
Il “paradosso nordico”, richiamato dalla ministra per le Pari opportunità Eugenia Roccella, per cui in Svezia, con tutta l’educazione sessuale che si fa da sempre, ci sono più femminicidi che in Italia è una vecchia tesi che confronta aspetti non paragonabili. Quando si analizzano con la metodologia corretta i risultati, ripuliti dalle variabili sociali ed economiche, e prima e dopo un intervento educativo le differenze positive degli interventi a favore della parità di genere emergono chiaramente. Crediti immagine: Sacha Verheij/Unsplash
«Non c’è correlazione tra l’educazione sessuale a scuola e una diminuzione di violenze contro le donne. Lo vediamo nei Paesi dove da molti anni (l’educazione sessuale a scuola) è un fatto assodato, come per esempio la Svezia. La Svezia ha più violenze e femminicidi di noi».
La frase pronunciata da Eugenia Roccella a margine della Conferenza internazionale contro il femminicidio, organizzata a Roma il 21 novembre scorso, ha guadagnato le prime pagine dei giornali e ha sollevato un’ondata di indignazione tra sociologi, psicologi e studiosi di pedagogia. La sua argomentazione è un vecchio cavallo di battaglia di politici e attivisti anti-scelta: l’interpretazione distorta di un fenomeno che va sotto il nome di “paradosso nordico” allo scopo di sminuire il ruolo dell’educazione sessuale e affettiva, che proprio in questi giorni è sotto attacco alla Camera, dove si discute il disegno di legge Valditara.
Nei Paesi del Nord Europa, dove l’educazione sessuale è parte integrante del curriculum scolastico da decenni - è la tesi - i femminicidi e gli episodi di violenza contro le donne sono più frequenti rispetto all’Italia, dove l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole è carente e disomogenea. È la prova, sostiene Roccella, che educare i giovanissimi alla parità di genere non serve a prevenire la violenza.
«Il ragionamento è scorretto dal punto di vista metodologico», osserva Marta Giuliani, psicologa e sessuologa clinica, coordinatrice del Gruppo di lavoro di psicologia della sessualità e dell’affettività dell’Ordine degli psicologi del Lazio, «perché non è possibile rilevare una correlazione diretta in assenza dello studio approfondito di altre variabili come, per esempio, fasce d’età, livello socio-economico, certezza della pena, aspetti psico-sociali. Per valutare con rigore scientifico la correlazione tra programmi di educazione sessuale e affettiva nelle scuole e violenza di genere, bisogna affidarsi a protocolli di ricerca specifici che analizzano la popolazione target prima e dopo l’intervento educativo, e non è sufficiente semplicemente confrontare dati qualitativi e osservativi. Studi statisticamente costruiti con questi livelli di accuratezza, infatti, hanno sempre documentato i benefici dell’educazione sessuo-affettiva nella costruzione di relazioni sane, paritarie e egualitarie».
Per esempio, una meta-analisi pubblicata nel 2023, che analizza gli effetti dell’educazione sessuale e affettiva su un totale di più di cinquantamila ragazzi e ragazze di età compresa tra 10 e 19 anni, negli Stati Uniti, in Europa e in Asia, evidenzia un significativo miglioramento della capacità di avviare e mantenere relazioni positive, gestire i conflitti, comunicare efficacemente, e una riduzione degli episodi di violenza sessuale tra pari.
L’importanza di riconoscere la violenza e chiedere aiuto
Il femminicidio è la punta dell’iceberg della violenza di genere, che si esprime in modo trasversale nella società attraverso i pregiudizi, la discriminazione, la sopraffazione psicologica ed economica, la violenza fisica e sessuale e solo in un numero più limitato di casi arriva all’uccisione delle vittime. È dimostrato che laddove la sopraffazione maschile sulle donne è presente in modo sistematico ed è normalizzata, gli esiti più estremi della violenza sono più rari, perché le vittime sono scoraggiate dall’idea di ribellarsi e separarsi dal partner. Una ricerca condotta nel 2024 proprio in Svezia mostra che una maggiore autonomia economica e sociale della donna aumenta per lei il rischio di incorrere nella violenza da parte del partner, che percepisce di avere meno potere nei suoi confronti. È uno dei fattori che concorrono a spiegare il paradosso nordico.
Un altro fattore è la capacità delle vittime di riconoscere la violenza perpetrata nei loro confronti e di chiedere aiuto. I risultati dello stesso studio evidenziano che le donne più consapevoli e più autonome sono più propense a denunciare. Nei Paesi in cui le vittime hanno meno fiducia nelle istituzioni, meno possibilità di chiedere aiuto o dove la ribellione ai soprusi è stigmatizzata, la violenza rimane sommersa, non appare nelle statistiche.
Combattere la normalizzazione della violenza di genere è proprio uno degli obiettivi dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Un esempio di questo impegno è My Safe Space, un progetto di intervento nelle scuole dell’Associazione italiana donne per lo sviluppo (AIDOS), che mira a stimolare la discussione tra ragazzi e ragazze sulla differenza tra relazioni sane e relazioni tossiche, tra manifestazioni di amore e prevaricazione. Tra i materiali che l’AIDOS mette a disposizione sul sito del progetto, c’è una serie di carte che riportano frasi riferite da studenti e studentesse, campanelli d’allarme che bisogna insegnare a riconoscere: «Dice che non lo farà più. Che lo schiaffo gli è scappato», «Fammi vedere cosa ti ha scritto. Se mi ami non devono esserci segreti tra noi» e ancora «No, non vengo stasera. Fede non vuole».
«My Safe Space nasce dall'esperienza di AIDOS dentro e fuori le scuole, grazie ai laboratori contro gli stereotipi e al lavoro decennale sulla prevenzione della violenza di genere, nonché dal bisogno delle persone giovani e adolescenti in particolare di parlare delle proprie relazioni intime», spiega Serena Fiorletta, vicepresidente dell’Associazione. «Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin abbiamo sentito l’urgenza di offrire strumenti concreti per ascoltare, confrontarsi e riconoscere i segnali di paura, percezione del pericolo ma anche le risorse che abbiamo a disposizione. Le nostre flashcard, gli specchietti, il quiz e tutti i materiali che suggeriamo servono proprio a questo: creare spazi più sicuri senza fare solo lezioni frontali, ma anche facilitare la presa di parola, la riflessione e la consapevolezza».
Da sola, l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole non può arrestare i femminicidi, ma è uno degli strumenti più efficaci di cui disponiamo oggi per avviare un cambiamento sociale importante e contrastare la violenza di genere in tutte le sue forme, quelle più evidenti come quelle nascoste ma non meno dolorose.

