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La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura

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"La ricerca in Italia per una società sostenibile e sicura", pubblicato da Zadig, è stato presentato il 20 marzo a Roma, all'Accedemia dei Lincei, in occasione della conferenza annuale del Gruppo 2003, che ne ha redatto il testo. Qui una sintesi a cura di Silvia Bandelloni e le video-interviste ad alcuni autori, a cura di Giuseppe Nucera.

Ricerca e Innovazione in Italia

Leopoldo Nascia - Ricercatore presso l’ISTAT e autore RIO country report
Mario Pianta - Professore di politica economica alla Scuola normale superiore di Firenze

Intervento di Mario Pianta, della Scuola Normale Superiore di Firenze, durante l'evento "La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura" tenutosi all'Accademia dei Lincei il 20 marzo 2019. Video di Giuseppe Nucera

Il settore pubblico ha disinvestito il 20% nella ricerca negli ultimi dieci anni, e i giovani ricercatori lasciano il Paese. Gli effetti della crisi dell’ultimo decennio hanno ulteriormente aggravato le debolezze tradizionali legate alle limitate attività tecnologiche del Paese. Sebbene l'approvazione del Programma nazionale della ricerca 2015-2020, il lancio di Industria 4.0, l'estensione degli incentivi fiscali per la R&S privata e i finanziamenti per le università con una più elevata qualità della ricerca abbiano registrato alcuni sviluppi negli ultimi due anni, la spesa pubblica per R&S è diminuita del 20% dal 2008 al 2016 e quella per le università statali è stata ridotta del 14% dal 2008 al 2014. Le attività di ricerca di molte imprese sono state trasferite all'estero, le politiche di austerità hanno ridotto la spesa pubblica per la ricerca e l'università e migliaia di giovani ricercatori altamente qualificati stanno lasciando il Paese per cercare lavoro all'estero.

 

Figura 1. Spesa per R&S e crescita del valore aggiunto nell’industria manifatturiera in Germania (DE) e Italia (IT), 1995-2014. Settori Pavitt rivisti: SB industrie basate sulla scienza; SS produttori di macchinari; SI industrie ad alta intensità di scala; SD settori tradizionali

Nell’ultimo decennio le iscrizioni alle università italiane sono calate del 20%. La crisi del 2008 abbinata al taglio dei fondi pubblici ha portato alla riduzione delle iscrizioni nelle università italiane, con una contrazione del 20,4% tra l’anno accademico 2003-2004 e il 2014-2015. L’indebolimento del sistema universitario rischia di portare a: (a) una struttura economica in cui prevalgono le tecnologie medio-basse, con bassa produttività; (b) una modesta domanda di lavoro per laureati da parte delle imprese.

Il divario fra Nord e Sud del Paese nella ricerca. Si assiste già da tempo a un divario regionale nella ricerca e nell'innovazione in Italia, che ha colpito in particolare le regioni del Centro Italia e il Mezzogiorno con una perdita di capacità tecnologica e produttiva. Le attività di ricerca e sviluppo si sono concentrate nelle regioni settentrionali più forti. Le politiche di spesa pubblica in R&S, i finanziamenti pubblici alle università e gli incentivi fiscali alle imprese hanno contribuito ad ampliare le disparità regionali. La concentrazione degli sforzi di R&S nelle principali regioni settentrionali ha messo in moto un grande flusso migratorio interno di studenti universitari, di laureati in cerca di occupazione, di lavoratori altamente qualificati e di ricercatori. Da un lato tale fenomeno favorisce le regioni più forti, ma d'altra parte riduce la qualità del lavoro e le competenze disponibili nelle regioni "periferiche", con una caduta delle performance complessive. Una nuova politica diventa urgente per riequilibrare le asimmetrie territoriali, per prevenire un'ulteriore polarizzazione e un fattore di indebolimento del sistema di Ricerca e Innovazione italiano.

E’ necessario un rilancio in ricerca e innovazione per l’occupazione e la crescita. Queste sfide, anche nella loro proiezione europea, sono state ben sintetizzate dalle Accademie delle Scienze dei Paesi del G7, che nel 2017 hanno prodotto la dichiarazione congiunta "Nuova crescita economica: il ruolo di scienza, tecnologia, innovazione e infrastrutture". In linea con l'Obiettivo 9 dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, le Accademie delle Scienze del G7 hanno sviluppato il tema dello sviluppo sostenibile, che consiste nel "costruire infrastrutture resilienti, promuovere un'industrializzazione inclusiva e sostenibile e promuovere l'innovazione". Gli investimenti in scienza, tecnologia, innovazione e infrastrutture devono quindi mostrare il loro contributo alla crescita mondiale sostenibile e inclusiva.

Ricerca e Innovazione in Europa

Luca Moretti – Capo dell'ufficio di collegamento del CNR-UE a Bruxelles

Intervento di Luca Moretti, del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Bruxelles, durante l'evento "La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura" tenutosi all'Accademia dei Lincei il 20 marzo 2019. Video di Giuseppe Nucera

La performance dell’Italia nel programma quadro Horizon 2020. In Horizon 2020, l'Italia ha avuto una performance in linea con il suo impegno in Ricerca e Innovazione, in termini di investimenti e di capacità innovativa. Ma con un numero di partecipazioni poco superiore alla nostra, la Germania riporta a casa quasi il doppio di finanziamenti, potendo contare su un volume doppio o triplo di ricercatori. Tuttavia gli stakeholder italiani godono di un'eccellente e meritata reputazione e sono spesso richiesti nei partenariati proprio in virtù della qualità che conferiscono al progetto. Dal punto di vista dell’eccellenza, quindi, non abbiamo avuto debolezze e non ne avremo probabilmente in futuro. Occorre però tenere in considerazione che il nuovo Programma quadro si sta profilando più verso l’Innovazione che verso la Ricerca: confidando nelle capacità di adattamento del nostro sistema ricerca, sarà necessario sfruttare al meglio i prossimi due anni, per farci trovare pronti al cambio di paradigma. È evidente che per mantenere alte le giuste ambizioni di un Paese membro del G7 sono necessari interventi che mettano la ricerca e il relativo capitale umano al centro delle politiche nazionali.

La scommessa del nuovo programma quadro 2021-2027. Nel giugno 2018 la Commissione Europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio la proposta per il prossimo Programma quadro per Ricerca e Innovazione, che rappresenta una scommessa esistenziale per l’Europa, turbata in tempi recenti da tensioni e tentazioni di disimpegno da parte di alcuni Paesi. La dotazione finanziaria del programma Horizon Europe (94 miliardi proposti) è necessariamente legata all’approvazione del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 proposto dalla Commissione al Consiglio Europeo. Ci si aspetta che l’Unione Europea svolga un ruolo più importante in nuovi ambiti d'intervento, come la migrazione, la sicurezza interna ed esterna o la difesa, mantenendo al contempo un ruolo di rilievo sulla scena mondiale. Questi obiettivi devono essere raggiunti con una dotazione complessiva destinata a diminuire con l'uscita del Regno Unito, il cui disimpegno UK rappresenta quasi il 13% del budget (più o meno 13 miliardi di euro nell’attuale budget europeo).

Figura 2. Quadro Finanziario Pluriennale 2021-27 (Credit: Commissione Europea)

Divisioni fra i paesi europei sulle voci di bilancio. Dal dibattito emergono alcune questioni fondamentali. Prima di tutto come ripartire il bilancio dell’UE per assicurare che le risorse siano destinate ai bisogni della società civile. La Commissione ha proposto un modello di ripartizione del budget complessivo, ma saranno gli Stati membri nei prossimi mesi a definire la dotazione e l’allocazione delle risorse. Il tema “Agricoltura e risorse naturali”, pur restando la seconda voce del bilancio per quantità di fondi allocati, è stato ridotto. La “Politica di Coesione” è la voce più consistente del bilancio, anche se ci saranno maggiori obblighi di indirizzare parte delle risorse a infrastrutture di ricerca. “Ricerca e Innovazione” ha avuto un incremento sia in termini di budget che di rilevanza strategica. Ci sono inoltre ingenti risorse per la ricerca nel settore “Sicurezza e Difesa”. È indubbio che tutti i Paesi, favorevoli o meno a ridurre la percentuale di contributo al budget, si affanneranno a congetturare se ci sarà maggiore ritorno rinforzando la Politica Agricola e la Coesione o la Competitività, espressa dalla voce Ricerca. Lo scenario è reso ancor più incerto dalle elezioni europee di metà 2019, che potrebbero restituirci un Parlamento profondamente modificato negli equilibri e permeato di quelle derive sovraniste che non aiutano il progetto europeo.

Francia e Germania puntano sull’eccellenza e la competitività scientifica mentre i nuovi entrati insistono su una distribuzione più equa delle risorse. Un altro elemento che possiamo identificare come critico in questa fase di negoziato è la perdurante dicotomia tra i 15 vecchi Stati membri, favorevoli alla dimensione dell'eccellenza scientifica, e i 13 nuovi entrati, che mirano a misure di riequilibrio delle eccellenze. Questo gap è fornito da un indicatore complesso adottato dall’UE – l’European Innovation Scoreboard – che analizza la performance degli Stati membri, e li aggrega in 4 categorie in funzione delle capacità in Ricerca e Innovazione. I dati mostrano chiaramente che i Paesi a bassa capacità innovativa, tra cui l’Italia, sono gli stessi che investono meno in Ricerca e Sviluppo.

La ricerca scientifica aiuta la coesione in Europa. L’inevitabilità di puntare sull’eccellenza. E’ bene non dimenticare che, per la sua natura universalistica e collaborativa, la ricerca ha un ruolo chiave nella creazione e nel mantenimento di un'Europa unita. In alcuni casi, le relazioni tra team scientifici di differenti Paesi hanno facilitato l’avvicinamento tra i rispettivi governi. La diplomazia scientifica ha contribuito a rafforzare le relazioni tra Paesi, indipendentemente da differenze religiose, politiche o strutturali. La ricerca contribuisce anche a contrastare il clima di disinformazione e i suoi risultati ad alto contenuto, anche se non immediati, sono duraturi, essenziali e strutturanti. Essa è fonte di crescita e lavoro qualificato. Non è un caso, infatti, che i Paesi con un alto livello di investimenti nella ricerca siano stati quelli più resilienti alla crisi economica. A questo fine sarebbe importante concepire la ricerca come elemento centrale dei programmi nazionali e a livello europeo, in termini di importanza e risorse finanziarie.
In questo momento storico non esiste alternativa all'eccellenza. L'eccellenza deve essere promossa come una priorità integrativa e diffusa in tutta Europa con ogni mezzo idoneo, non solo nella qualità della ricerca ma anche negli aspetti gestionali.

Asimmetria nella valutazione di benefici e rischi dei farmaci

Silvio Garattini – Fondatore e Presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri

Intervento di Silvio Garattini, dell'Istituto Mario Negri e del Gruppo 2003, durante l'evento "La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura" tenutosi all'Accademia dei Lincei il 20 marzo 2019. Video di Giuseppe Nucera

La ricerca commerciale su farmaci privilegia lo studio dei benefici a quello dei rischi. Tutti i farmaci attivi hanno una contropartita di effetti indesiderabili. Non esistono farmaci innocui. Il termine “sicurezza” va perciò confrontato con il termine “beneficio”. Infatti, come per qualsiasi altro intervento, si possono accettare le forme più o meno importanti di tossicità solo in cambio di benefici per la propria salute. Tuttavia, il mercato della medicina tende a privilegiare i benefici. Un’indagine condotta sulle principali riviste mediche mostra che solo l’1,5% degli articoli si occupa delle reazioni avverse dei farmaci. Lo studio della tossicologia è visto come un’attività di ricerca minore, mentre agli studi che rilevino qualsiasi beneficio viene data maggior visibilità.
Alcuni esempi: non si dà informazione del fatto che i nuovi farmaci antitumorali che agiscono su base immunitaria sono spesso accompagnati da reazioni autoimmuni che si evidenziano anche a distanza di tempo. Si possono anche ricordare farmaci che hanno effetti avversi molto gravi rispetto alla loro reale utilità, come alcuni uricosurici; gli antagonisti dell’endotelina; gli estrogeni associati ad alcuni progestinici; i farmaci antidepressivi, urologici e anti-parkinson.

Limiti nell’approvazione di nuovi farmaci da parte della legislazione europea. La legislazione europea prevede che per l’approvazione di un nuovo farmaco vengano richieste solo tre caratteristiche: qualità, efficacia e sicurezza. Diversa sarebbe la situazione se la legge prescrivesse qualità, efficacia, sicurezza e valore terapeutico aggiunto”. In tal caso sarebbe necessario fare studi comparativi e verrebbero perciò approvati solo farmaci con caratteristiche di migliore efficacia o minore tossicità rispetto a quelli esistenti. Se ciò accadesse, in molti casi sarebbe necessario rimuovere dal mercato i vecchi farmaci superati dai nuovi.

Tabella 1. Classificazione dei nuovi farmaci approvati dall’organismo europeo EMA negli ultimi dieci anni (2008-2017). La rivista Prescrire, che ne aveva valutato l'efficacia clinica, riportava che: su 943 farmaci esaminati, solo 58 rappresentavano un reale progresso terapeutico, mentre 662 erano classificati come inutili o non accettabili e i 223 rimanenti avevano un rapporto beneficio-rischio ancora difficilmente valutabile

Vengono approvati troppi farmaci e troppo in fretta. Approvare tanti farmaci in tempi brevi crea grande confusione, perché per molti prodotti la disponibilità del farmaco è accompagnata solo da approssimative conoscenze circa le dosi, la durata del trattamento, la combinazione con altri farmaci e soprattutto un’adeguata conoscenza del rapporto benefici-rischi. In Italia sono in commercio 16.247 medicinali. Di questi, 10.341 sono rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) da parte della medicina territoriale o delle strutture ospedaliere pubbliche e convenzionate. Questi farmaci hanno comportato una spesa totale di 29,8 miliardi di euro di cui 22,5 miliardi rimborsati dal SSN, comprendenti 10,4 miliardi di euro relativi alla spesa territoriale dei medici di medicina generale. La spesa farmaceutica è in continuo aumento, superando il 20% del Fondo sanitario nazionale (pari a 113 miliardi di euro).

Tabella 2. Composizione della spesa farmaceutica in milioni di euro: confronto 2017-2016

Proposte per rafforzare la ricerca indipendente e un governo più efficace del farmaco. Il mondo dei farmaci richiede cambiamenti significativi, per evitare che il mercato prevalga sugli interessi degli ammalati.
Il Ministero della salute dovrebbe intensificare la ricerca indipendente, il cui finanziamento deve contare su almeno l’1% del budget del SSN, con tendenza al 3%.
L’AIFA, incaricata di stabilire quali farmaci debbano essere forniti gratuitamente agli italiani, dovrebbe sposare l’impostazione del “valore terapeutico aggiunto” e quindi considerare i prodotti approvati dall’EMA come un catalogo da cui attingere i farmaci che sulla base dell’evidenza scientifica rappresentano un reale vantaggio. Per mantenere l’indipendenza di giudizio, AIFA non dovrebbe avere conflitti di funzione, come dare “consigli scientifici” sui trial clinici che poi devono essere giudicati dalla stessa organizzazione. Per la stessa ragione, AIFA non dovrebbe essere l’organismo competente per validare gli studi clinici controllati e non dovrebbe essere sede del Comitato Nazionale di Coordinamento dei Comitati Etici regionali.
Una funzione fondamentale per l’immediato dovrebbe essere la revisione sistematica del Prontuario Terapeutico Nazionale, che non avviene da 25 anni. I farmaci con lo stesso principio attivo devono avere lo stesso prezzo, come pure farmaci con la stessa indicazione. Nel caso di farmaci ad alto costo, il prezzo dovrebbe essere giustificato. All’aumentare dei volumi di prescrizione, dovrebbe corrispondere una diminuzione del prezzo dei farmaci in questione.
Un compito importante dell’AIFA è l’informazione, attualmente assente perché monopolio dell’industria farmaceutica. È necessario un impegno costante di informazione per tutti i medici che appartengono al SSN. Va ristabilita l’asimmetria benefici-rischi, promuovendo studi di farmacovigilanza “attiva”.

La ricerca scientifica come strumento indispensabile per il governo di un sistema sanitario intelligente

Luigi Tavazzi – Medico cardiologo e scientific advisor del GVM Care and Research

Intervento di Luigi Tavazzi, del Maria Cecilia Hospital GVM Care & Research e del Gruppo 2003, durante l'evento "La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura" tenutosi all'Accademia dei Lincei il 20 marzo 2019. Video di Giuseppe Nucera

Verso una nuova sanità digitale. Secondo dati statunitensi, gli errori diagnostici rappresenterebbero la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e il cancro. Ma la sanità è ora in grado di raccogliere i frutti della rivoluzione della medicina molecolare e dell’intelligenza artificiale per migliorare efficacia e precisione della pratica clinica. Negli Stati Uniti questa rivoluzione digitale della sanità è già in corso, con esiti che saranno importanti sia nel campo della assistenza sia in quello della ricerca.
Due sono le direttrici principali lungo le quali si sta muovendo questo rinnovamento della sanità, a partire dagli Stati Uniti: l’impostazione di registri longitudinali di lungo termine, orientati a specifici obiettivi, e l’implementazione del sistema Electronic Health Recording (EHR), costituito da una rete capillare informatica di raccolta sistematica di dati sanitari prodotti durante l’attività quotidiana. Ma è troppo presto per disporre di dati solidi, validati e incorporabili nella pratica clinica, soprattutto perché manca ancora l’elaborazione concettuale che formuli criteri di qualità dei risultati osservazionali che ne guidi l’incorporazione nella cultura medica corrente e ne giustifichi l’uso nelle raccomandazioni di percorso clinico. La ricerca scientifica ha invece subìto un impatto profondo e sta cambiando metodologia e offrendo dati essenziali per la comprensione del mondo sanitario reale. Ma soprattutto sta guidando la ricerca clinica dalla medicina basata sulle evidenze verso la medicina di precisione.

Le promesse della medicina e della sanità di precisione: l’esempio statunitense. La medicina individualizzata impone una caratterizzazione precisa del fenotipo individuale demografico, fisiopatologico e clinico, che includa tutti i fattori noti capaci di modificare il profilo clinico e gli effetti delle terapie. La medicina di precisione si propone uno scopo ancora più ambizioso: va oltre: sarà quella che si va configurando con la tecnologia crescente, il bacino di esperienza condivisa di tipo osservazionale, integrata con la metodologia della ricerca definendo e testando percorsi preventivi, diagnostici e terapeutici, saldando tra loro ricerca fisiopatologica e ricerca clinica.
In questa transizione, una potente fonte di informazione e di caratterizzazione di stati patologici è costituita dai biomarcatori, molecole generate da processi patologici dei quali possono essere semplici testimoni non patogeni o attori patogeni corresponsabili degli effetti della malattia. Un’altra opportunità consiste nell’individuazione dei cosiddetti fenotipi “calcolabili”, aggregati di sintomi/segni clinici e dati strumentali che la statistica valuta più frequenti di quanto atteso dalla casualità, segnalandoli come potenziali pazienti con “malattie non individuate”. Si tratta di metodi e strumenti di intelligenza artificiale che presto o tardi entreranno nella routine clinica.
Molto più estesa della diagnostica clinica è l’area di raccolta di segnali biologici per monitoraggio specifico (in soggetti a rischio) o generale epidemiologico che rientrano nella mobile Health (mHealth). Lo strumento base è lo smartphone: con le sue health app, possono essere raccolte informazioni e registrare segnali biologici semplici o complessi già citati in precedenza.


Figura 3. Infografica di innovazioni e sviluppi emergenti nella salute digitale, big data e medicina di precisione: intra- e interconnessioni (Credit: Statement on Healthcare transformation in the era of Digital Health, Big Data and Precision Health

Il progetto di sanità digitale statunitense confrontato con quello italiano. La rivoluzione digitale sta cambiando strutture di ricerca e modi di usarle ma, in particolare nell’ambito clinico, la piattaforma operativa non può prescindere dall’elaborazione di una strategia che conosca i bisogni e le tendenze della salute pubblica, faccia scelte di merito e le persegua con slancio, rigore e trasparenza. Il progetto federale statunitense vede la digitalizzazione universale, uniforme e interoperabile del Sistema Sanitario pubblico come una priorità sociale e vi investe molte risorse. Vede nella moltiplicazione e riordino sistematico di dati clinici una opportunità di rilancio della ricerca scientifica clinica pubblica, la finanzia e la valorizza anche perché la ritiene uno strumento essenziale per il buon governo della sanità.
Il progetto italiano “Sanità digitale” sembra invece mirare all’informatizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, ottenuta senza investimenti dedicati e vista come strumento per una gestione più efficiente e meno costosa della Sanità, focalizzando primariamente le prestazioni essenziali. Medici e strutture di ricerca clinica di fatto appaiono marginalizzati o esclusi, comunque senza ruolo strutturale e risorse specifiche. La produzione scientifica non è considerata né come fattore implementante né come un obiettivo. Sembra mancare il concetto fondamentale che la governance del Sistema sanitario passa necessariamente dalla conoscenza contestuale, cioè dalla raccolta, elaborazione e interpretazione professionale dei dati emergenti dai flussi operativi e quindi dalla ricerca scientifica applicata alla clinica. Con queste premesse, il sistema italiano non pare essersi nemmeno avviato verso la costruzione di un Learning Health System.

I cambiamenti ambientali indotti dall’uomo e le sfide della ricerca

Sandro Fuzzi - Associato di Ricerca dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera del Clima del CNR
Maria Cristina Facchini - Direttrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera del Clima del CNR
Vincenzo Balzani - Accademico dei Lincei, professore emerito di Chimica all'Università di Bologna
Pier Mannuccio Mannucci - Professore emerito di Medicina Interna dell'Università Statale di Milano
Riccardo Valentini - Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente Forestale e delle sue risorse all’Università degli studi della Tuscia

Intervento di Maria Cristina Facchini, dell'ISAC, CNR di Bologna, e del Gruppo 2003, durante l'evento "La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura" tenutosi all'Accademia dei Lincei il 20 marzo 2019. Video di Giuseppe Nucera

Impatti del clima che cambia e politiche di mitigazione a adattamento. Gli effetti del riscaldamento del clima si possono riassumere schematicamente in funzione dei principali parametri climatici. L’aumento della temperatura sta già influenzando negativamente le rese in agricoltura, la biodiversità e produttività ittica degli oceani, gli incendi forestali, la salute e l’economia delle nostre società.
Nel 2014 IPCC ha pubblicato il suo quinto rapporto, da cui emergono due conclusioni chiave: il riscaldamento del clima della Terra è inequivocabile; le attività umane sono la causa dominante del riscaldamento osservato dalla metà del ventesimo secolo. Sotto la spinta di questi risultati, l’Accordo di Parigi del 2015 si è dato i seguenti obiettivi: (a) mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, e proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5 °C; (b) aumentare la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e promuovere lo sviluppo resiliente al clima e a basse emissioni di gas ad effetto serra, di modo che non minacci la produzione alimentare; (c) rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas ad effetto serra e resiliente al clima.
Fra le iniziative in ambito ONU per l’applicazione dell’Accordo di Parigi, nel 2016 è stato commissionato a IPCC la preparazione di un Rapporto speciale che potesse rendere conto degli impatti di un riscaldamento globale a 1,5°C. Il Rapporto mostra come le attività umane abbiano causato a oggi un riscaldamento della temperatura media globale di circa 1,0 °C rispetto ai livelli preindustriali; che il riscaldamento globale sta crescendo a un tasso di 0,2 °C per decennio e, se nulla verrà fatto, l’aumento di 1,5° rispetto al periodo preindustriale verrà raggiunto fra il 2030 e il 2050. Gli impatti del riscaldamento climatico previsti limitando l’aumento della temperatura media globale a 1,5 °C rispetto alla situazione di aumento di 2 °C, sono sensibili sia in termini economici che sociali.

Figura 4. Andamento della temperatura media globale della Terra negli ultimi 150 anni rispetto alla media del periodo 1986-2005. I differenti colori del grafico si riferiscono a diversi set di dati utilizzati per costruire l’andamento (IPCC, 2014)

Cosa fare per fermare il riscaldamento a + 1,5°C. Per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, le emissioni di CO2 dovranno ridursi globalmente del 45% nel 2030 rispetto ai valori del 2010 (20% nel caso di 2 °C), e raggiungere il livello 0 nel 2050 (2075 nel caso di 2 °C). È anche necessaria una contemporanea limitazione delle emissioni di specie climalteranti diverse da CO2. Le tecnologie per la rimozione dall’atmosfera della CO2 atmosferica sono ancora a un livello prototipale e non sono ancora mai state sperimentate su larga scala. Vi è tempo fino a metà del secolo per rafforzare queste tecnologie che possano aiutare il raggiungimento dell’obiettivo. Sono necessari ulteriori investimenti per contrastare il riscaldamento del clima della Terra, che vengono stimati in circa 450 miliardi di dollari l’anno fino al 2030 per il raggiungimento dell’obiettivo 1,5 °C, comparati ai circa 300 miliardi necessari per raggiungere l’obiettivo di 2 °C.

Le conseguenze sugli ecosistemi naturali. I cambiamenti climatici e le attività umane di sfruttamento delle risorse naturali stanno modificando e riducendo sensibilmente molte funzioni degli ecosistemi del nostro pianeta – come la biodiversità, la fertilità dei suoli, la protezione idrogeologica, la qualità dell’aria, ma anche funzioni estetiche e spirituali come il paesaggio e l’uso sociale degli alberi in molte comunità umane sono servizi assicurati dagli ecosistemi - con il risultato di aggravare gli impatti sulla nostra vita.

Risorse alimentari e idriche. I cambiamenti globali hanno importanti implicazioni per il settore agricolo e dell’allevamento, mettendo a rischio la sicurezza alimentare del mondo intero. A loro volta, agricoltura e allevamenti contribuiscono al cambiamento climatico. Questi rischi per il comparto agricolo saranno particolarmente acuti nei Paesi in via di sviluppo a causa della mancanza in queste aree di adeguate conoscenze e tecnologie. I cambiamenti climatici, inoltre, stanno producendo uno spostamento di organismi patogeni in aree in precedenza non interessate, causando effetti negativi sia sulle coltivazioni che sugli allevamenti.

Inquinamento atmosferico e salute. La presenza in atmosfera del particolato atmosferico fine costituisce il sesto fattore di rischio per la salute umana e ha causato nel 2016 a livello globale 4,1 milioni di morti per disturbi respiratori, cardiovascolari e per cancro polmonare. Il secondo principale inquinante atmosferico che causa effetti negativi sulla salute è l’ozono, un gas i cui livelli di concentrazione sono in aumento su tutto il globo, e che è stato responsabile nel 2016 di 234.000 decessi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito, sulla base di varie ricerche epidemiologiche, un limite di concentrazione di particolato atmosferico fine per la tutela della salute umana, con la consapevolezza però che non possono essere totalmente esclusi effetti nocivi anche a concentrazioni inferiori a tale limite. Tuttavia, il 95% della popolazione mondiale vive in zone nelle quali il limite stabilito dall’OMS non è rispettato.
Circa 3,5 milioni di decessi annui sono dovuti all’esposizione all’inquinamento negli ambienti domestici. Si tratta in questo caso di un fenomeno principalmente ristretto ai continenti asiatico e africano ed è dovuto principalmente all’utilizzo di combustibili di bassa qualità in stufe altamente inefficienti e in ambienti non adeguatamente ventilati.

Figura 5. Livelli di concentrazione media annuale di PM2,5 (particolato atmosferico fine, più comunemente dette polveri sottili) espressi in mg/m3 nelle diverse aree del pianeta (Credit: Health Effects Institute, 2018. State of Global Air 2018. Special Report. Boston, USA)

La transizione energetica. Oggi sappiamo che, se vogliamo salvare il pianeta, dobbiamo smettere di usare i combustibili fossili. Le energie rinnovabili (biomassa, idroelettrica, eolica, solare, geotermica) hanno attualmente una potenza pari a 2.195 GW e forniscono circa il 10% dell’energia primaria e il 26,5% dell’energia elettrica. Per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi dovranno svilupparsi fino a coprire il 100% dell’energia elettrica entro il 2035-2040 e il 100% dell’energia primaria entro il 2050. Questo è possibile se si punta su energie rinnovabili in fase di rapido sviluppo, ben collaudate, poco costose e con basso impatto ambientale, come sono oggi l’energia eolica e l’energia fotovoltaica. La transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili comporta grandi cambiamenti nel modo di produrre, trasportare e utilizzare energia. La transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili è estremamente complessa dal punto di vista tecnico, economico, politico e anche psicologico. La transizione non avverrà, perciò, spontaneamente; richiede, anzi, un forte impegno perché è ostacolata dalla lobby dei combustibili fossili, da speculazioni finanziarie e da controversie economiche e politiche. È opinione diffusa che l’obiettivo dell’Accordo di Parigi non sia raggiungibile senza una forte mobilitazione delle persone. Bisogna anche rendersi conto che le tecnologie che fornisce la scienza per utilizzare le abbondanti energie rinnovabili trovano limiti nelle risorse del pianeta. Dovremo quindi abituarci a non sprecarla.

La sfida che le trasformazioni ambientali pongono alla ricerca in Italia. La ricerca nel settore ambientale ha bisogno di un approccio interdisciplinare. Le scienze dell’ambiente non costituiscono nel sistema Università-Ricerca italiano un ambito disciplinare, ma si avvalgono del contributo di fisica, chimica, biologia, geologia, agraria, ingegneria, ecc.
Queste diverse comunità scientifiche non parlano tradizionalmente lo stesso linguaggio e usano approcci scientifici a volte completamente diversi. Un’ulteriore complicazione è che per un approccio scientifico efficace ai problemi ambientali occorre raggiungere una vera sintesi interdisciplinare, ottenibile solamente se gli attori riescono a comunicare nello stesso linguaggio e a usare strumenti concettuali comuni. La sfida vale a maggior ragione per l’integrazione fra le scienze naturali e le scienze umane e sociali (economia, sociologia, discipline giuridiche, ecc.), data l’importanza del fattore umano nei cambiamenti ambientali. Questo nuovo approccio interdisciplinare, che si va sempre più affermando nella ricerca ambientale internazionale, pone problemi sia dal punto di vista della ricerca sia della formazione. In Italia questo cambio di paradigma risulta difficile, anche a causa della burocratizzazione della ricerca, a inadeguati meccanismi di reclutamento e selezione del personale e alla cristallizzazione del sistema Università-Ricerca nazionale attorno ai settori scientifico-disciplinari.

L’impatto della cybersecurity sull’economia e la democrazia del Paese: il ruolo della ricerca scientifica

Marco Conti - Dirigente di ricerca e consigliere scientifico per le tecnologie dell'informazione e della comunicazione del CNR
Rocco De Nicola - Professore di Informatica alla Scuola IMT Alti Studi di Lucca, Direttore del Centro di Competenza in Cybersecurity Toscano (C3T)
Paolo Prinetto - Professore di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni al Politecnico di Torino, Direttore del Laboratorio Nazionale di Cybersecurity del CINI

Intervento di Rocco De Nicola, della Scuola IMT Alti Studi di Lucca e del Gruppo 2003, durante l'evento "La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura" tenutosi all'Accademia dei Lincei il 20 marzo 2019. Video di Giuseppe Nucera

Emergenza cybersecurity. La cybersecurity è considerata una delle principali emergenze in Europa, assieme al cambiamento climatico e all’immigrazione. Il cyberspazio è la cosa più complessa che l’uomo abbia mai costruito: da un lato unione di migliaia di reti che rendono difficile anche solo avere una fotografia istantanea di chi vi è connesso, dall’altro stratificazione di programmi software e protocolli sviluppati negli ultimi quaranta anni. Ma questa complessità è generatrice di vulnerabilità che vengono sfruttate dai cybercriminali per sottrarre dati o arrecare danni. L’uomo è ormai parte integrante del cyberspazio e rappresenta la più importante e impredicibile vulnerabilità di questo macrosistema. Un click sbagliato può in alcuni casi distruggere qualsiasi linea di difesa tecnologica di un apparato. Le vulnerabilità riguardano il mondo dell’industria, della finanza, della politica e della stessa democrazia. Anche le fake news sono l’evoluzione degli attacchi basati su ingegneria sociale: create e diffuse attraverso il cyberspazio, le false informazioni tendono a confondere e destabilizzare i cittadini di un Paese, immergendoli in uno spazio informativo non controllato, con un insieme pressoché infinito di sorgenti di notizie.

Area geografica %
Nord Ovest 44,2
Nord Est 47,3
Centro 52,3
Sud e Isole 35,9
Numero addetti
20 - 49 42,7
50 - 199 48,4
200 - 499 56
500 e oltre 62,8
Intensità tecnologica
Alta e medio-alta 48,8
Bassa e medio-bassa 43,8
Incidenza delle esportazioni sul fatturato
Meno di 1/3 43
Tra 1/3 e 2/3 51,8
Più di 2/3 48,5
Incidenza delle esportazioni sul fatturato 45,2

Tabella 3. Percentuali di imprese italiane dell’industria e dei servizi privati non finanziari, con almeno 20 addetti, colpite da uno o più attacchi cyber tra settembre 2015 e settembre 2016

Difesa del cyberspazio. Difesa e monitoraggio del nostro cyberspazio devono entrare nel nostro modo di vivere. In questo contesto, la ricerca scientifica svolge un ruolo essenziale nello sviluppo di metodologie e strumenti per valutare il livello di sicurezza del nostro mondo digitale e sviluppare strategie e soluzioni per aumentarne il livello di sicurezza. Nel corso del 2017-2018, la comunità scientifica italiana, coordinata dal Laboratorio Nazionale di Cybersecurity del CINI, ha prodotto un Libro Bianco in cui sono presentate le principali sfide di ricerca nel settore e vengono proposte al decisore politico una serie di attività progettuali per fornire al cyberspazio nazionale un livello di protezione allo stato dell’arte della ricerca scientifica.

Tre strategie di ricerca. La ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica sono fondamentali per affrontare le sfide che il cybercrime pone alla società digitale. Le tre direttrici nella ricerca per affrontare queste sfide sono:

  • azioni abilitanti. In quest’area sono incluse le azioni necessarie a rendere più sicuro il ciclo di gestione della minaccia: dalla protezione di applicazioni critiche alla creazione di una banca nazionale delle minacce, dalla difesa da attacchi cibernetici o sociali all’uso malevolo dell’Intelligenza Artificiale. Queste azioni comprendono protezione dei Servizi di Rete, individuazione dei malware (veicoli che accedono a un sistema remoto, per controllarlo e comprometterlo), lotta al cybercrime e individuazione di fake news
  • tecnologie abilitanti. Si tratta di tecnologie di base da utilizzare per proteggere i dati, limitare gli attacchi e i loro effetti e, in generale, per aumentare la resilienza dei sistemi anche attraverso soluzioni mirate di security by design. A garantire livelli più alti di sicurezza sono, per esempio, le architetture hardware, la crittografia, la blockchain e le tecnologie biometriche e quantistiche
  • tecnologie da proteggere. La strategia di cybersecurity contempla inoltre strumenti e azioni necessarie a proteggere alcune tecnologie chiave, quali le comunicazioni wireless, i servizi cloud, le logiche funzionali dei sistemi e, anche nella prospettiva di Impresa 4.0, i sistemi Internet of Things, i sistemi di controllo industriale e i robot

L’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale (IA) merita un discorso a parte, essendo sia una tecnologia da proteggere sia una tecnologia da cui proteggersi. È alla base di applicazioni molto utili, che vanno dalla traduzione automatica all’analisi delle immagini in medicina. Man mano che le capacità dell’IA diventeranno più potenti e diffuse, gli attacchi consentiti dall'uso di questa tecnologia potranno essere particolarmente efficaci, finemente mirati, difficili da attribuire, e in grado di sfruttare le vulnerabilità dei sistemi utilizzati dai difensori. Sarà quindi richiesta una garanzia di sicurezza digitale, fisica e politica.

Difendere istituzioni, industria e cittadini. Innalzare il livello di sicurezza e di resilienza del Paese richiede l’innalzamento del livello di sicurezza e di resilienza degli asset pubblici e privati del nostro Paese, dai ministeri a fino ai cittadini. Il settore con difese non adeguate diventa, infatti, l’anello debole dell’intero sistema Paese. I due punti essenziali per una corretta implementazione di una politica di sicurezza cibernetica a livello nazionale sono:

  • lo sviluppo di un ecosistema cibernetico nazionale, che veda il governo, l’industria e la ricerca unite e coordinate per rendere il Paese resiliente ai nuovi attacchi cyber
  • un piano straordinario per affrontare la carenza di competenze in questo settore, sia attraverso un rafforzamento della capacità formativa e di ricerca delle università italiane, sia tramite lo sviluppo di politiche di contrasto all’emigrazione intellettuale forzata

Figura 6. Gli asset pubblici e privati del Paese da difendere. Più vicini si è al centro, più deve aumentare il coordinamento e la velocità nella risposta. Il settore con difese non adeguate diventa, infatti, l’anello debole dell’intero sistema Paese

Un’azione straordinaria per la formazione e la ricerca in Italia. Per essere realizzata, la cybersecurity richiede una notevole forza lavoro in termini di tecnici, ingegneri, esperti e ricercatori, distribuita sul territorio. Serve quindi un piano straordinario per trattenere in Italia il maggior numero possibile di competenze legate alla cybersecurity e per formarne ancora di più.
Le figure professionali legate alla sicurezza hanno un mercato mondiale e spesso in Italia ci troviamo a competere con realtà che offrono condizioni lavorative di gran lunga migliori. La fuga dall’Italia per cogliere opportunità salariali importanti e la scarsa creazione di figure professionali adeguate rispetto al bisogno rendono il deficit di competenze in Italia ancora più critico. Pertanto, è necessario e urgente mettere a punto strategie di brain retention che rendano più attraente lavorare su tematiche di sicurezza informatica nel nostro Paese.
Al momento, il numero di figure professionali prodotte dalle nostre università è troppo basso anche a causa del basso numero di docenti presenti in Italia in questo settore che di fatto impedisce sia l’attivazione di nuovi corsi di laurea in cybersecurity in molte università italiane, sia lo sviluppo di significative attività di ricerca. Per raggiungere nel più breve tempo possibile un livello di forza lavoro adeguato alle esigenze del Paese, auspichiamo che, come avvenuto nel passato per altre aree, ad esempio per la chimica negli anni ’60, si riconosca la strategicità del settore della cybersecurity e venga avviato in Italia un piano straordinario per l’assunzione di ricercatori e professori universitari che si occupino di sicurezza informatica e, in generale, di trasformazione digitale in tutte le sue componenti: giuridiche, economiche e soprattutto tecnologiche. Solamente una significativa azione straordinaria può aumentare la velocità di creazione della massa critica necessaria.

La ricerca scientifica contribuisce alla sicurezza collettiva: il caso della dinamica delle folle

Nicola Bellomo - Professore emerito del Politecnico di Torino
Livio Gibelli - Lettore all’Università di Edimburgo, autore di pubblicazioni in riviste internazionali e di un libro pubblicato da Birkhauser-Springer USA
Valentina Romano - Responsabile dell’Ufficio progetti collaborativi dell’area ricerca al Politecnico di Torino

Intervento di Nicola Bellomo, del Politecnico di Torino e del Gruppo 2003, durante l'evento "La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura" tenutosi all'Accademia dei Lincei il 20 marzo 2019. Video di Giuseppe Nucera

L’uso di modelli per simulare il comportamento delle folle. L’occorrere di incidenti come quello in Piazza San Carlo a Torino o nella discoteca di Corinaldo mostrano come la folla in ambienti confinati presenti rilevanti problemi di sicurezza.
I problemi di rischio nella dinamica delle folle richiedono uno studio scientifico e quindi rigoroso della dinamica di molti soggetti interagenti, dove i comportamenti individuali conducono a dinamiche collettive non immediatamente prevedibili. Lo studio della dinamica delle folle richiede di distinguere fra evacuazione ordinata e razionale ed evacuazione in condizioni di stress (panico). La dinamica di ogni individuo in una folla è indotta da un processo decisionale che determina le traiettorie e la velocità con la quale l’individuo si muove in una situazione di evacuazione sia ordinata che in condizioni di stress.
I modelli matematici vanno validati secondo le procedure applicate ai sistemi di molti soggetti viventi, quindi complessi, interagenti. Si chiede quindi ai modelli di riprodurre risultati empirici a seguito di esperimenti e misure su situazioni reali osservate nel comportamento delle folle.
Occorre distinguere fra due tipi di risultati empirici: quelli in condizioni di flusso stazionario, uniforme almeno in alcuni tratti, e i comportamenti collettivi emergenti osservati per condizioni ambientali particolari. Per quanto riguarda i primi risultati, si chiede ai modelli di riprodurli anche rispetto a misure quantitative. Per quanto riguarda i secondi, si chiede ai modelli di riprodurre i comportamenti emergenti per condizioni generali prossime a quelle realmente osservate.

Safety e security. Nello studio della dinamica delle folle devono essere definiti due tipi di sicurezza: la sicurezza-protezione (security) intesa come protezione da possibili incursioni esterne, ad esempio presenze terroristiche, comunque da soggetti ritenuti portatori di rischio; la sicurezza fisica (safety) intesa come supporto a evitare il danno fisico ai cittadini, ad esempio in condizioni di evacuazione forzata indotta da incidenti.
A queste due interpretazioni del termine sicurezza corrispondono azioni diverse, necessariamente correlate, e diverse competenze e responsabilità non facilmente integrabili.
I risultati della ricerca condotta in questo settore, sono stati superiori alle aspettative. Infatti, il simulatore si è dimostrato in grado di tener conto sia dei livelli di stress della folla, sia della complessità dei percorsi da seguire nel processo di evacuazione. I risultati più recenti hanno inoltre consentito la simulazione della propagazione dello stress nella folla, a partire da zone di concentrazione iniziale con elevata tensione individuale.

Le sfide della ricerca in Italia. Investire sulla ricerca rivolta a problemi di sicurezza è una necessità per i cittadini in quanto la ricerca scientifica conduce a strumenti operativi piuttosto che a semplificazioni di un problema grave. Importante rendere sistematico il dialogo fra ricerca di base e sistema delle imprese. In tal senso, la Comunità europea dovrebbe favorire il dialogo e non limitare i finanziamenti alla ricerca di base ai soli ERC individuali.
Inoltre, il livello di attenzione del sistema universitario in Italia è molto inferiore a quello di altre nazioni europee: si assiste quindi a una fuga di competenze e risorse culturali, oltre che economiche. Per invertire la tendenza è necessario superare molti ostacoli e occorre cambiare mentalità. Il sistema delle imprese dovrebbe ampliare l’iniziativa imprenditoriale a sostegno dell’innovazione e seguire la tendenza generale che vede nel problema della sicurezza un futuro settore di sviluppo. L’accademia, a sua volta, dovrebbe sviluppare la capacità di rinnovarsi e introdurre processi meritocratici, basati anche sul riconoscimento della capacità di individuare tematiche di frontiera che aprano il dialogo fra scienze di base e problemi della società.
Il dialogo fra scienze hard (matematica, fisica, chimica, computer science) e alcune scienze soft (biologia, sociologia, comportamenti umani) identifica un ambito della ricerca che nei prossimi anni impegnerà un numero crescente di ricercatori. Da questo dialogo la comunità scientifica si attende una graduale transizione, anche nelle scienze soft, dall’uso di metodi euristici allo sviluppo e applicazione sistematica di metodi rigorosi.

Nutrizione sostenibile per la salute dell’uomo e del pianeta

Mauro Serafini – Professore di Alimentazione e Nutrizione Umana e responsabile del laboratorio “Alimenti funzionali e prevenzione stress metabolico” alla Facoltà di Bioscienze dell’Università di Teramo
Daniele Del Rio - Presidente della Scuola di Studi Superiori in Alimenti e Nutrizione dell’Università di Parma, Direttore Scientifico del NNEdPro Global Center for Nutrition and Health di Cambridge
Maurizio Battino - Associato di Biochimica nella Facoltà di Medicina dell'Università Politecnica delle Marche, Direttore dell'Area di Salute e Nutrizione dell'Universidad Europea dell'Atlantico

Intervento di Mauro Serafini, dell'Università di Teramo e del Gruppo 2003, durante l'evento "La ricerca scientifica in Italia per una società sostenibile e sicura" tenutosi all'Accademia dei Lincei il 20 marzo 2019. Video di Giuseppe Nucera

Il “trilemma” dieta, salute, ambiente. La sostenibilità nutrizionale si basa su alcuni cardini quali la preservazione della biodiversità, la sicurezza alimentare, la riduzione degli sprechi, il basso impatto ecologico del cibo e la funzionalità degli alimenti. La salute dell’uomo non può essere svincolata dalla salute del pianeta. La sfida dei prossimi anni per la comunità scientifica sarà concentrata sulla capacità di aumentare le conoscenze dei rapporti tra dieta, salute e ambiente. La risoluzione di questo “trilemma” passa attraverso la riduzione degli sprechi alimentari e del danno ambientale che ne deriva e nel fornire ai cittadini opzioni per un utilizzo sostenibile del cibo attraverso la definizione di stili di vita funzionali e a basso impatto ambientale.

Nutrizione personalizzata. La risposta del nostro organismo al consumo di alimenti è suscettibile alla variabilità fra individui. Si sta assistendo al passaggio da una ricerca di popolazione a una ricerca individualizzata che renderà più specifica la prevenzione con l’obiettivo di massimizzare i benefici associati a un’alimentazione corretta.

Alimentazione e longevità. Negli ultimi anni numerosi studi hanno dimostrato che il regime alimentare e lo stile di vita, insieme all’ambiente, sono le cause principali della longevità. La più affascinante di queste ricerche è senz’altro quella delle blue zone, ossia aree del pianeta nelle quali il tasso di longevità in salute è più alto rispetto alle altre zone del mondo. Queste zone presentano caratteristiche alimentari, ambientali e culturali in comune, prima fra tutti un’alimentazione parca, frugale, semplice, genuina, povera di grassi, di zuccheri e di cibi industriali, caratterizzata da un elevato apporto di cibi di origine vegetale e da un moderato consumo di carne bianca o pesce, latte e formaggi per lo più caprini.

Alimenti funzionali. Non esiste un unico alimento, o “super food”, che sia in grado di fornire tutti i nutrienti necessari al mantenimento di un buon stato di salute e alla prevenzione delle malattie. Diverso è invece il caso degli alimenti funzionali, dotati di effetti positivi addizionali sul mantenimento della salute, dell’omeostasi fisiologica o sulla prevenzione delle malattie. Tuttavia, per essere definito tale, l’efficacia di un alimento nel mantenere un buono stato di salute e nel prevenire l’insorgenza delle malattie deve essere dimostrata da rigorose ricerche scientifiche. Inoltre, istituzioni, esperti del settore, scuola e ricerca dovrebbero essere maggiormente coinvolti e responsabilizzati nella diffusione di materiale informativo riguardante l’alimentazione funzionale, in modo da tutelare il consumatore, permettendogli di effettuare scelte alimentari consapevoli.

La dieta sostenibile. La presa di coscienza da parte dell’uomo di aspetti legati alla salute e all’ambiente ha risvegliato un nuovo interesse verso le diete “sostenibili” che, preservando la salute dell’uomo, non danneggiano l’ecosistema. È necessario sviluppare un approccio complessivo che permetta di valutare al meglio parametri metabolici, nutrizionali e ambientali in grado di fornire informazioni dell’impatto della dieta a vari livelli.
La carne e i prodotti di origine animale rappresentano i gruppi di alimenti che impattano maggiormente dal punto di vista ambientale. La riduzione del consumo di proteine animali è ormai diventata una priorità globale per ridurre lo sfruttamento del terreno e le emissioni di gas serra. Una delle strategie che sta assumendo una rilevanza sempre maggiore, in linea con la tradizione storica dell’uomo in moltissime regioni del mondo, risiede nell’utilizzo degli insetti, fonte proteica molto efficiente e a basso impatto ambientale.

Lo spreco alimentare. Uno degli aspetti rilevanti per la salute ambientale è rappresentato dal danno causato dalla quantità di cibo prodotto e che non raggiunge la tavola del consumatore, cioè lo spreco alimentare (food waste), oppure dal cibo che si perde durante la coltivazione agricola, il raccolto e le trasformazioni industriali (food loss). Gli sforzi futuri dovrebbero essere incentrati su una comunicazione ad ampio respiro, basata su solide prove sperimentali derivanti da studi sull’uomo, che si prefigga l’obiettivo di educare la popolazione a un consumo alimentare funzionale, salutare e a basso impatto ambientale.

Spreco alimentare metabolico Sovrappeso Obesa
Cibo (milioni kg) 1.322 790
Acqua (milioni m3) 4.098 2.233
CO2eq (milioni kg) 2.370 1.445
Terra (milioni m2) 34.589 19.329

Tabella 4. Spreco alimentare metabolico stimato nella popolazione italiana in sovrappeso e obesa

 

 


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