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La scienza al servizio della democrazia

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Un momento del convegno "La scienza al servizio della democrazia", tenutosi il 26 giugno 2019 presso la LUISS - School of Government. Da destra, Lydia Harris, funzionaria del POST britannico, Alessandro Allegra, di #ScienzaInParlamento, Theodoros Karapiperis, Scientific Foresight Unit del Parlamento europeo, Chiara Sabelli, di #ScienzaInParlamento. Foto: Luca Carra

Non ci poteva essere titolo migliore per un Convegno con l’ambizione di discutere la proposta di istituire un servizio di scienza e tecnologia nel Parlamento italiano, avanzata tre mesi fa dal gruppo #ScienzaInParlamento: “La scienza al servizio della democrazia”. E questo infatti è stato lo spirito che ha animato la mattinata di presentazioni alla LUISS - School of Government di Roma lo scorso 26 giugno.

Come ha spiegato Ruggero Bettinardi, di #ScienzaInParlamento, “Scienza e politica sembrano a volte parlare lingue diverse, e sono spesso visti come due mondi separati, ognuno dei quali si occupa di temi che hanno poco a che vedere con l’altro. Ma così ovviamente non è, e soprattutto, crediamo che così non debba essere”1.

Gli esempi stranieri

Cosa può fare allora la scienza per rendere le decisioni dei legislatori più informate e consapevoli? Fra i primi ad affrontare questa domanda sono stati già da anni i parlamenti di tradizione anglosassone e nordeuropea. Per questo motivo è stata particolarmente apprezzata la relazione di Lydia Harris, fisica di formazione che lavora all’Ufficio di Scienza e tecnologa del parlamento britannico (POST). Dalla sua presentazione si è capito subito cosa non è un ufficio di questo genere: un luogo di lobbying della scienza, un foro accademico, un istituto di ricerca. Il POST è piuttosto un servizio di documentazione e comunicazione scientifica a disposizione dei parlamentari. Funziona sia a richiesta dei parlamentari, sia proponendo autonomamente argomenti scientifici che si reputano importanti per il presente e il futuro della politica. Qualche esempio? Vaccini, 5G (in corso di realizzazione), cambiamento climatico e agricoltura, ondate di calore, nuove terapie contro il cancro (qui l’elenco completo). I temi vengono proposti dai funzionari del POST (una decina di comunicatori della scienza con formazione scientifica) a una commissione composta da parlamentari di ogni partito e rappresentati delle accademie scientifiche nazionali, che ne decidono l’orientamento del lavoro. Quindi fin dall’agenda c’è una negoziazione, o se vogliamo un dialogo fra ricercatori e politici. La scienza al servizio della democrazia, appunto.

Il POST produce diversi documenti, dalle Notes di 4 pagine a report più sostanziosi. Le Notes hanno la caratteristica di essere imparziali, chiare, sintetiche e rigorose. Dove altro al mondo, per preparare un brief di 4 pagine in formato A4 degli esperti documentaristi conducono una analisi della letteratura, intervistano dai 30 ai 40 esperti esterni, e fanno rileggere il tutto a peer reviewer esterni? Le Notes, inoltre, non fanno raccomandazioni, si limitano a descrivere i fatti e le prove scientifiche. Le raccomandazioni, le decisioni, spettano ai decisori politici. Il POST britannico ha una decina di dipendenti, ma un notevole turnover di phD che trascorrono un periodo di stage "imparando" in Parlamento il mestiere di consigliere scientifico. Queste fellowship sono finanziate dall’agenzia per il finanziamento alla ricerca britannica, UK Research&Innovation, che raccoglie i vari Research Councils per le diverse aree disciplinari, e da varie fondazioni scientifiche.

Come il POST, anche la Scientific Foresight Unit del Parlamento europeo (un tempo noto con il nome di STOA) produce documentazione scientifica sui temi di ampio respiro tipici della governance europea: agricoltura, clima, energie rinnovabili, sicurezza. Come ha raccontato il responsabile di questo ufficio, il greco Theodoros Karapiperis, fisico nucleare di formazione e ormai da anni funzionario parlamentare europeo, l’unità europea produce scenari e valutazioni scientifico-tecnologiche, interfacciandosi con i deputati europei così come con gli altri centri di studio e informazione scientifica del Parlamento.

Sia il POST che l’unità del Parlamento europeo non guardano solo al presente, ma elaborano anche documenti e organizzando incontri in cui si scandagliano la nuove tendenze scientifiche e tecnologiche che plasmeranno la società futura, come l’Intelligenza artificiale, l’editing genetico, le nuove fonti di energia per contrastare il cambiamento climatico.

I centri studi di Camera e Senato

Il convegno ha fatto interagire i rappresentanti di questi uffici con esponenti della nostra realtà nazionale. I due capi dei servizi studi di Camera e Senato, Giovanni Rizzoni e e Luigi Gianniti, hanno spiegato prima di tutto come funzionano i loro uffici, composti da una cinquantina di esperti in discipline economico-giuridiche che hanno il compito di rivedere leggi, norme e regolamenti alla luce del corpo giuridico vigente. A questi servizi si aggiunge l’Uffico Parlamentare del Bilancio, il centro per le valutazioni economiche che ogni anno fa pelo e contropelo al documento in assoluto più importante del governo, la legge di stabilità. Il loro parere, a volte critico, non è vincolante ma certo può condizionare la versione finale della legge.

Il limite delle audizioni parlamentari

Al di fuori di questi servizi, che non hanno al loro interno competenze scientifiche, lo strumento a disposizione del Parlamento italiano per acquisire pareri scientifici è quello delle audizioni, dove le commissioni incaricate chiamano gli esperti attingendo anche da università ed enti di ricerca come ISS, ENEA, ISPRA, a seconda dei temi trattati.

Il convegno ha mostrato con grande chiarezza la differenza fra audizioni episodiche di esperti (con il loro inevitabile e a volte incomprensibile gergo tecnico) e una struttura permanente e indipendente di professionisti della comunicazione e della intermediazione fra scienza e politica, organici al Parlamento, capaci di sintesi equilibrate e comprensibili. “La più grande soddisfazione che si possa provare è quando durante un dibattito al Parlamento un deputato si alza sventolando una della nostre Note, mostrando in questo modo la grande fiducia che il POST si è guadagnato in questi 30 anni di attività” ha commentato Lydia Harris.

Humanities e scienze, prove di dialogo

Certo, ascoltando gli interventi dei professori della School of Government della LUISS (Giovanni Orsina e Nicola Lupo) e dei funzionari parlamentari emerge la tradizione umanistica italiana, molto attenta agli aspetti giuridici e storico-sociali, meno alle scienze fisiche e della vita, rappresentate invece dai ricercatori coinvolti nel dibattito: l’astrofisica INAF Patrizia Caraveo, il climatologo del CNR Antonello Pasini e lo storico della medicina del San Raffaele Andrea Grignolio. Dalla loro testimonianza è emerso come stia crescendo nel mondo della ricerca la voglia di incidere sulla politica, come mostrano il libro bianco su ricerca e sicurezza del Gruppo 2003, l’iniziativa “La scienza al voto” dedicata ad allineare la comunità politica alla crisi climatica, e il Patto trasversale per la scienza, più focalizzata sulle scienze della vita.

I due mondi hanno finalmente cominciato a parlarsi anche in Italia, il primo sottolineando l’autonomia della sfera politica, al massimo “arginata” dalle competenze scientifiche, il secondo che reclama un ruolo maggiore nella formazione della decisione politica da parte del sapere tecnico-scientifiche.

Partiti, populismo e competenze

Luciano Violante, che da presidente della Camera varò il solo tentativo di creare una struttura interna di valutazione scientifico-tecnologica (il comitato VAST), ha concluso i lavori ricordando come sia mutato il panorama dei rapporti fra competenze scientifiche e politica, anche a causa della "evaporazione" dei partiti storici, che un tempo avevano fior di uffici studi dove non mancavano ricercatori. Anche i Ministeri potevano contare di competenze scientifiche più solide di quelli attuali.

La stagione populista, peraltro, sta semplificando ancora di più il quadro, mettendo in discussione la stessa interazione di competenze e politica. Per citare un esempio di cronaca: Vuole il governatore della Banca d’italia suggerire misure diverse da quelle previste dal governo? Si faccia eleggere!

Come ha osservato Giovanni Orsina della LUISS, il populismo può essere letto come una riposta sintomatica della politica che recupera spazi di autonomia dopo la sovraesposizione che nei "governi tecnici" hanno assunto le competenze svincolate da un’investitura popolare.

Per questo pare importante rendere più forte e stabile il rapporto fra scienza e politica, dotando il Parlamento italiano di un servizio dedicato. “Non è, come qualcuno ha obiettato, una duplicazione dei centri di ricerca esistenti, nelle cui funzioni rientrano principalmente l’advisory scientifico al governo” ha spiegato Alessandro Allegra, di ScienzaInParlamento. “Gli organismi parlamentari di cui si è parlato al convegno fungono piuttosto da ponte fra la comunità scientifica e politica. Le persone che vi lavorano devono preferibilmente avere una formazione scientifica ma essere anche esperte nella comunicazione e nelle procedure parlamentari”2.

Un mondo di mezzo, per riconciliare scienza e politica.

 

Note

1. La presentazione di ScienzaInparlamento di Ruggero Bettinardi. Si veda anche l'articolo di Chiara Sabelli "Parte l'appello ScienzaInParlamento".

2. L’intervista ad Alessandro Allegra su Radio Tre Scienza.

 


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