Dopo le tragiche notizie di eventi severi e anche fatali, sono cambiate di nuovo le indicazioni sulla somministrazione del vaccino contro Covid-19: il Ministero della Salute ha reso perentoria quella che era una semplice raccomandazione e ai giovani adulti verrà ora offerto Pfizer/BioNTech o Moderna. Agli under 60 in attesa del richiamo con AstraZeneca verrà offerto uno di questi, autorizzando così la cosiddetta “vaccinazione eterologa”. La campagna di vaccinazione sta raggiungendo gli obiettivi dichiarati: il tasso di occupazione ospedaliera è sceso all’8% e il numero quotidiano di decessi è diminuito (ma ancora non azzerato). Ma nel frattempo, si sta estendendo ai soggetti più giovani, per i quali i benefici di salute sono decisamente inferiori. Questo sembra segnalare un cambio di rotta; se così fosse, sarebbe urgente rinnovare il patto con i cittadini che sottende i programmi di vaccinazione, e per farlo le istituzioni dovrebbero rispondere a due domande: la protezione di anziani e soggetti vulnerabili è ancora una priorità? E qual è l’obiettivo raggiungibile e misurabile della vaccinazione dei giovani?
Nell'immagine un centro vaccinale negli Stati Uniti. Crediti: Maryland GovPics / Flickr. Licenza: CC BY 2.0.
I programmi di vaccinazione sono un patto tra sanità pubblica e cittadini. Da una parte, la sanità pubblica offre gratuitamente la prevenzione vaccinale e spiega quali sono gli obiettivi (raggiungibili e misurabili) per i singoli vaccinati e la comunità che meritano l’impegno pubblico e individuale. Dall’altra parte, i cittadini possono decidere se accettare l’offerta di vaccinazione avendo chiaro il beneficio che ne possono trarre e il rischio connesso.
Per questo nell’ambito di ogni programma di vaccinazione del nostro Sistema Sanitario Nazionale, la cui competenza è del Ministero della Salute, deve essere enunciato lo specifico obiettivo di salute da raggiungere e deve essere mantenuto e reso disponibile il monitoraggio degli effetti del programma in termini di benefici di salute e casi di malattia risparmiati dalla prevenzione. La comunicazione ai cittadini di questo obiettivo e del suo monitoraggio deve essere chiara e trasparente.
La campagna vaccinazione contro Covid-19 è partita con un obiettivo dichiarato assolutamente comprensibile e condivisibile: azzerare i decessi e ridurre drasticamente il ricorso ai ricoveri ospedalieri, in particolare nelle terapie intensive, che, affollate dai pazienti Covid-19, non sono state in grado per mesi di assicurare assistenza alle persone affette da qualsiasi altra malattia. Avendo chiaro questo obiettivo, enunciato in Italia quando si sono resi disponibili i diversi vaccini, le somministrazioni sono partite dai soggetti per i quali il beneficio delle vaccinazioni era massimo. L’utilizzo di qualsiasi vaccino era giustificato dai dati che hanno dimostrato l’elevata efficacia di ogni prodotto disponibile a prevenire i ricoveri in ospedale, in particolare in terapia intensiva. I rischi legati alla malattia Covid-19 però non sono uguali per ogni età, ma aumentano all’aumentare dell’età e l’offerta vaccinale è partita proprio dai più anziani, ai quali sono stati riservati i vaccini con i valori maggiori di efficacia e il minimo tempo (tre settimane) necessario a completare la vaccinazione, ossia quelli prodotti da Pfizer/BioNTech e da Moderna.
La riduzione o addirittura l’interruzione della circolazione del virus non è stata mai indicata come obiettivo raggiungibile dal programma di vaccinazione, data l’estesa circolazione a livello globale e l’emergenza di varianti in diverse parti del mondo contro le quali la vaccinazione sembra essere meno efficace. Questo è coerente con la scelta di offrire agli adulti fino ai 65 anni di età, in pari misura, vaccini con differenti profili di efficacia nei confronti di qualsiasi manifestazione clinica o di infezioni asintomatiche da SARS-CoV-2. Sono stati usati tutti allo stesso modo perché tutti proteggono allo stesso modo dai quadri clinici più severi, pur avendo differenze non trascurabili nella capacità di prevenire anche le infezioni asintomatiche. Tuttavia, dato che questo aspetto non era un obiettivo da perseguire, il problema non si è posto. Data la priorità agli anziani e ai vulnerabili delle dosi disponibili di Moderna e Pfizer/BioNTech, le dosi di AstraZeneca sono state somministrate prevalentemente agli adulti più giovani, per i quali il rischio di complicanze da Covid-19 era meno frequente e la latenza di tre mesi tra una dose e l’altra per completare il ciclo vaccinale sembrava meno rilevante.
Le inadempienze contrattuali di AstraZeneca per la mancata fornitura di grandi quantità di vaccini, su cui si era invece puntato per l’intera campagna di vaccinazione, ha costretto il programma a ritardi e ad aggiustamenti continui e a un maggior utilizzo del vaccino Pfizer/BioNTech, la cui fornitura è stata quadruplicata.
Nel frattempo, come ormai sappiamo bene, dalla farmacovigilanza mondiale è emersa l’osservazione che in persone vaccinate con AstraZeneca si sono verificati casi di una trombosi con rara e pericolosa localizzazione, spesso fatali, limitati però a soggetti relativamente giovani. Il rischio generale è stato stimato essere di un caso ogni 100 000 vaccinati, ma tale rischio è quasi il doppio per le persone sotto i 50 anni di età.
Se l’obiettivo dichiarato della vaccinazione è la prevenzione di ricoveri e decessi, è corretto che il rapporto tra benefici e rischi che viene sempre indicato come elemento critico nell’articolazione del programma di vaccinazione venga calcolato per ogni vaccino sui rischi a seconda dell’età ed anche tarato sull’intensità della circolazione virale. L’osservazione di un effetto avverso molto raro e inatteso ha costretto tutti i paesi a rivedere le valutazioni del rapporto tra benefici e rischi, anche in base ai dati locali di incidenza delle infezioni e relativi casi complicati e fatali. Seppure i dati scientifici vengono spesso indicati come l’elemento decisionale fondante, è anche vero che definire la soglia del rapporto tra benefici e rischi dipende soprattutto da scelte politiche. Dalla fine di aprile, EMA ha messo a disposizione una rappresentazione grafica sulla variazione del rapporto tra benefici e rischi a seconda dell’incidenza e dell’età dei vaccinandi e i paesi dell’Unione Europea, sulla scorta degli stessi dati obiettivi, hanno preso decisioni diverse: qualcuno ha interrotto completamente l’uso del vaccino AstraZeneca, qualcuno lo ha riservato alle persone sopra i 65 anni, qualcuno ad altre età.
Per quanto riguarda l’Italia, il Winton Centre for Risk and Evidence Communication dell’Università di Cambridge ha elaborato i dati sugli ingressi in terapia intensiva dei pazienti Covid per fascia d’età messi a disposizione dall’Istituto Superiore di Sanità e quelli di EMA sull’incidenza delle trombosi con piastrinopenia, e ha costruito un bilancio tra benefici e danni potenziali in tre scenari di incidenza. I risultati di questa elaborazione, pubblicati a inizio maggio sul quotidiano Domani, indicano che mentre con un’incidenza media del contagio (175 nuovi casi diagnosticati a settimana su 100 000 persone, il livello che avevamo in Italia a metà aprile) il bilancio tra ricoveri in terapia intensiva evitati grazie alla vaccinazione e casi trombosi con piastrinopenia è in favore del vaccino sopra i 30 anni di età, quando l’incidenza scende fino a 35 nuovi casi diagnosticati a settimana ogni 100 000 persone (livello che abbiamo raggiunto nella settimana dal 24 al 31 maggio), allora il bilancio è in favore del vaccino solo sopra i 50 anni. L’ipotesi è che il vaccino sia efficace all’80% nell’evitare il ricovero in terapia intensiva a causa di Covid-19.
Elaborazione Winton Centre for Evidence and Risk Communication su dati ISS e EMA, dettagli disponibili qui. Elaborazione grafica: Chiara Sabelli.
È importante osservare che la stima dei benefici potenziali della vaccinazione è estremamente conservativa perché si limita a considerare solo la popolazione dei vaccinati e non tiene conto dei contagi evitati grazie alla vaccinazione o della protezione dalla sindrome post Covid. Tuttavia, questa scelta è dettata dalla necessità di avere una stima meno incerta possibile che non faccia ipotesi sulle dinamiche della circolazione virale né sull’efficacia dei vaccini nel limitare la trasmissione.
Nonostante le elaborate considerazioni sui rapporti benefici/rischi e la “raccomandazione” di AIFA per un uso preferenziale di AstraZeneca sopra i 65 anni, dalla metà di maggio in poi sono stati organizzati i cosiddetti Open Day vaccinali con quel vaccino, rivolti prevalentemente ai giovani che altrimenti avrebbero dovuto attendere più a lungo il proprio turno secondo la priorità per età stabilita dal piano nazionale. Gli Open Day sono stati accolti con molto favore, come lasciapassare per un ritorno alla vita sociale. Un sommesso parere del CTS su questi eventi dichiarava l’assenza di ostacoli formali (in effetti il vaccino è registrato per l’uso dai 18 anni in poi) senza alcuna menzione o valutazione della precedente “raccomandazione” AIFA, né alcuna presa di posizione dei responsabili del programma nazionale di vaccinazione.
Dopo le tragiche notizie di eventi severi e anche fatali in persone giovani vaccinate con AstraZeneca, venerdì sono cambiate di nuovo le indicazioni sul vaccino AstraZeneca. Con una circolare il Ministero della Salute ha reso “perentoria” quella che era una semplice raccomandazione di uso preferenziale e ai giovani adulti verrà ora offerto uno dei due vaccini a mRNA attualmente autorizzati, Moderna o Pfizer/BioNTech. Quest’ultimo è anche l’unico autorizzato per l’uso dai 12 anni in poi e la campagna di vaccinazione si sta estendendo in quella direzione. Agli under 60 in attesa del richiamo con AstraZeneca, verrà offerto uno dei due vaccini a mRNA, autorizzando così la cosiddetta “vaccinazione eterologa”. La vaccinazione con AstraZeneca verrà riservata agli anziani, con buona pace dei ritardi di protezione.
Allo stato attuale la campagna di vaccinazione sta raggiungendo gli obiettivi dichiarati e infatti il tasso di occupazione ospedaliera è sceso all’8% e il numero quotidiano di decessi è sensibilmente diminuito, ma ancora non azzerato. Dato che ancora mancano all’appello quote importanti di soggetti da vaccinare nelle età più vulnerabili, sarebbe importante sapere se i decessi che continuiamo a registrare sono dovuti a mancata vaccinazione o a malattie comunque acquisite dopo la vaccinazione.
Ma, nel frattempo, la campagna di vaccinazione si sta estendendo ai soggetti più giovani per i quali i benefici di salute sono decisamente inferiori a quelli degli adulti. Questa decisione sembra segnalare un cambio di rotta nella campagna. Se così fosse, sarebbe urgente rinnovare il patto con i cittadini e per farlo le istituzioni dovrebbero rispondere a due domande. La protezione di tutti gli anziani e i soggetti vulnerabili è ancora una priorità del programma di vaccinazione? E qual è l’obiettivo raggiungibile e misurabile della vaccinazione dei giovani?