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Nel 2020 in Italia un eccesso di mortalità totale senza precedenti dal dopoguerra

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Un'analisi sull'eccesso di mortalità del 2020 e delle differenze tra la prima e la seconda ondata della pandemia.

La curva dell'andamento stagionale della mortalità dal 2016-2020 nel report SISMG.

I decessi del 2020 sono senza precedenti nel confronto con altri anni caratterizzati da fenomeni demografici ed eventi estremi. Dall’inizio dell’epidemia di Covid-19, l’Italia è stato uno dei paesi più colpiti con il maggiore impatto in termini di mortalità. Considerando solo i primi tre mesi dell’epidemia (marzo-maggio), sono stati registrati 31.936 decessi nei casi microbiologicamente confermati di SARS-CoV-2 (Sorveglianza integrata Covid-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, ISS). Tuttavia, i decessi accertati da SARS-CoV-2 risentono dei criteri di priorità nell’esecuzione dei test diagnostici, e pertanto è cruciale disporre di dati sulla sorveglianza dell’eccesso totale di mortalità, che possono fornire un quadro non distorto dell’impatto della pandemia e della sua gravità (Weinberger JAMA Internal Med 2020, Leon Lancet 2020).

A causa dell’emergenza pandemica, il bilancio demografico per il 2020 nel nostro paese sarà caratterizzato da un valore di mortalità eccezionalmente elevato. L’ISTAT ha registrato per due soli mesi, marzo e aprile, in corrispondenza della fase di crescita della curva epidemica, un eccesso di 47.500 decessi, e tale incremento ha interessato soprattutto le regioni del nord, dove si è protratto fino al mese di maggio (ISTAT ottobre 2020). Un incremento di simile entità era stato registrato nel 2015 (47.378 decessi in più rispetto all’anno precedente) (ISTAT annuario 2018). La sovramortalità del 2015 è stata per diverso tempo un vero enigma per i demografi e infine spiegata da una concomitanza di diversi fattori: un fenomeno demografico che ha incrementato la popolazione dei molto anziani (85+ anni) e un’influenza stagionale ad alta incidenza. Il dato del 2015 tuttavia era cumulato sull’intero anno e riferito all’intero paese e quindi molto più contenuto rispetto all’eccesso associato ai primi mesi di pandemia (la cosiddetta prima ondata), quasi totalmente localizzato nelle regioni del nord, in particolare in Lombardia.

L’ISTAT a oggi ha pubblicato i dati sui decessi 2020, seppur non definitivi, fino al mese di settembre. Per disporre di dati più aggiornati sull’impatto dell’epidemia sulla mortalità, è stato utilizzato il Sistema rapido di sorveglianza della mortalità giornaliera del Ministero della salute (SiSMG), attivo in 32 grandi aree urbane, che permette il confronto della mortalità 2020 con il 2015 e i cinque anni successivi, aggiornato al mese di novembre. La figura 1 descrive l’andamento mensile della mortalità per gli anni 2015 – 2020, mentre la figura 2 mostra lo scarto cumulato di mortalità tra i valori del 2015 e i valori mensili dei singoli anni. Nel 2020 rispetto al 2015 si evidenzia uno scarto positivo della mortalità a partire dal mese di marzo; l’ unico altro anno che mostra uno scarto positivo è la prima metà del 2017, quando in tutto il paese si sono verificati eventi di freddo intenso con un’epidemia influenzale a elevata incidenza, a fronte di una copertura vaccinale negli ultrasessantacinquenni molto bassa, intorno al 50% (Vestergaard 2017, Rosano 2019). Altro aspetto peculiare del 2020 è l’assenza di eventi estremi sia in termini di temperature che di influenza stagionale. Questo ha determinato una mortalità inferiore all’atteso, probabilmente ampliando il pool dei soggetti suscettibili ad alto rischio di decesso che si sono trovati esposti all’epidemia a fine febbraio e che può avere amplificato l’impatto iniziale dell’epidemia di COVID-19 nelle regioni più colpite.

Figura 1. Confronto della mortalità cumulata mensile nelle città incluse nella sorveglianza SISMG tra il 2015 e novembre 2020

Figura 2. Scarto cumulato mensile nelle città incluse nella sorveglianza SISMG per gli anni 2016 - novembre 2020 (riferimento 2015)

Confrontando l’andamento dei dati mensili delle città SISMG con i dati nazionali ISTAT, sempre per il periodo 2015-2020, e considerando la correlazione dei dati mensili tra i due flussi è possibile stimare i decessi a livello nazionale per il mese di ottobre pari a 63.823 decessi (IC95%: 63.221 – 64.423) e di novembre pari a 88.300 (IC95%: 86.276 – 90.367). Complessivamente per il periodo gennaio-novembre 2020 vengono stimati circa 680.000 decessi che entro la fine dell’anno supereranno i 700.000 decessi totali, valore di gran lunga superiore al dato annuale ISTAT per il 2015 (656.196 decessi) e 2017 (659.473 decessi).

Covid-19 ha determinato un incremento della mortalità anche nelle fasce più giovani

Sia gli eventi estremi che l’influenza stagionale del 2015 e del 2017 hanno colpito una popolazione molto anziana, con il maggiore incremento di mortalità negli ultrasessantacinquenni (Rosano 2019) e ultraottantacinquenni (Michelozzi 2016). L’incremento osservato nel 2020 ha interessato sin dall’inizio dell’epidemia anche la fascia 15-64 anni, soprattutto uomini (Michelozzi Eurosurveillance 2020). Per questo, sono importanti analisi dell’impatto dell’epidemia, basate sugli anni di vita persi o sugli anni vissuti con disabilità, indicatori che assumono una maggiore rilevanza quando la quota di decessi nella popolazione più giovane è maggiore. Le analisi di impatto già disponibili (Hanlon 2020, Nurchis 2020) utilizzano i decessi Covid-19 da sorveglianza integrata ISS. Un’analisi appena pubblicata ha stimato che a causa del Covid-19 la speranza di vita alla nascita negli italiani si sarebbe ridotta di 1 anno circa, da 83,2 anni a 82,1 anni (stima basata sui parametri di sopravvivenza della tavola di mortalità ISTAT 2019) (Cislaghi 2020).

La mortalità Covid-19 rappresenta solo una frazione dell’eccesso di mortalità totale. Nell’analisi delle 32 città SISMG sulla prima ondata (Michelozzi BMC PH 2020), la frazione di decessi Covid-19 era pari al 66% nelle città del Nord e tale quota tendeva a diminuire con l’età, probabilmente a causa dei criteri di esecuzione dei test diagnostici, più orientati verso pazienti più giovani che in persone già fragili con un quadro clinico grave (es. ospiti delle RSA). Parallelamente, una quota aggiuntiva di decessi può essere riconducibile ad effetti indiretti dell’epidemia, per esempio in conseguenza della contrazione dell’offerta sanitaria dovuta alle misure di contenimento del contagio o alla paura di rivolgersi ai servizi assistenziali, diffusasi nella popolazione soprattutto nella prima ondata epidemica. In diverse regioni italiane, per esempio, durante il lockdown si è osservato un minore ricorso ai servizi di emergenza per condizioni anche gravi come ictus e infarto del miocardio, che può avere avuto ricadute in termini di mortalità (Pinnarelli 2020, Arniani 2020, Bonetti 2020), e questo probabilmente a svantaggio delle fasce socialmente svantaggiate (Michelozzi E&P 2020).

Solo la disponibilità dei dati sulla mortalità per causa consentirà di indagare gli effetti indiretti della pandemia su pazienti cronici, anche in relazione alle disuguaglianze di salute della popolazione.

Eccesso di mortalità, cosa è cambiato durante la seconda ondata?

Al 16 dicembre, l’Italia con i suoi 65 mila decessi Covid-19 è il quinto paese a livello mondiale per impatto sulla mortalità, e il primo in Europa (https://covid19.who.int/table). Questo valore sarebbe ancora maggiore se fossimo in grado di includere la quota di mortalità non Covid-19 comunque legata all’epidemia. Alla luce delle diverse considerazioni fatte, appare evidente come la mortalità totale rimanga l’indicatore più solido per monitorare l’impatto sulla salute dell’epidemia.

La sorveglianza SISMG e il network EuroMOMO, già collaudati in occasione di eventi estremi e picchi influenzali (Michelozzi 2016, Vestergaard 2017, 2020), forniscono uno strumento essenziale per stimare l’impatto della pandemia ed effettuare confronti geografici dell’eccesso totale per classi di età e genere. Per esempio, i dati EuroMOMO fino ad aprile 2020 stimano un eccesso totale di 185.287 decessi nei 24 paesi europei coinvolti e confermano che l’eccesso ha interessato principalmente gli ultrasessantacinquenni, ma anche le fasce più giovani 45–64 e 15–44 anni (Vestergaard 2020).

Uno dei dati più rilevanti e un’importante differenza tra la prima e la seconda ondata rimane la forte eterogeneità geografica della diffusione dell’epidemia e quindi degli eccessi di mortalità osservati nelle diverse aree del paese. Una valutazione esaustiva dell’eccesso di mortalità osservato nella prima ondata (Scortichini et al. 2020) ha stimato un eccesso di mortalità del 29,5% se riferito a tutta la popolazione italiana, con un incremento del 71% se ci si riferisce a solo tre Regioni del nord (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), con dati impressionanti in alcune province della Lombardia (la regione più colpita) dove sono stati osservati incrementi dell’800% nella settimana di picco della pandemia. Questi dati sottolineano l’importanza di considerare il forte impatto dell’epidemia in alcune aree che hanno fatto registrare eccessi di mortalità elevatissimi concentrate in alcune popolazioni e in un arco temporale molto limitato (Scortichini et al.2020).

I dati del SISMG consentono un monitoraggio dell’andamento della mortalità e dell’eccesso settimanale stimato nei 32 comuni aggiornati a cadenza settimanale utili per valutare l’evoluzione dell’epidemia e del suo impatto sulla salute in tempo reale (Rapporti SISMG, Ministero della salute).

La tempestività della sorveglianza SISMG consente un confronto in termini di eccesso di mortalità tra la prima e la seconda ondata. La figura 3 evidenzia come i dati siano pressoché sovrapponibili in termini di eccesso totale (+35% e +31% rispettivamente nella prima e seconda ondata), nonostante la prima fase dell’epidemia sia stata concentrata solo tra le città del Nord Italia mentre la seconda abbia interessato tutto il territorio nazionale. La seconda ondata dell’epidemia è stata però più prolungata rispetto alla prima, perché nella fase 1, in seguito alle misure di contenimento adottate dal Governo italiano a inizio marzo in tutto il paese, si è osservata una rapida flessione della curva epidemica che ha riportato dopo circa 63 giorni, a inizio maggio, la mortalità osservata entro i valori di riferimento.

Per quanto riguarda l’eccesso di mortalità per classi di età, si osserva un trend simile nelle due ondate, con un impatto maggiore nelle classi di età anziane (85+ anni: eccesso di mortalità del +47% e +36% nella prima e seconda ondata rispettivamente), ma con incrementi anche nella classe 15-64 anni. In particolare, nella seconda ondata l’eccesso di mortalità è stato lievemente maggiore proprio nelle classi di età più giovani (+20% vs +14% nella classe 15-64 anni e +28% vs +21% nella classe 65-74 anni) rispetto alla prima ondata. Queste differenze possono essere interpretabili alla luce della diversa estensione geografica delle due ondate, la prima prevalentemente al nord, e la seconda che ha interessato tutte le aree del paese con eccessi paragonabili pari a +33% e +29% rispettivamente al Nord e Centro-Sud, con il risultato di una maggiore pressione sul sistema sanitario anche in aree meno preparate ad affrontare la pandemia, per esempio con minor numero di posti letto in terapia intensiva o con una rete di medicina del territorio meno efficiente. Da sottolineare che anche nella seconda ondate le città in cui è stato osservato il maggior incremento di mortalità rimangono quelle del Nord (Rapporti SISMG) e la spiegazione delle differenze di diffusione dell’incidenza di epidemia e di impatto sulla mortalità tra le varie aree del paese devono essere ancora chiarite.

Anche nella seconda ondata non si può escludere che una quota dell’eccesso totale possa essere attribuibile a effetti indiretti della pandemia, soprattutto nelle aree del paese maggiormente interessate dai lockdown localizzati per il contenimento del contagio a livello locale.  

Figura 3. Eccesso di mortalità nelle due ondate dell’epidemia Covid-19 nelle città incluse nella sorveglianza SISMG

Perché la mortalità Covid-19 e l’eccesso di mortalità totale sono così elevate in Italia?

Uno studio americano che ha analizzato i dati fino a settembre 2020 inserisce l’Italia, insieme agli Stati Uniti fra gli otto paesi a elevata mortalità Covid-19 (tasso > 25 per 100.000 ab.) stimando per il nostro paese un tasso pari a 59.1 per 100.000 (Bilinski 2020). Differenze nella definizione di caso e nella capacità del sistema di identificare i casi di infezione e i decessi per Covid-19 possono essere alla base delle differenze osservate tra paesi e tra aree all’interno dello stesso paese. Un altro determinante importante è la capacità del sistema sanitario di far fronte all’emergenza sanitaria e di adattarsi all’andamento dell’epidemia per gestire flussi molto elevati di pazienti, attraverso la riorganizzazione di aree di degenza per intensità di cura e complessità assistenziale, oltre alla capacità di gestione dei pazienti non ospedalizzati assistiti presso il proprio domicilio o in strutture dedicate. L’offerta dei servizi e l’accesso all’assistenza sanitaria possono inoltre variare molto tra paesi essendo influenzate da fattori economici e sociali, e variare nel tempo in risposta alle misure di contenimento più stringenti (lockdown), spiegando parte delle differenze osservate nell’esito della malattia con meccanismi sia diretti che indiretti.

Alla base delle differenze osservate nella mortalità Covid-19 e nell’eccesso di mortalità totale vi sono anche differenze nella quota di anziani e nella prevalenza di patologie croniche ovvero nella quota di popolazione più suscettibile all’infezione e a maggior rischio di complicanze e decesso a causa della malattia. In conclusione, la mortalità è una importante sentinella non solo dell’impatto dell’epidemia in atto, ma anche dei complessi processi che legano i cittadini al servizio sanitario, oltre che ai determinanti che aumentano il rischio di decesso sia per COVID-19 che totale, come il livello di deprivazione socio-economica e la prevalenza di comorbidità (Jin 2020). Quella sui fattori di suscettibilità è un’altra importante area di ricerca, utile anche al fine di indirizzare per esempio la vaccinazione prioritariamente a coloro che hanno un maggior rischio di decesso (Jin 2020).

 

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