Grandi migliorie per il telescopio UT4-Yepun del VLT. Tanto per cominciare è in atto la sua trasformazione in telescopio completamente adattivo. Al termine di questa cruciale trasformazione potrà dunque contare sulla particolare tecnologia che gli permetterà di combattere il fastidioso disturbo della turbolenza atmosferica. In questi giorni, poi, è entrato ufficialmente in servizio uno tra gli strumenti più innovativi per l'osservazione di oggetti celesti, il Multi-Unit Spectroscopic Explorer (MUSE). La realizzazione di questo strumento di seconda generazione ha richiesto una decina d'anni di studio e ricerca da parte di un team internazionale che ha come capofila il Centre de Recherche Astrophysique di Lione, come partner alcuni Istituti astronomici tedeschi, svizzeri e olandesi e vede anche la partecipazione diretta dell'ESO, l'European Southern Observatory.
Benché a una prima occhiata l'impressione possa essere quella di trovarsi dinanzi a una delle inquietanti macchine che popolano la saga cinematografica di Matrix, le prospettive che questo innovativo strumento apre alla ricerca astronomica hanno dell'incredibile. Si tratta infatti di uno spettrografo a campo integrale, cioè un rilevatore che permette di studiare simultaneamente differenti proprietà di diverse regioni di un oggetto celeste. La tecnica impiegata da MUSE è quella della spettroscopia a campo integrale. Non una novità assoluta in ambito astronomico, ma trasformata in qualcosa di incredibilmente sofisticato grazie a questo complicato congegno che resterà unico nel suo genere per molti anni. Sette tonnellate di dispositivi ottici, meccanici ed elettronici che permetteranno osservazioni innovative in svariati campi dell'astronomia.
Ciò che rende questo rilevatore davvero particolare e unico nel suo genere è l'impiego simultaneo di ben 24 spettrografi. Per descrivere il risultato potremmo dirla in questi termini: le immagini prodotte da MUSE, già di per sé incredibilmente nitide grazie alla potenza delle ottiche adattive e alle dimensioni dello specchio (non dimentichiamo che i telescopi principali del VLT hanno superfici di raccolta della luce di 8,2 metri di diametro), possono contare anche su una terza dimensione. Per ogni regione dell'immagine è infatti possibile disporre dello spettro, cioè della composizione della radiazione luminosa che ci giunge da quella specifica regione dell'Universo. Gli astronomi potranno così attingere informazioni da questa terza dimensione per studiare l'oggetto a diverse lunghezze d'onda, proprio come si fa con una radio per captare le informazioni che ci vengono portate da ogni frequenza su cui la possiamo sintonizzare.
Realizzato completamente in Europa, MUSE ha dovuto, prima della spedizione a Cerro Paranal, superare approfonditi test di collaudo e di accettazione e solamente dopo il via libera dell'apposita commissione ha potuto incamminarsi, opportunamente smontato, verso le Ande cilene. Rimesso insieme al campo base, a una quota di 2466 metri, è stato in seguito trasportato con mille precauzioni ai 2635 metri di quota della sua destinazione finale. Si è trattato in fondo solamente degli ultimi passi di quel lungo cammino che lo strumento ha dovuto compiere dal momento della sua ideazione prima di giungere al cruciale appuntamento, lo scorso 14 febbraio, con la cattura della sua prima immagine (momento giustamente festeggiato con un brindisi!). Significativo il post scritto da Roland Bacon, capo del team di MUSE e principal investigator dello strumento: “Per l'ispirazione occorre sempre una musa: MUSE ci ha davvero ispirato per molti anni e continuerà ancora a farlo. Senza ombra di dubbio, saranno molti gli astronomi in ogni parte del mondo che verranno a loro volta ammaliati da questo strumento.”
Per approfondire:
Università di Lione
ESO