Uno studio pubblicato su PNAS e guidato da Giorgio Vallortigara, neuroscienziato dell’Università di Trento, dimostra la presenza dei neuroni del numero, deputati a riconoscere specifiche quantità, già nei pulcini di pochi giorni di vita: la loro presenza in animali così giovani, in precedenza era stata osservata solo nei primati e nei corvi adulti, suggerisce che la capacità di riconoscere i numeri non sia frutto di apprendimento ed esperienza bensì rappresenti un’abilità innata.
All’inizio del ‘900, Hans “il cavallo intelligente” stupiva il pubblico per la sua abilità con i calcoli aritmetici. Abilità che si rivelò in seguito non collegata a particolari doti matematiche, bensì alla grande sensibilità di Hans nell’interpretare e rispondere a involontari segnali umani che gli indicavano se stava dando la risposta corretta. Se la storia di Hans non ha potuto dimostrare nulla sul rapporto degli animali con i numeri, numerose ricerche successive hanno invece potuto fornirci molte informazioni. Per esempio, gli studi suggeriscono che diversi animali, tra cui ratti, cani e lupi, pesci e rane sono in grado di discriminare tra quantità maggiori e minori, e che alcune specie, compresi alcuni invertebrati, riconoscono il concetto di zero.
Vari lavori hanno dimostrato che phyla evolutivamente distanti tra loro, come mammiferi, rettili, uccelli, pesci e alcuni invertebrati, possono usare un sistema detto dei “numeri approssimati” per valutare le diverse quantità. Il meccanismo su cui si basa questo sistema è però stato indagato solo in pochissime specie, e con esperimenti che hanno coinvolto soltanto pochi individui: nei primati e nei corvi, nonché negli umani, sono stati infatti individuati dei neuroni “del numero”, che si attivano in risposta alla numerosità degli oggetti presentati. Nei primati, i neuroni del numero si trovano nella corteccia parietale e prefrontale, mentre negli uccelli sono presenti del nidopallio caudolaterale, l’area cerebrale degli uccelli ritenuta analoga alla corteccia prefrontale dei mammiferi e coinvolta in compiti complessi come l’apprendimento, la memoria e la pianificazione.
Ora, uno studio pubblicato su PNAS e coordinato da Giorgio Vallortigara, neuroscienziato dell’Università di Trento, dimostra per la prima volta la loro presenza anche nei polli, e in particolare nei pulcini, suggerendo dunque che la loro presenza (e quindi la capacità di riconoscere i numeri) sia innata.
Perché i pulcini
Qualche anno fa, nel 2018, è stato pubblicato il primo studio che dimostrava la presenza di neuroni del numero negli uccelli, e più precisamente nei corvi, basandosi sulla registrazione dell’attività dei singoli neuroni attraverso microelettrodi inseriti nell’encefalo. L’indagine era stata condotta però su due soli individui che, oltretutto, erano adulti. Rimaneva quindi la domanda: i neuroni del numero sono presenti fin dalla nascita, e quindi indicativi di un’abilità innata degli animali, oppure si sviluppano con l’esperienza e l’apprendimento? L’unico modo per rispondere a questa domanda è lavorare con animali non solo naive rispetto ai compiti numerici (cioè che non sono mai stati addestrati né coinvolti in esperimenti che permettessero loro di confrontarsi con numeri e quantità) ma anche molto giovani.
È quello che ha fatto il gruppo di ricerca guidato da Vallortigara: «Il nostro lavoro si concentra da tempo sui pulcini perché ciò che vogliamo capire è cosa c’è nella mente “in partenza”, e quindi se le categorie e le strutture che poi rendono possibili esperienza e apprendimento sono già presenti nel cervello di animali molto giovani», spiega il professore. «Come in tutti gli altri casi nei quali ci si rivolge a una specie piuttosto che a un’altra, quindi, la scelta dei pulcini come modello non è certo arbitraria o legata a ragioni economiche: questi animali ci permettono di lavorare sì su individui giovani, ma che sono già in grado di rispondere agli stimoli, in particolare quelli visivi. Al contrario, specie come topi e ratti, oltre ad affidarsi molto più all’olfatto che alla vista per indagare il mondo esterno, alla nascita sono ciechi, per cui non avremmo potuto studiare la loro risposta agli stimoli visivi di numerosità».
Ai pulcini sono stati installati i microelettrodi per la registrazione del segnale dei singoli neuroni; quindi, i ricercatori hanno presentato loro una serie di numeri – naturalmente non come simboli (per esempio “3”) ma come stimoli fisici (un certo numero di palline). «Un aspetto importante in questo tipo di studi è separare l’aspetto della numerosità in quanto tale da tutte quelle variabili continue che variano con la numerosità», spiega Vallortigara. Per esempio, se lo stimolo è rappresentato, come in questo caso, da un certo numero di palline, nel disegno di ricerca bisogna prestare attenzione che con la loro numerosità non varino altri elementi, come l’area e il perimetro dell’immagine: se il primo stimolo è rappresentato da quattro elementi e il successivo da otto, sempre della stessa dimensione, il pulcino potrebbe reagire non al numero in sé ma solo al maggior spazio preso dagli elementi figurati. «Per questa ragione, la procedura standard seguita è quella di usare diverse posizioni, densità e dimensioni nelle palline mostrate all’animale», spiega infatti Vallortigara.
I neuroni che contano
I risultati registrati dai microelettrodi confermano la presenza di neuroni del numero anche nei pulcini. Come funzionano?
Il sistema dei numeri approssimati studiato negli animali è basato su quella nota come legge di Weber: in pratica, la percezione dei numeri cardinali assomiglia alla percezione di stimoli fisici continui, e la differenza appena percettibile è proporzionale alla quantità stimata. Questo significa, in altre parole, che la percezione si fa tanto più precisa quanto due quantità sono distanti tra loro, ed è quindi più facile distinguere il 2 dal 10 che il 10 dall’11. A parità di distanza, inoltre, la discriminazione dipende dalla grandezza dei numeri: discriminare 2 da 4 è più facile che discriminare 102 da 104 o 1000 da 1002.
A livello cellulare, un singolo neurone è in grado di codificare la numerosità (e quindi di riconoscere un singolo numero), ma lo fa in maniera approssimata: è come se riconoscesse non i numeri discreti (1, 2, 3 eccetera) bensì i numeri reali, per cui tra l’uno e l’altro vi è un’infinità di altri numeri (1,1; 1,2 eccetera). Studiando la risposta dei neuroni del numero, questo appare evidente perché il singolo neurone ha un picco di frequenza di scarica (la frequenza dei potenziali d’azione, o spikes del neurone) quando riconosce il “suo” numero, ma risponde, in maniera graduata, anche a numerosità diverse. Così, se per esempio un neurone è selettivamente sensibile per il numero 5, darà una risposta massima al 5, una un po’ meno forte al 4 e una ancora più debole sul 3 – e viceversa, all’aumentare delle quantità, una risposta meno forte al 6, una ancor più debole al 7 e così via. Inoltre, è stato osservato che, proprio come negli umani, la discriminazione diventa via via più imprecisa all’aumentare delle quantità proposte.
Un’abilità innata
«Aver trovato questi neuroni già presenti e attivi in individui molto giovani suggerisce che la “dotazione” neurologica per la risposta alla numerosità faccia parte della nostra costituzione biologica. Tutto ciò che serve è in un sistema visivo che consenta di differenziare gli stimoli (quindi riconoscere delle figure rispetto a uno sfondo) e neuroni che diano informazioni sulla quantità», commenta Vallortigara. Non è possibile, avvertono gli autori dello studio, estendere in modo automatico questa considerazione alle altre specie: il pulcino, infatti, è un piccolo precoce, cioè che nasce già con una certa autonomia e capacità di affrontare il mondo esterno. La prole di molte altre specie è invece inetta alla nascita, meno sviluppata. Tuttavia, il cervello dei pulcini rimane piuttosto immaturo fino a due settimane dopo la schiusa dell’uovo (i test sono stati condotti su pulcini tra gli 8 e i 12 giorni di età); inoltre, studi precedenti avevano già dimostrato una buona capacità dei pulcini di discriminare le quantità e anche di eseguire le operazioni aritmetiche, come sottrazione, addizione e divisione. Queste considerazioni, unite al fatto che la capacità di riconoscere numeri astratti è stata osservata anche nei neonati umani, supporta l’ipotesi che la loro presenza sia innata.
Inoltre, se i corvi sono noti per le loro abilità cognitive, la scoperta dei neuroni del numero anche nel nidopallio caudale dei pulcini suggerisce che questo meccanismo neuronale non sia un adattamento esclusivo delle specie più complesse, ma che condivida una comune origine evolutiva.
Vantaggi evolutivi
Ma come si può spiegare, in termini di vantaggio evolutivo, la capacità degli animali di riconoscere i numeri? Non sarebbe sufficiente discriminare tra quantità maggiori o minori, per esempio in termini di volume o area del cibo o di possibili conspecifici da affrontare per potersi riprodurre? «Gli animali sanno, naturalmente, fare anche questo, e le aree cerebrali coinvolte sono sovrapposte. In fondo, si tratta sempre di numeri anche se in questi casi si tratta di quantità continue anziché discrete», spiega Vallortigara. «La ragione per cui probabilmente è utile agli animali anche poter fare una valutazione più astratta è legata al fatto che, in molte circostanze, diventa importante rispondere alla numerosità in quanto tale, invece che solo alla quantità continua presente. Nel caso ci debba confrontare con dei conspecifici, per esempio, potrebbe non essere importante solo la quantità intesa come massa o volume (per esempio “uno più grosso e due più piccoli”, ma il fatto che siano davvero tre o sei. E questo richiede di saper astrarre dalle variabili continue la numerosità in quanto tale».
«Adesso stiamo cercando di spostarci dalla rappresentazione numerica alla comprensione di come i neuroni possono eseguire somme, sottrazioni e altre operazioni, sia a livello di singola cellula sia a livello di circuito neuronale», conclude il ricercatore. «Inoltre, vogliamo approfondire le basi genetiche della capacità di risposta ai numeri, un campo di indagine che conduciamo utilizzando il pesce zebra come modello, e che speriamo possa aiutarci a comprendere i disordini del neurosviluppo che influenzano le capacità numeriche, come la discalculia evolutiva umana, per la quale è stata riconosciuta un’importante componente genetica».