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Covid-19: la scelta degli inglesi

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In Gran Bretagna gli obiettivi sono uguali al resto dei paesi europei: contenere l'epidemia. Ma la strategia,  al momento, sembra essere molto diversa e non prevede le forti restrizioni imposte fin da subito in Italia. Stefania Salmaso, che dal 2004 al 2015 ha diretto il Centro Nazionale di Epidemiologia Sorveglianza e Promozione della Salute dell’ISS, analizza le assunzioni alla base di questa strategia. Immagine:  Boris Johnson, affiancato da Chris Whitty, UK chief medical officer (a sinistra) e Patrick Vallance, UK lead science adviser (a destra), Londra, 9 marzo. Foto di Jason Alden/Bloomberg.

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Lo scorso 12 marzo il Primo Ministro britannico Boris Johnson,  pur riconoscendo che la pandemia è la più grande emergenza sanitaria di questa generazione,  ha dichiarato che per il momento in UK non vengono prese misure drastiche di distanziamento sociale, ma confida sulla costituzione di una “herd immunity” nella popolazione, causata in modo naturale dalla circolazione dell’infezione.  L’obiettivo primario dichiarato della risposta inglese alla pandemia è  “ridurre il picco epidemico, appiattirlo e allargarlo, in modo da allentare la pressione sui servizi sanitari”. L’obiettivo dichiarato è quindi lo stesso di quello italiano, ma la risposta britannica è apparentemente molto diversa dalla nostra.  

Anche in UK come in molti altri Paesi (tra cui l’Italia) il piano di contrasto ad una pandemia prevede le classiche quattro fasi:

  1. contenimento dei primi casi (importati) per evitare la diffusione;
  2. ritardo della diffusione con misure di isolamento dei primi casi;
  3. ricerca scientifica per lo sviluppo di un vaccino;
  4. mitigazione dell’impatto sanitario della pandemia, mediante definizione di priorità tra le risorse disponibili e valutazione degli effetti economici.

I primi casi confermati di Covid-19 in UK dalla fine di gennaio 2020 erano in persone provenienti da altri paesi. Secondo le stime dei modellisti gli interventi di contenimento intorno ai primi casi sono efficaci se viene rintracciata e isolata la maggior parte dei contatti entro poco tempo, prima che riescano a contagiare altre persone. Tuttavia, in base al numero di casi “esportati” dal focolaio cinese, i ricercatori inglesi hanno stimato che il numero degli infetti entrati in UK fosse molto più grande di quanto rilevato ufficialmente: almeno due terzi delle persone che sono tornate con l’infezione dalla Cina non sono state identificate. L’osservazione indica come la fase di contenimento sia necessariamente temporanea e non risolutiva e infatti la  prima documentata trasmissione in UK è del 28 febbraio 2020.  Subito dopo sono stati registrati casi in diverse parti del paese e al 16 di marzo il totale è salito a 1.543 casi confermati  e 53  decessi.  

A marzo le previsioni peggiori indicavano che, in assenza di misure di controllo, nel giro di tre settimane si sarebbero verificati il 50% dei casi e nel giro di nove settimane si sarebbero verificati il 90% dei casi.

Alla conferenza stampa il premier britannico ha annunciato che le persone che hanno i sintomi di Covid-19 , anche lievi (tosse persistente o febbre alta) devono stare a casa per almeno 7 giorni.  Alle persone di età superiore ai 70 anni e a quelle di qualsiasi età, ma con malattie serie, si consiglia di non andare in crociera e di non partecipare a viaggi scolastici.  Inoltre, ha preavvisato che nelle prossime settimane probabilmente verrà richiesto che tutti i conviventi di una persona con sintomi rimangano a casa per una settimana, ma tale precauzione non è richiesta.  Gli eventi pubblici non sono stati per ora proibiti perché si ritiene che abbiano poco impatto sulla diffusione della pandemia. Successivamente alla conferenza stampa si è sconsigliato caldamente alle persone di andare a concerti, discoteche, pub. Anche le scuole per il momento non sono state chiuse se non a macchia di leopardo in certe zone, per iniziative locali, perché si ritiene che lasciare gli scolari a casa  sia più dannoso per l’assenteismo indotto dei genitori che benefico per la riduzione della pandemia.

In pratica il governo in prima battuta ha raccomandato l’autoisolamento per chi manifesta sintomi compatibili con Covid-19: le persone che hanno febbre e tosse persistente sono invitate a rimanere a casa per 7-14 giorni, non è richiesta la segnalazione ai sanitari, né alcun esame per la ricerca dell’infezione.

La scelta inglese sembra basarsi sulle seguenti assunzioni. Primo, la pandemia è inevitabile. Secondo, la circolazione del SARS-COV 2 durerà per più di una stagione e potrebbe ripresentarsi uguale periodicamente al pari dell’influenza. Terzo, il rischio maggiore per l’acquisizione dell’infezione è rappresentato dai contatti stretti con i conviventi. Quarto, gli eventi di massa contribuiscono relativamente poco alla ulteriore diffusione della pandemia. Quinto, la trasmissione nella popolazione scolastica non è rilevante per la pandemia. Infine, le persone contagiate diventano e rimangono immuni per un lungo arco di tempo.

Il piano del governo viene presentato come un piano a lungo termine in cui i cui le esposizioni al contagio porteranno almeno il 60% della popolazione a essere contagiata e a sviluppare immunità. Tale proporzione dovrebbe limitare la circolazione dello stesso virus nelle prossime stagioni. La diffusione delle infezioni dovrebbe essere rallentata dall’isolamento volontario delle persone con sintomi e in futuro dei loro conviventi naturalmente immunizzati.  A queste prime misure  potrebbero seguire misure più drastiche di contenimento, che il governo inglese è convinto di poter introdurre successivamente  per non sottoporre la popolazione a un regime troppo prolungato di quarantena, e ai relativi effetti economici.

Molte delle assunzioni non sembrano sostenute da dati solidi, né da istituzioni internazionali quali l’Organizzazione mondiale della sanità e il Centro europeo per il controllo delle malattie infettive, che per esempio raccomandano di limitare gli eventi di massa. L’induzione di immunità di lunga durata da parte dell’infezione è tutta da dimostrare, data la novità della malattia. Anche l’aspettativa che lo stesso identico virus si ripresenterà immutato nelle prossime stagioni, è una speranza non confermata.  

Molte sono ancora le incertezze sul virus SARS-COV-2, che sta tenendo in scacco gran parte del mondo, e diverse opzioni per limitare i danni sono sul tavolo, ma sappiamo fin da ora che le scelte di ogni paese avranno importanti conseguenze per tutti. 

 


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