Il team statunitense
coordinato dal John M. Kovac dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics ha
recentemente annunciato la scoperta dei cosiddetti modi B di polarizzazione
delle anisotropie primordiali del fondo cosmico nelle microonde, realizzata
grazie all’esperimento BICEP dall’Antartide. Questa scoperta rappresenta la prima
prova cruciale, finora mancante, dell’esistenza di onde gravitazionali
primordiali predette dai cosiddetti modelli di inflazione, ovvero di quei
modelli che contemplano una fase di rapidissima espansione nei primissimi
istanti dell’universo.
L’ampiezza di tale segnale è legata alla scala di
energia a cui avvenne l’inflazione cosmica.
Per
anisotropia primordiale della radiazione di fondo cosmico si intende la differenza
tra l’intensità della radiazione diffusa nelle microonde in una data direzione del
cielo rispetto a quella mediata su tutte le direzioni.
Come in generale per la
radiazione elettromagnetica, così per la caratterizzazione delle anisotropie della
radiazione di fondo bisogna misurare due grandezze: l’intensità totale, I, e
quella in polarizzazione, P.
In realtà queste grandezze, I e P, vengono espresse di solito in termini di
temperature equivalenti corrispondenti, T e TP, dato il legame che
c’è tra la temperatura di un corpo nero e la radiazione da esso prodotta.
La
polarizzazione del fondo cosmico è essenzialmente lineare, col campo elettrico
associato alla radiazione emessa in un dato punto che oscilla lungo una retta
perpendicolare alla direzione di propagazione dell’onda elettromagnetica.
Di
conseguenza l’anisotropia (di intensità totale - detta anche di temperatura - e
di polarizzazione) osservata in una direzione del cielo viene descritta da sole
tre quantità (i cosiddetti parametri di Stokes): T, Q e U, con TP (che
è la somma in quadratura di Q e U) che dà l’ampiezza del segnale polarizzato, e
Q e U (anch’essi espressi con le dimensioni fisiche di una temperatura) che
sono legati alle direzioni di oscillazione dei campi elettrico e magnetico,
rispettivamente, associati all’onda. Spesso, invece di Q e U, la polarizzazione
su un punto della mappa celeste si rappresenta con un vettore di lunghezza
proporzionale a TP e un’orientazione (rispetto al meridiano del
punto esaminato) legata al rapporto tra Q e U. Mentre T e TP sono
grandezze semplici (cosiddette scalari), in quanto per determinarle basta darne
il valore o l’intensità, Q e U dipendono dal sistema di riferimento (così come
i meridiani del cielo) e non trasformano in modo semplice al variare di esso.
Combinando
i valori di Q e U relativi a un’area osservata di cielo (o, se disponibile,
sull’intero cielo), si possono costruire due quantità, i cosiddetti modi E e modi
B delle anisotropie di polarizzazione, i primi che danno luogo ad un andamento
del campo elettrico associato alla radiazione che cambia con la posizione in
cielo in modo radiale o circolare, i secondi invece danno luogo a struttura del
campo elettrico che cambia con la posizione in modo cosiddetto “rotazionale” o
a girandola.
Ma qual è l’origine di queste anisotropie?
Oltre che dalla geometria dell’universo, dai
suoi costituenti e dalla sua evoluzione, esse dipendono in modo cruciale dalle
sue fasi primordiali, in cui si generarono sia le piccolissime perturbazioni di
densità da cui successivamente si formarono le strutture cosmiche osservate
(stelle, galassie, pianeti, ecc.) che il campo di onde gravitazionali
primordiali. Tali perturbazioni si dividono in varie classi, le cui principali sono
quelle scalari (quali quelle di densità) e quelle cosiddette tensoriali. Semplificando,
i campi scalari sono caratterizzati dal valore che essi assumono in un punto
specifico dello spazio, mentre quelli tensoriali sono “oggetti” matematici più complicati, che
servono per descrivere, per esempio, l’effetto dello sforzo o della trazione applicati
a un materiale che può determinare in esso una deformazione in tutte e tre le direzioni ortogonali.
Ebbene i tensori costituiscono
la base della teoria della relatività, e le onde gravitazionali, predette
appunto dalla teoria della relatività generale, per esempio, come conseguenza
di esplosioni di stelle, hanno una natura intrinsecamente tensoriale. Le onde
gravitazionali primordiali, previste nei modelli di inflazione, ci si aspetta
che inducano anisotropie locali nel campo di radiazione primordiale, nella fase
in cui la materia da ionizzata diviene neutra, determinando una polarizzazione
dei fotoni a seguito degli urti con gli elettroni della materia ionizzata.
Un
parametro cruciale è il rapporto r tra
l’ampiezza delle perturbazioni primordiali tensoriali e di quelle scalari.
Nei
modelli di inflazione, il valore di r
dipende dalla scala di energia (o dall’istante) a cui avvenne l’inflazione
stessa, ed è maggiore al crescere di tale scala di energia. Mentre entrambi i
tipi di perturbazione producono sia anisotropie di temperatura che anisotropie
di polarizzazione di modo E, le anisotropie primordiali di polarizzazione di
modo B vengono prodotte da perturbazioni primordiali di natura tensoriale, ma
non da quelle di natura scalare.
Fino alla
settimana scorsa esistevano solo limiti superiori al valore di r (atteso minore di uno o, al limite,
anche estremamente piccolo) ma esso era osservativamente ignoto. Si noti che in
linea di principio r può essere
derivato anche dalle anisotropie di temperatura e di modo E. Tuttavia la stima
più diretta e affidabile di r si basa
proprio sull’identificazione dei modi B e per questo motivo è così cruciale
scoprirli.
Gli
esperimenti precedenti a BICEP avevano un rapporto segnale/rumore
significativamente buono per le anisotropie di temperatura, ma non così per
quelle, meno marcate, di polarizzazione e in particolare per quelle di modo B, di
ampiezza inferiore rispetto a quelle di modo E. Il modo B primordiale è più
facilmente rivelabile in due intervalli di scale angolari: (1) attorno al grado;
(2) su scale di alcune decine di gradi. Utilizzando circa 500 rivelatori di
radiazione a microonde di ultima generazione sensibili alla polarizzazione
lineare, BICEP ha osservato una regione relativamente piccola (circa 400 gradi
quadrati effettivi) del cielo sud, caratterizzata da un basso livello di
“contaminazione” da emissioni astrofisiche della nostra galassia, e si è quindi
concentrato sulla prima delle due scale angolari sopra menzionate. In questo
modo il team di BICEP ha annunciato la scoperta dei modi B primordiali e,
indirettamente, del campo stocastico primordiale di onde gravitazionali.
La
misura di r ≈0.2 ad opera di BICEP consentirà di ridurre
significativamente lo spazio dei modelli possibili di inflazione: la scala di
energia risulta attorno a 1016 GeV (1 GeV corrisponde all’energia
acquistata da un elettrone sottoposto alla differenza di potenziale di un
miliardo di Volt) e la combinazione dell’informazione in temperatura e polarizzazione
pone vincoli alle proprietà delle perturbazioni primordiali.
Sarà
cruciale verificare in modo indipendente la correttezza di questo fondamentale
risultato, anche rispetto alla possibile
presenza di segnali spuri e di contributi astrofisici (specie l’emissione da
polvere nella nostra galassia) eventualmente sottostimati, e molti sono gli
esperimenti di fondo cosmico in corso in tal senso. Il satellite Planck, con un numero di rivelatori
assai inferiore a quello di BICEP, ha la sensibilità necessaria per ricostruire
il valore di r dai modi E di
polarizzazione e per identificare i modi B per valori di r maggiori di circa 0.05. Con Planck si potranno scoprire i modi B primordiali anche sulle scale angolari maggiori
di una decina di gradi. Questo fornirebbe un’ulteriore prova dell’esistenza del
fondo di onde gravitazionali primordiali.
Quali
saranno le ripercussioni della scoperta di BICEP per i prossimi progetti di
cosmologia? Ci si limiterà a verificarla con esperimenti indipendenti di
sensibilità appena migliore o invece si intraprenderanno progetti di fondo
cosmico di grande precisione volti all’indagine fine di questo segnale per
indagarne le molteplici implicazioni cosmologiche e di fisica fondamentale?
L’impegno dei cosmologi è volto ovviamente alla seconda opzione, resa senz’altro
più solida dalla verifica che la tecnologia è matura per la realizzazione di
una nuova missione spaziale di fondo cosmico. In conclusione, non solo le
analisi del prossimo futuro e le conseguenti ricerche teoriche, ma anche gli
studi per la prossima missione spaziale di fondo cosmico si confronteranno con i
risultati di BICEP.
Il fondo cosmico a microonde: dalla sua scoperta a quella dei modi B
La
radiazione cosmica di fondo alle microonde, predetta nel modello del Big Bang
come risultato dell’espansione e conseguente raffreddamento della fase calda (temperature
maggiori di 1 miliardo di gradi) e densa dell’universo primordiale, venne
scoperta nel 1964 (pubblicata l’anno seguente e premiata con il Nobel per la
Fisica nel 1978) da Arno A. Penzias e Robert Wilson, che si accorsero che in
qualunque direzione del cielo puntassero la loro antenna registravano un
segnale equivalente alla radiazione emessa da un corpo nero a circa 3°K (-270°C vicino allo zero assoluto).
Nei decenni seguenti si realizzarono
esperimenti fondamentali su questo segnale, sulla sua intensità in funzione
della frequenza (spettro) e sul suo grado di uniformità sulla volta celeste (isotropia),
culminati nelle misure del satellite COBE della NASA, con a bordo due strumenti
dedicati al fondo cosmico: FIRAS, per la misura accurata dello spettro in
frequenza, e DMR, per rivelare l’esistenza di piccole anisotropie o deviazioni
dall’isotropia (oltre allo strumento DIRBE dedicato allo studio dell’emissione
infrarossa).
All’inizio degli anni ’90, FIRAS confermò che l’intensità del
fondo cosmico è ben descritta (nell’intervallo di frequenze osservate) dall’emissione
di un corpo nero (segno dell’equilibro termico nel plasma primordiale), mentre
DMR riuscì a identificare le piccole fluttuazioni dall’isotropia, in circa una
parte su 100000, e quindi le piccole disomogeneità nel plasma primordiale
attese per giustificare la formazione degli oggetti celesti tramite la
successiva crescita per attrazione gravitazionale. Per questi fondamentali risultati,
cruciali per la teoria del Big Bang, John C. Mather e George F. Smoot
ricevettero il premio Nobel nel 2006.
Le mappe
del cielo di COBE rappresentano la prima “fotografia” dell’universo 380000 anni
dopo il Big Bang, un’epoca in cui la temperatura dell’universo si era
“raffreddata” sotto circa 3000°K e la materia da ionizzata divenne neutra, ovvero gli elettroni si
combinarono ai nuclei (essenzialmente di idrogeno ed elio) per formare atomi
elettricamente neutri.
Per effetto di questo raffreddamento l’universo divenne
praticamente trasparente alla radiazione (per via della drastica diminuzione
degli urti con i pochi elettroni liberi rimasti) e i fotoni del fondo cosmico
poterono perciò viaggiare fino a noi quasi indisturbati, risentendo in prima
approssimazione solo dell’espansione e raffreddamento dell’universo.
E’ da
notare tuttavia che il livello di anisotropia del fondo cosmico è comunque
piccolissimo.
In particolare, assumendo un’espansione dell’universo come nel
modello “standard” in cui la dinamica dell’universo era dominata dapprima dalla
densità di energia della radiazione e poi da particelle con massa, ci si chiede
come mai 380000 anni dopo il Big Bang regioni in cielo separate da più di pochi
gradi appaiono con una temperatura così simile pur corrispondendo a regioni
spaziali che nel frattempo non avrebbero mai dovuto comunicare tra loro, essendo
la velocità di comunicazione al più uguale a quella della luce (il cosiddetto
problema degli orizzonti causali). Ben prima dei risultati di COBE questo
problema contribuì, assieme ad altri, a stimolare l’elaborazione dei “modelli
di inflazione”, che contemplano una fase di accelerazione rapidissima
dell’universo entro i suoi primissimi istanti (10-35 sec), cosicché
regioni che sarebbero state sconnesse a 380000 anni nel quadro di un’espansione
senza inflazione, in realtà sono parte di una stessa regione già connessa
causalmente nelle fasi più primordiali, e nel seguito “stirata” dall’espansione
inflazionaria.
Sono stati proposti vari scenari di inflazione e di meccanismi
fondamentali alla base della sua origine, ad opera di scienziati quali Erast
Gliner, Alexei Starobinski, Viatcheslav F. Muchanov, Andrei Linde, Alan Guth e molti altri. Il successo di
questi modelli è che, oltre ovviamente a rispondere agli interrogativi per cui
sono stati elaborati (il che, da solo, potrebbe considerarsi “tautologico”),
predicono altre importanti fenomenologie e osservazioni che possono essere
verificate, contraddette o che consentono di restringere gli scenari e i
parametri possibili dei modelli stessi.
In particolare, prevedono che nei
primissimi istanti dell’universo in condizioni di densità e temperature così
alte da richiedere una trattazione quantistica di tutte le forze elementari,
compresa la gravitazione, si siano generate delle piccolissime “fluttuazioni”
quantistiche di densità e onde gravitazionali, le cui “impronte” potrebbero
essere rivelabili attualmente.
Riguardo alle seconde, la loro osservabilità è
legata proprio alla scala di energia (o all’epoca) a cui avvenne l’inflazione.
I dieci
anni successivi a COBE furono caratterizzati da altre due scoperte fondamentali
sul fondo cosmico:
(1) la misura delle ampiezze del segnale di anisotropia alle
diverse scale angolari, ad opera dell’esperimento da pallone BOOMERanG,
coordinato da Paolo de Bernardis e Andrew E. Lange, e, in particolare,
l’osservazione della serie di picchi nel cosiddetto spettro di potenza angolare
(legato appunto a tali ampiezze), che rappresentano le impronte delle oscillazioni
acustiche nel plasma primordiale, da cui si è compreso che la geometria
dell’universo è prossima a quella piatta;
(2) la scoperta di uno dei due modi
(il cosiddetto modo E) delle anisotropie di polarizzazione del fondo cosmico,
grazie all’esperimento DASI dall’Antartide, coordinato da John M. Kovac.
Gli anni
seguenti hanno visto i risultati spettacolari dei satelliti WMAP della NASA e Planck dell’ESA, che, grazie
all’osservazione di tutto il cielo a molte lunghezze d’onda millimetriche e,
per Planck, anche sub-millimetriche, hanno consentito la determinazione
accurata dei parametri cosmologici, che descrivono le proprietà dell’universo, quali
la densità di materia ed energia oscure e la velocità di espansione
dell’Universo, e realizzato mappe delle emissioni diffuse nel cielo e cataloghi
di oggetti astronomici ricchissimi di informazione astrofisica. Queste due
missioni sanciscono l’era della cosiddetta cosmologia di precisione, inaugurata
da COBE.
L’insieme delle proprietà del fondo cosmico e delle sue anisotropie
scoperte dalle due missioni ha consentito di convalidare alcuni modelli di
inflazione e di perturbazioni primordiali, e di escluderne molti altri.
Se
confermata, la recente scoperta di BICEP, corona, a cinquant’anni esatti dalla
scoperta del fondo cosmico, il suo ruolo di assoluto primo piano nello svelarci
le proprietà dell’universo e, nel caso specifico, anticipa di anni (o decenni)
i risultati cosmologici attesi dagli esperimenti volti alla rivelazione diretta
delle onde gravitazionali.