L'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea. Credit: Andrey Kuzmin/Shutterstock.
Le questioni ambientali sono state trattate solo sporadicamente nella campagna che ha preceduto il referendum svoltosi in Gran Bretagna il 23 giugno 2016 in merito alla permanenza nell’Unione europea e sono state successivamente pressoché ignorate dal Governo britannico: il White Paper del febbraio che traccia le linee guida da seguire dal c.d. Great Repeal Bill per l’uscita dall’Unione europea tocca solo marginalmente le questioni ambientali e l’ambiente non figura nei dodici punti fissati dal Governo per l’avvio delle trattative. D’altro canto, la Commissione parlamentare sull’ambiente (Parliament’s Environmental Audit Committee) ha in varie occasioni inutilmente richiesto al Governo di approfondire le principali questioni che si sarebbero poste.
Proprio per questo, tredici delle principali organizzazioni ambientaliste che operano nel Regno Unito (tra cui Greenpeace, Friends of the Earth, WWF and The National Trust) hanno reso pubblico un manifesto richiedendo al Governo di porre precise garanzie per la protezione dell’ambiente prima di lasciare l’Unione europea.
In questo senso, numerosi documenti e rapporti sono apparsi negli ultimi mesi sul tema degli effetti della Brexit sulla tutela dell’ambiente, tutti segnati da incertezza per il futuro e dal timore per le difficoltà di una “rinazionalizzazione” della normativa ambientale di derivazione comunitaria, operazione che potrà lasciare ampi margini di manovra alle forze che vogliono liberarsi di vincoli ambientali ritenuti frenanti per l’economia.
Dubbi analoghi sono stati espressi in gennaio anche da Baskut Tuncak, l’incaricato presso l’Alto commissariato dei diritti dell’uomo di studiare le problematiche sull’inquinamento: "La Brexit è una minaccia enorme per le condizioni ambientali in Europa”.
In proposito Caroline Lucas, deputata del Green party, nel rapporto Exiting the EU, not the environment avverte che entro il marzo 2019, data in cui l’uscita dall’Unione europea diverrà effettiva, dovranno essere nazionalizzati almeno 1.100 atti di normativa di derivazione comunitaria. Un compito che gli esperti del settore già preannunciano tutt’altro che semplice. È del resto quanto avvertiva molti anni fa Ludwig Kramer, uno dei padri del diritto ambientale europeo: la funzione dell’Unione europea nel settore ambientale è di consentire agli Stati di proteggere il proprio ambiente, un obiettivo che da soli non riuscirebbero a perseguire.
Un caso emblematico è rappresentato dall’inquinamento atmosferico. Il Regno Unito è stato condannato nel 2013 dalla Corte di Giustizia perché non applicava le disposizioni europee sulla qualità dell’aria: quaranta zone su quarantatré prese in esame oltrepassavano i limiti fissati in proposito. Dopo due anni senza che fossero adottate misure per il rispetto della normativa, nel 2015 la Corte di Giustizia ha ordinato al Governo britannico di predisporre un piano per affrontare la situazione. A questo punto è stato presentato un piano d’intervento, nel quale però non si prevedeva di adeguarsi alla normativa nella maggior parte delle città britanniche prima del 2025. Così, nel novembre 2016 è arrivata una nuova condanna da parte della Corte di Giustizia, intimando al Governo di predisporre un nuovo piano entro il luglio 2017.
È certo che nessun piano sarà predisposto entro questa data, in vista della Brexit. Così, l’aria rimarrà nel Regno Unito a livelli d’inquinamento che non sarebbero stati tollerati se il Regno Unito fosse rimasto nell’Unione europea.
È quindi pienamente valido l’ammonimento che le organizzazioni ambientaliste avevano lanciato in prossimità del referendum: “l’appartenenza della Gran Bretagna all’Unione europea ha prodotto benefici per il nostro ambiente: una riduzione dell’inquinamento idrico e atmosferico, una riduzione delle emissioni di gas serra, un aumento delle pratiche di gestione e riciclo dei rifiuti e un aumento delle aree protette. Sono benefici che ben difficilmente potrebbero essere conservati o incrementati nel caso di una Brexit” (1).
In realtà, è questo il caso nel quale potrebbe trovare applicazione, forse per la prima volta, un principio del diritto ambientale: il principio di non regressione, che ha trovato un primo esplicito enunciato in una risoluzione del Parlamento europeo del 29 settembre 2011 (2), relativa all’elaborazione di una posizione comune dell’Unione europea nella prospettiva della Conferenza Rio + 20: “The European Parliament (…) calls for the recognition of the principle of non-regression in the context of environmental protection as well as fundamental rights” (par. 97).
Note
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Institute for European Environmental Policy, The potential policy and environmental consequences for the UK of a departure from the European Union, Bruxelles 2016.
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cfr. Prieur & Sozzo (sous la direction de), Le principe de non régression en droit de l’environnement, Bruxelles, 2012; T. Scovazzi, Il principio di non-regressione nel diritto internazionale dell’ambiente, in corso di pubblicazione.