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Urgente una strategia nazionale dei test Covid-19 

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I dati degli ultimi giorni indicano che siamo usciti dalla "zona comfort" di una proporzione sotto a 5 positivi ogni 100 tamponi eseguiti. La differenza rispetto al periodo della fase 1 è che circa due terzi degli infetti identificati sono senza sintomi. Se le persone con l’infezione sono identificate più precocemente e messe in isolamento, anche le catene dei contagi possono essere interrotte prima. Ma la corsa al tampone non può essere lasciata senza governo: serve un piano nazionale che enunci le strategie di ricerca delle infezioni per diversi scopi di sanità pubblica e diversi contesti, che indichi per ogni scopo il metodo di laboratorio più idoneo e che disegni una architettura dell’intero sistema

I dati degli ultimi giorni indicano che anche l’Italia è uscita dalla zona “comfort” di una proporzione sotto a 5 positivi ogni 100 tamponi eseguiti e tali risultati non sono certo rassicuranti. L’infezione circola in modo vigoroso e il numero degli infetti identificati cresce quotidianamente.  Rispetto al periodo pre-lockdown però c’è un’importante differenza: circa due terzi degli infetti identificati ora sono senza sintomi.  Questo indica che la ricerca attiva fa intercettare persone con l’infezione prima che manifestino i sintomi della malattia, mentre nello scorso marzo la presenza di uno stato di malattia conclamata era il criterio per effettuare gli accertamenti. Se le persone con l’infezione sono oggi identificate più precocemente e messe in isolamento, anche le catene dei contagi sono più corte e possono essere interrotte più precocemente. 

Le osservazioni epidemiologiche più recenti indicano che i contagi non si diffondono in modo lineare, con ondate come quelle dell’influenza stagionale, ma che l’intensità è sostenuta da focolai epidemici in cui pochi casi vengono rapidamente amplificati da fattori facilitanti la trasmissione. Identificare tempestivamente questi focolai è essenziale per circoscriverli, ma oggi il contact tracing e l’attività di accertamento diagnostico sono ulteriormente complicati dall’assenza di misure di restrizione alla circolazione delle persone. Il gruppo consultivo indipendente dell’OMS per le emergenze sanitarie ha concluso che l’approccio più idoneo è la definizione di strategie di lungo periodo per evitare l’amplificazione dei focolai epidemici e proteggere le persone più a rischio di malattia grave. Le strategie da disegnare devono includere la ricerca attiva delle infezioni, il rintraccio delle esposizioni e dei contatti e lo screening organizzato, considerando che un nuovo lockdown non sarebbe sostenibile per il Paese.

Identificare tempestivamente i positivi è la priorità nazionale e questo si ottiene attraverso test diagnostici che evidenziano la presenza di materiale genetico (RNA) del virus (test molecolari o PCR). Ma la corsa al tampone non può essere lasciata senza governo, perché non ci sono né tamponi diagnostici né strutture per tutti, perché anche la negatività non è una condizione permanente e i test vanno ripetuti, perché qualsiasi medico che debba compilare un certificato per una sindrome influenzale si vuole cautelare da eventuali azioni legali richiedendo un tampone a riprova che non si tratta di Covid-19.

In questa situazione i governi locali o anche le singole strutture hanno acquistato e offrono diversi tipi di test in una sorta di gara senza arbitri o mete. Oggi il mercato offre diverse soluzioni (ricerca del genoma virale, test antigenici, test sierologici), ma la tecnologia sta facendo grandi passi in avanti e si può prevedere  che a breve potranno essere disponibili soluzioni più semplici, rapide, affidabili ed economiche di quelle a disposizione ora. Ma ogni soluzione ha caratteristiche specifiche che la rendono idonea a uno scopo preciso e deve avere un piano di applicazione nella popolazione. 

Esistono diversi esempi in altri paesi, localizzati, di strategie di ricerca delle infezioni.  Ad esempio nel campus dell’Università dell’Illinois è stato avviato un programma di controllo che testa per la presenza del genoma virale tutte le 10.000 persone presenti, due volte a settimana. Lo screening è in continuo ed è effettuato su campioni di saliva. Un approccio del genere è idoneo per comunità circoscritte in cui si desidera identificare tempestivamente i casi.  Si potrebbe pensare a qualcosa di simile per il personale delle strutture sanitarie, di case di riposo e altre situazioni simili? Si potrebbe pensare di usare test anche meno sensibili? Se tali soluzioni sembrano fattibili è opportuno prospettarle in modo organizzato, coordinato e sostenibile tra le varie aree del Paese. In sostanza, non basta il semplice strumento “rapido ed economico”, serve una strategia tecnicamente condivisa per la sua applicazione. 

Con due circolari, del 24 e del 29 settembre, il Ministero ha fornito chiarimenti sull’uso dei test rapidi per l’infezione da SARS-CoV-2, con particolare riguardo al contesto scolastico, nel tentativo di fornire indirizzi sull’uso delle diverse metodiche diagnostiche.

Ma quello che occorre ora è un piano nazionale, che enunci le strategie di ricerca delle infezioni per diversi scopi di sanità pubblica, e diversi contesti (scuola, lavoro, sanità, famiglie, popolazione generale, etc), che indichi per ogni scopo il metodo di laboratorio più idoneo, che disegni una architettura dell’intero sistema, in termini di modello organizzativo/operativo e di sorveglianza epidemiologica, per cui i dati raccolti vengono resi disponibili per ulteriori analisi e valutazioni, che uso dei diversi sistemi di identificazione delle persone infette All’interno del piano nazionale devono muoversi le Regioni, con approcci confrontabili in situazioni omogenee, in modo da convergere su una strategia univoca che renda i dati sulle curve epidemiche leggibili e interpretabili. 

Abbiamo gli strumenti e la competenza per una risposta coordinata ed efficace.

 

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