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Giovani atleti e Covid-19

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Al di là dei vantaggi fisici e psicologici, in epoca di Covid-19 la ripresa delle attività sportive per i ragazzi risponde all'impellente bisogno di normalità. E tuttavia, alcuni aspetti e momenti dello sport aumentano il rischio di contagio: l’American Academy of Pediatrics ha pubblicato una sorta di guida per aiutare i pediatri a informare le famiglie sui rischi per i giovani atleti e i loro eventuali familiari fragili, nonché sulle misure per ridurli e per mettere i genitori in grado di discutere tali misure con i responsabili dell’attività sportiva dei figli.

Dell’infezione da SARS-CoV-2 nell’infanzia, Scienza in rete si è già occupata in precedenza, ma vale la pena di tornare a parlarne, a proposito del ritorno in massa dei bambini e degli adolescenti alle attività extrascolastiche. Non si fa, qui, riferimento a quelle ludico-sociali, come lo shopping di gruppo con annessa puntata nella panineria (ingovernabili, a dispetto delle raccomandazioni familiari) e nemmeno a quelle di studio della musica (per loro natura esenti da assembramento), ma a quelle sportive formalizzate, che sono nuovamente praticate da una percentuale molto alta di ragazzi di età scolare.

Senza elencare i vantaggi psichici e fisici (immunitari, perfino) di fare sport in quest’età della vita, in epoca Covid è sufficiente dire che, per un giovanissimo, ritornare all’attività sportiva prescelta risponde al più impellente dei bisogni, quello della normalità, contesto necessario perché emerga la coscienza della propria eccezionalità individuale. In epoca Covid, tuttavia, molti elementi della pratica sportiva, come la frequentazione degli spogliatoi, il contatto testa-testa con l’allenatore che suggerisce le tattiche, il marcare a uomo il giocatore avversario mischiando i respiri affannati, gli abbracci di esultanza per un buon risultato, comportano un rischio di contagio virale molto reale. Naturalmente, l’entità di tale rischio differisce a seconda che lo sport sia individuale o di gruppo e, in questo secondo caso, se vi siano pochi o tanti partecipanti e se allenamenti e gare si svolgano all’aperto o al chiuso.

Al netto delle incertezze (che richiederanno ulteriori studi), le osservazioni finora effettuate permettono di dire che i bambini al di sotto dei dieci anni hanno meno probabilità di infettarsi e di trasmettere ad altri l’infezione, mentre i ragazzi oltre i dieci anni possono diffondere l’infezione tanto quanto gli adulti. L’American Academy of Pediatrics (AAP) ha pubblicato una sorta di guida (COVID-19 Interim Guidance: Return to Sports) per aiutare i pediatri a informare le famiglie sui rischi per i giovani atleti e i loro eventuali familiari fragili, nonché sulle misure per ridurli (pur nell’impossibilità di eliminarli del tutto) e per mettere i genitori in grado di discutere tali misure con i responsabili dell’attività sportiva dei figli.

L’AAP non consiglia l’effettuazione di un tampone o di un test sierologico prima dell’inizio di un’attività sportiva se il ragazzo non ha sintomi o non ha avuto contatti con un positivo accertato; le raccomandazioni “chiave” rimangono la riduzione dei contatti interpersonali, l’uso della mascherina ove non sia possibile mantenere una distanza adeguata e l’osservanza di una scrupolosa igiene delle mani. Le società sportive dovrebbero ridurre al minimo le trasferte, scoraggiare gli scambi di indumenti, di cibo e di bottiglie d’acqua, sanificare le rubinetterie e le maniglie dei bagni delle palestre, areare gli ambienti di sosta e di passaggio, invitare gli atleti a vestirsi, svestirsi e lavarsi a casa propria.

Uno degli argomenti su cui maggiore è la confusione è l’utilizzo della mascherina: essa dovrebbe essere indossata in permanenza da allenatori, personale addetto ai locali e spettatori. Tutti, compresi gli atleti, dovrebbero indossarla all’entrata e all’uscita del sito sportivo, che sono i momenti più affollati. Gli atleti dovrebbero tenere la mascherina “in panchina” quando non tocca a loro esercitarsi o giocare, mentre, durante l’attività fisica, l’OMS non ne raccomanda l’uso, per non compromettere né l’ossigenazione maggiore richiesta dallo sforzo, né il campo visivo. Gli adulti presenti nei centri sportivi dovrebbero ricordare frequentemente ai ragazzi di non toccare la faccia esterna della mascherina, di indossarla e rimuoverla prendendola per gli elastici e di lavare accuratamente dopo ogni allenamento le mascherine riutilizzabili.

Fin qui, le raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics ricalcano, più o meno, quelle relative alla frequentazione di qualsiasi locale pubblico e quindi già note agli adulti più responsabili; dove, invece, diventano molto importanti da conoscere sia per i gestori dei centri sportivi sia per i medici curanti sia per i genitori è nella gestione del ragazzo rinvenuto positivo al tampone. Eventuali sintomi o eventuali positività del tampone dell’atleta o di un suo familiare impongono la quarantena nella misura decretata dall’autorità sanitaria locale e devono essere subito comunicati allo staff sportivo per il tracciamento dei contatti.

I casi di malattia conclamata nei bambini e negli adolescenti non sono frequenti e i quadri clinici osservati comportano segni respiratori come rinorrea, tosse, febbre, mal di gola (peraltro presenti nella metà dei casi) o digestivi, come diarrea o vomito o cutanei (eruzioni aspecifiche) o neurologici (irritabilità inspiegata). Soprattutto prima dei dieci anni, sono rari, invece, i segni peculiari della Covid-19 degli adulti, come la polmonite radiologicamente tipica, l’anosmia e l’ageusia. I rilevi tomografici di un interessamento polmonare infantile di solito rilevano una sua minore gravità. Tuttavia, in letteratura stanno aumentando le segnalazioni di una relazione stretta tra Covid-19 (anche pauci- o asintomatica) e miocardite; e la miocardite virale non è un’affezione da prendere alla leggera, dal momento che può innescare aritmie fatali anche in cuori con funzione ventricolare normale.1

Secondo le raccomandazioni dell’AAP, i bambini e gli adolescenti che hanno manifestato febbre prolungata, ipotensione, dispnea, astenia, insufficienza renale o segni della malattia infiammatoria sistemica denominata MIS-C (Multisystem Inflammatory Syndrome in Children), dovrebbero a priori essere trattati come se il muscolo cardiaco fosse coinvolto e quindi esclusi da ogni esercizio fisico per un periodo da 3 a 6 mesi, con la ripresa dell’attività sportiva subordinata ai risultati normali dell’ECG delle 24 ore e di quello dopo sforzo, dell’ecocardiogramma ed, eventualmente, della RM cardiaca. I ragazzi con sintomi modesti (compresa la febbre) devono, per precauzione, non avere più alcun sintomo per 14 giorni ed eseguire un ECG prima di riprendere l’attività fisica; anche ai ragazzi asintomatici, ma positivi al tampone o contatti stretti di un positivo, dovrebbe essere imposto una sospensione dall’attività sportiva della stessa durata. Questo periodo serve a sorvegliare l’eventuale comparsa di qualsiasi sintomo cardiaco come fiato corto, dolori al petto, facilità alla stanchezza, palpitazioni o sincopi.

 

Note

1. Puntmann VO et al. Outcomes of cardiovascular magnetic resonance imaging in patients recently recovered from coronavirus disease 2019 (COVID-19). JAMA Cardiol. Published online July 27, 2020. doi:10.1001/jamacardio.2020.3557

 

 


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