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Nella zona grigia: coscienza e stato vegetativo

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La coscienza e i suoi meccanismi rimangono una delle roccaforti misteriose che la scienza deve ancora conquistare. Ma quali implicazioni può avere l’eventuale rivelazione dei meccanismi con cui la coscienza si manifesta? Ci sono molti campi di applicazione in cui una scoperta di questo tipo potrebbe essere rivoluzionaria. Tra questi, uno risulta particolarmente inquietante: lo stato vegetativo.

Adrian Owen, neuroscienziato di fama mondiale, attualmente presidente del Canada Excellence Research in Cognitive Neuroscience and Imaging al Brain and Mind Institute dell’Università dell’Ontario, si è dedicato a studiare proprio questa condizione per molti anni della sua carriera. È lui ad aver dimostrato che la coscienza può essere presente anche quando nessun sistema di indagine convenzionale riesce a rilevarla. Un caso clinico, in particolare, è stato cruciale per arrivare a questa, è proprio il caso di dirlo, presa di coscienza. Questa storia, assieme a quella di molti altri pazienti, è narrata nel suo libro, uscito nel 2017 e da poco tradotto in italiano, “Nella zona grigia” (Mondadori, 2019) che racconta, assieme ad alcuni aneddoti della vita personale dell’autore, la lunga carriera di studi sui pazienti vegetativi.

Lo stato vegetativo è una condizione clinica eterogenea che può manifestarsi come esito di un coma cerebrale: i pazienti in questa condizione aprono e chiudono gli occhi assecondando un ritmo sonno-veglia, respirano autonomamente, ma non sono in grado di eseguire alcun ordine né stabilire alcun contatto. Taluni, a volte, sembrano fare delle smorfie, accennare dei sorrisi, seguire con lo sguardo, ma spesso questi eventi sembrano essere casuali e poco ripetibili, nonostante per i parenti che vi assistono possano rappresentare delle vere e proprie forme di comunicazione intenzionale. Chi ha ragione? Owen è ben consapevole del fatto che esista in questi casi il confirmation bias, ovvero il rischio di errore dovuto alla ricerca di conferme. I parenti cercano disperatamente segnali di vita cosciente nel loro caro in stato vegetativo e tendono a interpretare segnali dubbi in senso sempre positivo.

Lo studio di Owen: pazienti coscienti in stato vegetativo

Dalla sua esperienza, Owen ci dice che più di qualche volta ha potuto verificare che i parenti avevano ragione. I suoi studi, tutti pubblicati su varie riviste scientifiche, tra cui Science, sono un susseguirsi di paradigmi di stimolazione cerebrale atti a dimostrare l’esistenza di processi cognitivi sofisticati nei pazienti vegetativi, anche se soltanto in una minoranza di questi. Lo studio che gli ha dato celebrità a livello mondiale è quello in cui dimostra che in gruppo di pazienti clinicamente accomunati dalla stessa diagnosi infausta, esisteva una piccola parte che riusciva, su richiesta, a immaginare di giocare una partita a tennis alternativamente all’immaginare di camminare e orientarsi dentro casa propria. Queste due attività, se immaginate, attivano due aree cerebrali ben distinte: la prima attiva la corteccia premotoria, la seconda il giro ippocampale. Queste due attivazioni sono ben visibili durante una risonanza magnetica cerebrale funzionale (fMRI). Utilizzando queste due modalità di attivazione come codici di risposta “sì” oppure “no”, alcuni pazienti sono stati poi in grado di rispondere a domande ben precise, del tipo: “Il tuo incidente è avvenuto nel 1999? Immagina di giocare a tennis se è un sì, immagina di camminare a casa tua se è un no”. La cosa agghiacciante è che quasi nessun paziente, dei pochi che abbiano dato risposte soddisfacenti, si sia poi svegliato nei mesi o anni a seguire.

Un paio di pazienti però, si sono svegliati a distanza di qualche mese, e qui c’è la seconda cosa inquietante. Entrambi ricordavano perfettamente l’esperimento e sapevano identificare tra più persone quelle presenti quel giorno nel laboratorio! Di questi due pazienti, la prima era una donna che aveva mostrato dell’attività cerebrale suggestiva di qualche livello di cognizione, il secondo, un ragazzo di nome Juan, invece no! E quest’ultimo è il caso clinico cruciale che ci mette davanti all’evidenza che la coscienza potrebbe esserci anche quando abbiamo certe evidenze strumentali che dicono il contrario. La BBC ha realizzato un documentario proprio su questo e altri casi del libro. 

È importante aggiungere che questi due pazienti hanno raccontato il dramma con cui hanno vissuto il tempo in cui sono stati inabili di comunicare e creduti incapaci di farlo da parte del personale sanitario. Questo ci pone anche un’importante questione etica, cioè su come sia più corretto approcciarsi a questi soggetti da parte del personale sanitario. Entrambi hanno potuto raccontare la loro toccante esperienza come “murati vivi”e hanno riferito di aver provato forte frustrazione e paura per il fatto di essere oggetto di manovre che non venivano prima spiegate e infliggevano loro dolore. Questi resoconti possono invitare a utilizzare maggiore cautela da parte del personale sanitario, in modo da agire tenendo presente la possibilità che il paziente affetto da stato vegetativo elabori un qualche livello di sofferenza.

La complessità della coscienza

In conclusione, Owen è costretto ad ammettere che, nonostante grazie ai suoi esperimenti sia piuttosto sicuro di cogliere presenza di coscienza in quei pazienti che rispondono attivando le aree cerebrali coinvolte dai suoi esperimenti, non può dire che il paziente sia per certo incosciente di quanto gli accade attorno nel caso in cui le stesse aree non si attivino.

Gli studi di Owen sono stati anche molto criticati dai colleghi neuroscienziati; uno dei punti deboli è la scarsa numerosità dei campioni (uno stato vegetativo non è una condizione di cui trabocchino gli ospedali, anche se sono sempre più frequenti). Un altro punto debole è il fatto che manca nel panorama scientifico un’idea condivisa di quale sia la definizione e i correlati neurali di questo costrutto enormemente complesso: la coscienza. In fondo, il fatto che un soggetto in stato vegetativo riesca a eseguire alcuni compiti attivando le apposite aree cerebrali non ci dice se e quanto egli sia consapevole di ciò. Al di la degli interrogativi scientifici e dei dubbi etici che esso solleva, la lettura di questo libro è utile a farci realizzare, ancora una volta, come sia complessa la coscienza, come la scienza provi a forzare il suo scrigno e come ancora, casi clinici alla mano, realizziamo di aver capito molto poco.

 


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