Le criticità nel contenimento dell’epidemia di Covid-2019 stanno venendo fuori in maniera prepotente, basta guardare il drammatico documento prodotto il 7 marzo da medici e infermieri lombardi che stanno sacrificandosi nella prima linea di argine al contagio. Nonostante questo, finita per fortuna l’orgia di polemiche politiche utilizzanti emergenza per fini di consenso, si stanno tuttavia ancora ascoltando voci che invocano la necessità di “non farsi condizionare dall’ansietà e mantenere una vita normale”. Alcune di queste voci ricordano che stanno morendo solo persone anziane con patologie multiple e che le persone in buone condizioni di salute non corrono essenzialmente alcun rischio: quindi, niente da temere!
Le cose non stanno così. Quindici anni fa epidemiologi e modellisti matematici in tutto il pianeta si confrontavano con la preparazione dei piani di contrasto a future pandemie – allora faceva molta paura la possibilità di una pandemia di influenza aviaria, un patogeno ad altissima mortalità - e l’Italia aveva elaborato un dettagliato “piano pandemico”. Purtroppo, come ricordava in un articolo di Stefania Salmaso, quel lavoro è stato prematuramente dimenticato, anche se da esso è nato un eccellente gruppo di modellisti, ora pienamente integrato nell’unità di crisi che sta gestendo l’emergenza.
Nelle misure di contenimento che allora erano state valutate rientravano – insieme a varie altre – quelle di riduzione dei contatti sociali (o come spesso si dice ora, di “distanziamento sociale”), a partire dalla chiusura delle scuole e delle università, attuata sul territorio nazionale dal 5 marzo, ed eventualmente anche dei posti di lavoro. Il successo della Cina nel contenimento è stato dovuto anche al massiccio ricorso alla chiusura dei posti di lavoro, mentre da noi è ancora considerata una possibilità remota, fatto salvo per le zone rosse.
Lo scopo delle misure che erano state valutate era quello di rallentare il corso epidemico e conseguentemente ridurre le pressioni sul sistema sanitario, al fine di consentire la predisposizione di un vaccino (che tra l’altro sapevamo sarebbe arrivato in un tempo assai più breve di quanto non sia possibile per l’attuale coronavirus). Le riflessioni di allora si stanno drammaticamente concretizzando adesso. E molti stanno finalmente comprendendo la ragione degli interventi attuati: non semplicemente per contenere la crescita dei contagi da un’infezione che sappiamo essere moderata per i più, bensì per evitare il collasso catastrofico dei presidi a difesa della vita degli ammalati gravi, dalle sale di terapia intensiva alla salute di chi sta difendendo la nostra salute – medici ed infermieri di prima linea - e di tutti i servizi di retrovia. Questo collasso non solo comprometterebbe la possibilità di salvare le vite dei malati gravi di coronavirus ma metterebbe a rischio tutte le strutture di emergenza e interi ospedali. Allora sì che sarebbe il caos.
Ecco perché questi interventi richiedono adesso il massimo della collaborazione da parte di tutti. Quando diciamo “tutti” intendiamo “senza eccezione”, compresi coloro che si credono completamente al di fuori dei rischi.
Spieghiamo perché. Nello stesso periodo della preparazione dei piani pandemici nasceva l’epidemiologia comportamentale delle malattie infettive, una nuova disciplina scientifica che per la prima volta riconosceva il ruolo critico delle risposte degli individui nel determinare il successo delle politiche di contrasto alle infezioni. E la prima domanda che i modellisti posero in relazione al possibile successo delle misure di chiusura delle scuole e dei posti di lavoro era proprio su come si sarebbero comportati, per esempio, gli studenti. Lo scopo della chiusura delle scuole è quello di ottenere una riduzione importante dei cosiddetti contatti sociali “strutturati” (i contatti che dipendono dalla organizzazione della società: nelle scuole, nei posti di lavoro, nelle stesse famiglie).
Ma una riduzione dei contatti strutturati può promuovere una riduzione della trasmissione dell’infezione solo se il tempo di chiusura delle scuole non è considerato dagli individui (per esempio: dagli studenti) come tempo libero da impiegarsi per “recuperare” i contatti persi o, peggio, per avere altri tipi di contatti sociali. Se semplicemente usiamo il tempo libero in più per incontrarci tutti i pomeriggi o sere a casa di qualcuno – come fatto dagli studenti di un liceo milanese e riportato dalle televisioni come vittoria contro il panico - allora nei fatti stiamo opponendoci agli interventi messi in atto, mettendone a rischio l’efficacia. Peggio ancora se per farlo ci spostiamo in un'altra città o attuiamo attività estemporanee.
Tutto questo perché il vero rischio non è in prima battuta della propria salute (se si è giovani e in buona salute) quanto quello che si ritrasmetta ad altri. La matematica è precisa: una volta infetti potremmo – in questa fase dove tutti sono suscettibili - ritrasmettere il virus in media ad altre 2-3 persone (il famoso R0), e ciascuno di loro lo ritrasmetterà ad altre 2-3 persone e cosi via. E fatalmente e rapidamente la catena arriverà a qualche persona, anziana o meno, in non buona salute, per la quale il virus diventa pericolosissimo.
Diamo un nome e un volto a questa persona anziana: la nonna, il nonno, lo zio, ma anche il papà con la pressione alta, la mamma cardiopatica, la vicina del pianerottolo che va tanto spesso in ospedale....
Quella persona dovrà essere ricoverata, potrebbe contagiare del personale medico, e in ogni caso contribuirà a mettere in crisi il sistema sanitario. Ecco allora che il contributo di tutti, indistintamente, i normali cittadini diventa decisivo. Inclusi adolescenti e giovani.
Quindi: niente panico, è giusto. Tuttavia mantenere una vita normale non è possibile, siamo in un’emergenza vera. Ecco quello che serve: tanta attenzione, tantissimo altruismo, tanta solidarietà. Ce lo ha ricordato il presidente Mattarella. Ogni persona che evita di diventare un trasmettitore del virus, ogni contatto evitato, può voler dire una vita risparmiata in più, un medico infetto in meno, un letto occupato in meno in sala rianimazione e quindi un contributo decisivo alla tutela del sistema sanitario.
Ricordiamoci di chi si sta sacrificando senza sosta per questa battaglia, generosamente e correndo rischi reali: medici e infermieri, e tutto il personale che sta venendo portato in prima linea. E poi tutti coloro che garantiscono i servizi essenziali in questa fase: l’energia, il cibo, l’informazione, l’ordine pubblico…
Invece per i cittadini, soprattutto per i giovani che forse non vedono i rischi, non c’è nessun terribile sacrificio, confidiamo che duri al massimo qualche mese. Ma facciamolo ora, più tardi sarebbe sicuramente molto meno efficace.
Non ci sono dei consigli sempre validi ed efficaci, se non quello fondamentale di limitare i contatti non strettamente necessari. In questo l’uso di Internet rende questo sforzo meno duro che in passato. Il buon senso può tradire, quindi: seguire accuratamente le indicazioni delle autorità. E infine il mondo economico e delle imprese qui deve proprio fare uno sforzo in più, come ricordato da molti: in questo momento nessuno deve percepire la salute, propria e di altri, come un lusso da poter scambiare con altre cose. Serve avere piena coscienza che un euro guadagnato in più oggi potrebbe costare moltissimo domani. Ovunque possibile occorre non solo consentire ma favorire il telelavoro e gestire il non lavoro. Il Governo ma anche gli attori del credito a sua volta dovranno aiutare davvero tutti gli attori economici. La società civile e il mondo economico non possono fare come se nulla fosse.
Bibliografia
- Piero Manfredi and Alberto d'Onofrio (eds) Modeling the Interplay Between Human Behavior and the Spread of Infectious Diseases. Springer Verlag (2013)
- Wang Zhen, C.T. Bauch, S. Bhattacharyya, A. d'Onofrio, P. Manfredi, M. Perc, N. Perra, M. Salathé, and Dawei Zhao. "Statistical physics of vaccination." Physics Reports 664 (2016): 1-113.