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Onde gravitazionali: la lunga caccia

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E’ passato un secolo da quando Albert Einstein ne aveva suggerito l’esistenza e finalmente i sofisticati rilevatori di LIGO sono riusciti nell’ardua impresa di catturare le onde gravitazionali. Un’impresa storica, per la quale c’è già chi si sbilancia a ipotizzare il Nobel. Intanto, con l’annuncio dello scorso 11 febbraio possiamo dire che è nata ufficialmente una nuova branca dell’astronomia. Ma perché abbiamo dovuto aspettare cento anni?

Perché ci è voluto un secolo dalla teoria di Einstein

Leggendo come i media hanno presentato la storica scoperta di LIGO, si può notare come venga quasi sempre sottolineato il grande lasso di tempo trascorso da quando Albert Einstein suggerì l’esistenza delle onde gravitazionali a quando ne abbiamo avuto la conferma sperimentale. Una gestazione durata cento anni. A parte la curiosa coincidenza, viene ovviamente da chiedersi come mai si sia dovuto attendere così tanto. La risposta è nella natura stessa di queste elusive increspature della struttura dello spazio-tempo, talmente deboli che solamente dopo l’ultimo importante aggiornamento le apparecchiature di LIGO sono riuscite nell’impresa. Materialmente impossibile, insomma, fino a cinque mesi fa riuscire a catturare questi deboli segnali.

La vera caccia comincia negli Anni Sessanta

Ufficialmente, la caccia alle onde gravitazionali comincia negli Anni Sessanta, quando, per catturarle, il fisico statunitense Joseph Weber ideò i suoi rilevatori a risonanza. Si trattava di massicci cilindri di alluminio (un metro di diametro e due metri di lunghezza) che, secondo il progetto di Weber, avrebbero dovuto reagire al passaggio delle onde gravitazionali deformandosi. Opportuni sensori piezoelettrici disposti sulla superficie del cilindro avevano il compito di rilevare tali deformazioni indicando così il passaggio di un’onda. Il meccanismo sembrava funzionare e Weber pubblicò studi sulla presunta rilevazione di onde gravitazionali, ma negli Anni Settanta venne dimostrato che l’apparato e le misurazioni non erano affidabili.

In quegli stessi anni, però, cominciava a prendere corpo un metodo alternativo. Non prevedeva più l’impiego di massicci cilindri, bensì l’attento studio del comportamento di due raggi luminosi che, lanciati lungo percorsi di uguale lunghezza tra loro perpendicolari, venivano poi fatti interagire. La variazione nella lunghezza del cammino percorso da uno dei due raggi, imputabile alle variazioni della geometria dello spazio indotta da un’onda gravitazionale, si sarebbe ripercossa sulla figura di interferenza finale. Un’idea geniale, ma terribilmente complicata da mettere in pratica. Non solo per la realizzazione del dispositivo in sé, che doveva essere perfettamente isolato dalle influenze dell’ambiente circostante, ma soprattutto per la mostruosa precisione richiesta da una simile misurazione.

Dai primi Anni Duemila si è intrapresa la strada dell’interferometria laser su lunga banda e sono stati realizzati numerosi rilevatori: TAMA 300 in Giappone, GEO 600 in Germania, Virgo in Italia e LIGO negli Stati Uniti. E proprio dai ricercatori impegnati in quest’ultimo progetto è giunto, lo scorso 11 febbraio, l’annuncio tanto atteso: «Signore e Signori, abbiamo rilevato le onde gravitazionali - ha solennemente esordito David Reitze, direttore di LIGO Laboratory, nella conferenza stampa di Washington - L’abbiamo fatto!»

I numeri di LIGO

L’acronimo LIGO sta per Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory, cioè osservatorio interferometrico laser per le onde gravitazionali, e indica due impianti identici, uno in Louisiana (a Livingston) e l’altro nello stato di Washington (ad Hanford). Alle loro spalle il potente sostegno della NSF (National Science Foundation), del Caltech (California Institute of Technology) e del MIT (Massachusetts Institute of Technology). Sostegno tecnologico, ma soprattutto economico (basti dire che solo la fase di costruzione, che si è conclusa nel 1999, ha comportato costi per 365 milioni di dollari).

Le due strutture sono indipendenti, ma funzionano come un unico grande osservatorio. Dato che qualsiasi vibrazione terrestre produce effetti molto più rilevanti di un’onda gravitazionale, per cancellare il “rumore locale” è necessario combinare le osservazioni di almeno due rivelatori distanti migliaia di chilometri. Solamente un segnale rilevato da entrambi merita di essere analizzato.

I due bracci ad angolo retto di ciascuno dei due impianti sono lunghi 4 chilometri e gli impulsi laser che li percorrono viaggiano entro tubi dal diametro di 1,2 metri in cui viene mantenuto il vuoto più spinto. Ogni impulso laser percorre il braccio due volte (al capolinea viene riflesso da specchi di massima precisione) prima di essere raccolto dalle apparecchiature interferometriche. Lo studio della figura di interferenza permette di valutare se uno dei due fasci in cui è stato suddiviso l’impulso originario ha percorso una distanza maggiore dell’altro, segno che il passaggio di un’onda gravitazionale ha lasciato la sua impronta.

Fino al 2010, le apparecchiature di LIGO erano in grado di misurare variazioni dell’ordine di un millesimo del diametro di un protone: una precisione che ha dell’incredibile, ma che, evidentemente, era ancora insufficiente, dato che negli otto anni precedenti l’osservatorio non era riuscito a rilevare nessun evento. Da qui la drastica decisione di spegnere gli strumenti e procedere a un radicale aggiornamento della struttura, una revisione costata 200 milioni di dollari e che ha portato, lo scorso settembre, all’entrata in servizio di Advanced LIGO.

Una precisione mostruosa

I nuovi rilevatori che equipaggiano i due osservatori sono dieci volte più sensibili dei precedenti. Per trasformare la nuova precisione in qualcosa di meno astratto, possiamo fare questo paragone: è come riuscire a determinare la distanza che ci separa dalla stella più vicina (circa quattro anni luce, cioè 38 milioni di milioni di chilometri) con una precisione pari a pochi micrometri (milionesimi di metro), praticamente lo spessore di un filo di ragnatela. Insomma, se le prestazioni precedenti avevano già dell’incredibile, quelle attuali lasciano senza fiato.

E’ proprio grazie a questo potenziamento di LIGO che lo scorso 14 settembre - qualche giorno prima della riapertura ufficiale della sua caccia alle onde gravitazionali - è stato possibile rilevare la prima onda gravitazionale. Una coincidenza davvero fortunata, come sottolinea Patrizia Caraveo in un articolo pubblicato sulle pagine del Sole 24 Ore: «In effetti, si direbbe che madre natura avesse proprio fretta perché lo strumento era ancora in fase preparatoria. La campagna osservativa vera e propria avrebbe dovuto iniziare il 18 settembre. Il segnale, della durata di 0,2 secondi, è stato visto forte e chiaro da entrambi gli strumenti, cogliendo tutti di sorpresa. Dopo 1,3 miliardi di anni è arrivato al momento giusto. Con pochi giorni di anticipo avrebbe trovato LIGO ancora spento. E’ sicuramente un eccezionale regalo della dea bendata o, se preferiamo, un colpo di fortuna straordinario.»

 

Per approfondire:
[1] Il paper pubblicato su Physical Review Letters http://journals.aps.org/prl/abstract/10.1103/PhysRevLett.116.061102
[2] La press release del MIT http://news.mit.edu/2016/ligo-first-detection-gravitational-waves-0211
[3] Un contributo di Emanuele Berti (University of Mississippi) http://physics.aps.org/articles/v9/17
[4] Il punto di Davide Castelvecchi (Nature) sugli sviluppi futuri http://www.nature.com/news/gravitational-waves-6-cosmic-questions-they-c...
[5] Video, animazioni e contributi nel sito del Caltech http://mediaassets.caltech.edu/gwave

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