lavoratori i cui diritti siano pienamente garantiti, in Europa come nel resto del mondo.

Inoltre, i clienti di Followfish di solito non sono "acquirenti occasionali", ma per lo più persone che vivono la sostenibilità in maniera attiva e pienamente consapevole. Il coinvolgimento e l'impegno di ognuno di noi può, in effetti, contribuire a salvare il mondo, non solo quello della pesca. Il motto di Followfish è "Enjoy fish but save seas". Alcuni video, in tedesco e inglese, spiegano con chiarezza la filosofia della ditta tedesca. Pochi giorni fa, il 6 maggio 2012, il video "Guter Fang" ha vinto il Deutschen CSR-Preis per il miglior video che descrive l'impegno di un'azienda tedesca a favore della sostenibilità.

Il video, realizzato dalla filiale di Amburgo dell'azienda Lagas Delaney, riesce a spiegare con poche parole, ma in modo efficace e provocatorio, qual è la differenza tra un tonno catturato in modo convenzionale rispetto a quello pescato da Followfish. http://youtu.be/ntSXUlrDaO4

(Followfish è anche su Twitter e Facebook)

Gli Omega3 dagli scarti alimentari

Negli ultimi 20 anni si è sentito molto parlare dell'Omega3 proveniente dai pesci. Questa sostanza pompata dal marketing della cosmesi, si è reinventata molte volte tanto che ad essa sono state associate quasi tutte le proprietà benefiche possibili.

Quindi dalle creme all'Omega3 per non invecchiare mai fino ai medicinali salvavita. Allo stato attuale digitando “Omega 3” nel più grande motore di ricerca medico mondiale (www.pubmed.com) vi appaiono almeno un paio di ricerche nuove la settimana. La cosa interessante è che riguardano gli ambiti di studio più disparati ma hanno, a ben vedere, un comune denominatore: analizzano sempre e comunque campioni di pazienti femminili. Gli esperti di marketing chiamerebbero questo riposizionamento di mercato: dalla cosmetica alla fitocosmetica (le pillole della bellezza) ai farmaci.

Ma cos'è l'Omega3? E' un acido grasso presente nelle membrane cellulari e che comporta il mantenimento della loro integrità. L'uomo, come tante altre sostanze (ad esempio la Vitamina C), non può sintetizzarlo quindi deve acquisirlo attraverso l'alimentazione. Qui entrano in gioco i pesci: sono la miglior fonte di Omega3 soprattutto se estratti in olio.
Nel Grafico 1 vediamo che la produzione di oli di pesce copre il 17% della domanda di pesce nel mondo.

Grafico 1: distribuzione del mercato mondiale della pesca

Tuttavia, non tutti i pesci contengono la stessa quantità di Omega3: i preferibili sono le acciughe e i maccarelli (Grafico 2). Molti altri pesci vengono pescati per questo mercato ma i loro oli vengono considerati di seconda scelta.

Grafico 2: Quantità' di omega3 negli oli di pesce per differenti specie

Altra distinzione da fare nel mercato degli oli di pesce è per cosa viene utilizzato quell'olio. Gli oli di pesce vengono usati per tre scopi:

  1. alimentare (olio alimentare, margarina, idrogenati per preparati alimentari...)
  2. allevamento (sostituisce in alcune forma di acquacoltura i mangimi di pesce)
  3. estetico/medico (usato nella preparazione di cosmetici e farmaci)

Nella problematica dell'overfishing la questione che diviene centrale è quella dello spreco. E' uno spreco utilizzare qualcosa di edibile per fini non alimentari? E' la questione che si è posto Anthony Bimbo, oceanografo di fama mondiale, nel momento in cui gli si è chiesta un'analisi del problema. Perché la richiesta per la produzione inizia ad essere troppo alta per continuare senza andare ad intaccare il mercato alimentare.

La soluzione trovata da Bimbo è di utilizzare per il mercato degli oli gli scarti del mercato alimentare. Ciò porterebbe a risolvere non solo il problema del pescato a fine non alimentare ma anche quello dei rifiuti delle aziende conserviere. E toglierebbe noi giornalisti dall'impiccio di chiederci se questi Omega3 siano o meno così miracolosi perché, nel momento in cui il loro mercato diventasse sostenibile, sarebbe solo una questione di mode.

E, come diceva Cocò Chanel, la moda è fatta per diventare fuori moda.

 

Per approfondimenti sugli Omega3

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