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Viaggio nella realtà della gravidanza per altre persone

Tempo di lettura: 6 mins

Surrogacy Underground è il documentario degli antropologi Rossella Anitori e Darel Iaffaldano Di Gregorio, che esplora le esperienze di persone coinvolte nella gestazione per altri in diversi paesi, leggi e culture. Attraverso le storie personali di donne, genitori e bambini e con i contributi di avvocati, medici ed esperti, offre una visione sfumata della gestazione per altri che sottolinea l'importanza di comprendere e ascoltare le esperienze diverse senza pregiudizi.

Come raccontare l’esperienza di chi partecipa a un percorso di gravidanza per altre persone, in uno qualsiasi dei ruoli possibili? Ci hanno provato due antropologi: Rossella Anitori e Darel Iaffaldano Di Gregorio, realizzando il documentario Surrogacy Underground. 70 minuti di racconti personali, spesso intimi, di riflessioni e confronti tra realtà diverse, così come sono diversi i paesi, le leggi e le sensibilità. Un viaggio che li ha portati in Grecia e in Inghilterra e infine di nuovo in Italia, durante il quale hanno incontrato persone reali che sono venute al mondo grazie alla GPA, o che hanno consentito che bambini e bambine venissero al mondo, e infine altre persone che finalmente sono riuscite a diventare genitori.

Il “coro” raccolto e presentato nel documentario è composto di figure diverse: una giovane nata per GPA, ormai adulta, che racconta e riflette sulla propria esperienza con tranquillità e consapevolezza. Genitori: etero, gay o single che raccontano dei loro dolori, le delusioni, le aspettative e la gioia. Le donne gestatrici che spiegano perché hanno scelto e deciso di portare avanti la gravidanza e di quello che hanno provato. Ma ci sono anche avvocati, medici, esperti, responsabili di associazioni che offrono consulenza o rappresentano le famiglie arcobaleno. Un intero mondo che, come richiama il titolo del film, è spesso sotterraneo, discreto, e che quando è parte direttamente in causa capita che non voglia o non possa apparire nel video, se non in voce. Un mondo che spesso non riceve ascolto, così da poter essere ignorato e negato. Ma che nel film invece trova spazio, voce e attenzione.

«Ci siamo resi conto che la maternità non è intesa nello stesso modo in tutte le culture e soprattutto non è intesa nello stesso modo da tutte le donne. C'è una prospettiva personale, psicologica, che si sovrappone a una prospettiva culturale e sociale», spiegano i due registi. «Nel nostro viaggio abbiamo conosciuto i protagonisti di queste storie e con il nostro film abbiamo voluto creare uno spazio sacro in cui si potesse ascoltare la loro voce, seguire le loro esperienze senza tirare le somme a priori, lasciando allo spettatore, a chi guarda e ascolta, la possibilità di farsi un'idea e rendersi conto che non si può avere un giudizio netto e assoluto su una pratica che varia così tanto col variare del contesto».

La lezione dell’antropologia

È dal comune background antropologico di Anitori e Iaffaldano Di Gregorio, dunque, che germoglia l’idea di questo documentario e la sua narrazione.

L’antropologia, infatti, insegna che le famiglie, i rapporti di filiazione, sono entità che passano attraverso il riconoscimento sociale, che varia nel tempo e nello spazio, che non ci sono forme fisse e immutabili che legano genitori e figli e figlie tra loro, che la madre e il padre spesso non corrispondono a coloro che biologicamente hanno messo al mondo un bambino o una bambina. «Ci premeva riflettere sulla genitorialità, ma in noi c’era anche la reazione a un discorso dominante fatto di categorie che non riescono a raccontare il fenomeno, piene di stereotipi, un discorso che in effetti farebbe rabbrividire qualunque antropologo», raccontano.

E davvero la realtà è più complessa di come la si rappresenta, se basta cambiare latitudine e cornice legale per trovarsi di fronte a un fenomeno completamente diverso. Cosa che sa benissimo Georgina Roberts, la giovane inglese i cui genitori biologici sono la mamma e il papà, ma la cui gravidanza è stata condotta da un’altra donna: «La gestazione per conto di altre persone viene rappresentata in modo diverso a seconda dei diversi paesi», riflette in un momento del documentario.

Ed ecco perché è importante non sostituirsi alle persone che hanno vissuto un’esperienza come quella della gravidanza per altre persone, per non appiattire il racconto su un’unica lettura stereotipata, come quella dominante in questo momento nel nostro paese. Anche questa una lezione che arriva dall’antropologia, che da un certo momento in poi si è resa conto che bisognava decolonizzare l’approccio, lasciare la parola agli “osservati”, riconoscere loro il ruolo di protagonisti. «Abbiamo fatto precedere la creazione di questo documentario da due anni di intensa ricerca antropologica, abbiamo letto e studiato etnografie che raccontavano di realtà anche molto lontane dalla nostra», confermano Anitori e Iaffaldano Di Gregorio.

Storie ed esperienze che si incontrano

Surrogacy Underground si muove quindi su tre realtà, tre modi diversi di affrontare la GPA in altrettanti Paesi: la Grecia, che permette solo la fecondazione altruistica, ma autorizza un rimborso alla gestante, l'Inghilterra, in cui la GPA è legale da 30 anni e regolamentata nei dettagli, e l'Italia, in cui è proibita da sempre. Tre paesi sugli oltre sessanta in cui si pratica la gravidanza per altre persone con modalità diverse, ma sufficienti a far emergere i temi principali che si accompagnano a questa pratica. Soprattutto i vissuti delle donne gestatrici, che sono le figure più negate o comunque più spesso rappresentate alla luce deformante dello stereotipo. Emerge così con la forza del racconto in prima persona, la donna che descrive di essersi sentita in colpa e di aver sofferto di depressione post-partum, ma non per aver dovuto cedere la bambina che aveva partorito, al contrario per non aver provato alcun sentimento materno verso la piccola. Una realtà tra le più neglette quella dell’assenza del cosiddetto istinto materno, condivisa da tante donne, almeno in alcuni momenti della propria vita e verso la quale si esercita uno stigma forte della società.

Altrettanto forte la testimonianza di un’altra donna che dichiara di considerare la gravidanza per altre persone un lavoro come fare la baby sitter, con la differenza che la creatura è dentro di sé, per un certo tempo. Forse la più spiazzante tra le tante narrazioni perché mette in luce chiaramente che quello in discussione e da regolamentare con un approccio di tutela per tutte le parti in causa non è l’affitto dell’utero, come volgarmente si dice, o addirittura la vendita di un organo, come si è giunti ad affermare, ma una capacità riproduttiva che manca ad altri.

Altri, uomini e donne, che sono altrettanto presenti nel documentario, ciascuno con la propria vicenda, che converge per tutte e tutti in un unico dato di fatto: l’impossibilità di avere un figlio o una figlia. Una condizione che non riguarda solo le coppie gay (di nuovo quelle evocate più spesso da una narrazione stereotipata), ma anche quelle etero, che sono la maggioranza e che si ritrovano a vivere questa impossibilità per ragioni di salute. Come Arianna, la giovane donna che si è meritata l’attenzione mediatica proprio mentre scriviamo, che, affetta da un tumore raro dovrà perdere l’utero e chiede che non le sia tolta la possibilità di ricorrere alla GPA.

Insomma, il documentario di Anitori e Iaffaldano Di Gregorio ci aiuta a capire che nel nostro paese l’informazione sulla gravidanza per altre persone è non solo carente e imprecisa (purtroppo a volte decisamente menzognera) ma fuorviante, perché taglia col coltello quello che andrebbe invece analizzato e compreso nella sua complessità. Che poi è la complessità biologica, quando si salda alla complessità delle culture e del vivere sociale.

Surrogacy Underground, Rossella Anitori e Darel Iaffaldano Di Gregorio, documentario, 70 minuti, Italia 2023. Disponibile sulle principali piattaforme.

 

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