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L’Italia ai margini di EMBO. E’ ora di cambiare

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In un’intervista a un quotidiano nazionale Alberto Mantovani ricorda “il paradosso della scienza: paghiamo la ricerca degli altri”. Fa giustamente osservare  che l’Italia paga (in parte) la ricerca degli altri e che esportando (esiliando?) i nostri ricercatori più promettenti, preparati con risorse modeste ma preziose, facciamo qualche regalo anche a Paesi più ricchi di noi (aggiungendo beffa al danno). Mantovani si riferisce soprattutto al mondo delle bioscienze. In effetti l’Italia cofinanzia istituzioni comunitarie di ricerca, come per la fisica il CERN di Ginevra , e la sua controparte biomolecolare, l’EMBO di Heidelberg, anche se con ritorni molto diversi. 

Successo per la fisica italiana…

Il CERN, Centro Europeo di Ricerca Nucleare, fu fondato nel 1954 a Ginevra da 12 Paesi tra cui l’Italia: doveva rilanciare la fisica nucleare allora depressa dal coinvolgimento nell’olocausto nucleare e disorientata dalla guerra fredda. In quegli anni l’Europa era impegnata nella ricostruzione postbellica e le particelle elementari non erano prioritarie, se non per alcuni fisici lungimiranti:  assicurare i fondi necessari al loro studio significava coinvolgere più Paesi e aumentarne il coinvolgimento. Oggi il CERN ne riunisce 21, più osservatori come USA e Giappone: il risultato, per qualità della ricerca e dimensioni dell’impegno, è unico e insostituibile. Anche grazie a noi italiani: per la parte scientifica ricordiamo che la nostra Fabiola Gianotti è appena stata nominata direttrice generale, e prima di lei troviamo Amaldi, Maiani, Rubbia. Su 3.500 dipendenti 440 sono italiani, 80 in posizioni direttive; al budget di 1 miliardo di € noi contribuiamo per il 12%, determinato in base ai PIL, ma ne recuperiamo un 20% (come commesse industriali, dipendenti, visitatori, borsisti etc). Il dato è significativo, se si pensa che nel complesso versiamo all’UE molto più di quanto riceviamo. Il CERN ha sviluppato internet, senza brevettarlo; costruisce, ospita e usa  strumenti super sofisticati tipo LHC, l’acceleratore che ha permesso la recente cattura del bosone di Higgs, che costa sui 10 miliardi di € ma ha ricadute persino in oncoterapia. Al CERN per l’Italia come per la maggior parte dei membri, i ritorni sono soddisfacenti. Il motivo è semplice: la struttura è utile e funziona. 

… delusione per i biologi

Purtroppo non è così per le bioscienze. Nel 1964 l’Italia aderì alla fondazione dell’EMBO (European Molecular Biology Organization, sede Ginevra) e poco dopo dell’EMBL (il Laboratorio di ricerca, sede Heidelberg): i ricercatori biomolecolari, affascinati dalla struttura del DNA e dal mito che la circondò, non potevano essere da meno dei fisici e non volere qualcosa che somigliasse al CERN. Ma all’ingenuo entusiasmo dei fondatori è subentrata la disaffezione, almeno da noi, e purtroppo in misura crescente. Anche qui il motivo è semplice: i problemi teorici non sono ben definiti (le scienze dette omiche non sempre ben definite, spesso accennano a velleitari approcci sistematici, a volte finiscono col degenerare in raccolte di dati) e il loro studio non richiede le megastrutture dei fisici (che costano mille volte meno dell’LHC). Inoltre i progetti sono parcellizzati e somigliano molto a quelli dei migliori laboratori nazionali. Lo prova il fatto che al centro di Heidelberg negli anni si sono aggiunti laboratori locali (Grenoble, Amburgo, Cambridge, Roma):  obiettivi, strategie e strumenti sono compatibili con quelli dei Paesi ospitanti; sono anzi funzionali ai loro programmi, ne sviluppano i risultati e ne incamerano i ritorni. Diversamente dal CERN, l’EMBO/L ha molti dipendenti strutturati; non ha spirito e motivazioni del CERN e nell’indifferenza degli altri Paesi permette una puntigliosa difesa dell’interesse di pochi, in particolare Germania e Gran Bretagna. Ovviamente in nome di un’eccellenza certificata da autorevoli house organ come EMBO Journal, Nature etc. Sarà certo un fatto contingente, ma è significativo che a EXPO 2015 abbia partecipato il CERN, ma non l’EMBO, pur essendo il tema dell’alimentazione forse più di natura biologica che particellare.

Diamo più di quel che riceviamo

Questa è una succinta ma realistica cronaca del presente: parte da lontano, dagli errori commessi dai padri fondatori dell’EMBO/L. Nel 1994 Science pubblicò un cahier de doléances sottoscritto da buona parte dei soci italiani, compreso chi firma qui. Vent’anni dopo da poche decine per cooptazione siamo diventati più d’un centinaio (ma gli inglesi sono 3 volte tanti, i tedeschi 2 e i francesi 1,5; come numero di soci ci superano anche gli svizzeri). A un bilancio di circa 200 milioni di €  noi contribuiamo per un 12%, per gli stessi motivi del CERN, quindi un po’ meno di Germania, Gran Bretagna, ma la nostra fruizione complessiva è molto inferiore. Non abbiamo mai avuto un direttore, non abbiamo un capogruppo tra i 100 e passa che operano nei diversi laboratori, neanche a Roma (per inciso, il più piccolo di tutti); su 30 Medaglie d’oro EMBO assegnate a under-40, 14 sono andate a giovani attivi in Gran Bretagna, 3 a italiani ma attivi all’estero, nessuna a ricercatori attivi in Italia, nazionalità a parte; poche le forniture e le commesse a nostre imprese; striminzita la nostra presenza tra gli oltre 3.000 ricercatori e funzionari strutturati e tra i pochi visitatori e borsisti; corsi, simposi e conferenze vedono pochi italiani tra i docenti e tra gli studenti. 

Gregari di Germania e Gran Bretagna

È significativo che l’opposizione dell’EMBO alla recente minaccia di tagli ai finanziamenti per la ricerca UE è stata sostenuta da ben 47 VIP delle scienze mondiali, ma tra loro non c’era un italiano. E infine va anche ricordato che i padri fondatori dell’EMBO avevano indicato come obiettivi sia la qualità della ricerca sia la coesione tra i partner. Si tratta di valori nobili ma difficilmente conciliabili, comunque entrambi da difendere. Per noi il rapporto costi/benefici è deprimente ed è colpa nostra. In un mondo in crisi noi tagliamo la ricerca interna, altri più lungimiranti la potenziano, anche capitalizzando sull’altrui sprovvedutezza. Perché partecipare all’EMBO, allora? Basta che ce lo chiede l’Europa; o, si dice, ce l’impone il perseguimento dell’eccellenza globale nella ricerca. Rispettiamo gli accordi internazionali, nello spirito prima che nella lettera, ma rinegoziamoli, se necessario. Una resistibile evoluzione di EMBO/L ha permesso alla Germania d’eccellere in biologia sperimentale e a Gran Bretagna di dominare la bioinformatica: i loro meriti sono stati determinanti, ma il nostro grazioso contributo li ha aiutati. Le cause della nostra gregarietà sono remote e sicuramente più culturali che genetiche, come dimostra il CERN, ma la nostra ingenuità sfocia nell’autolesionismo. All’EMBO accordi presi mezzo secolo fa dai padri fondatori c’impongono pagamenti onerosi per iniziative che in effetti sono d’altri Paesi, più che comunitari o nostri. Da noi, dissennati tagli lineari minacciano la sopravvivenza d’una ricerca biologica già gracile di suo, ma non toccano gli impegni verso gli altri Paesi. Per aggiornarci in genomica dobbiamo far venire bioinformatici da Cambridge e pagargli la trasferta nonostante siano dipendenti anche nostri. I grossi laboratori dell’EMBL impiegano centinaia di giovani, bravi, felici di fare ricerca in splendide strutture e di guadagnare bene. Nel minuscolo laboratorio di Roma dedicato alla genetica del topo è stato necessario importare ricercatori cosmopoliti e attrarli a Roma per la sua grande bellezza più che per la qualità della nostra ricerca: non si capisce quindi perché l’abbiamo accettato. 

Che fare?

Alternative? Poche. Uscire sbattendo la porta? Ma oltre alla faccia perderemmo 50 anni d’investimenti, vicini al miliardo di €: anche in previsione di possibilità di questo tipo, l’EMBO ha di recente fatto approvare via mail ai soci una clausola che in caso di chiusura anticipata assegna i beni attuali dell’EMBO/EMBL alla Fondazione Volkswagen, che negli anni ‘60 aveva finanziato l’avvio (con 680.000 $). Un ennesimo regalo alla ricca Germania: e un solo socio (italiano) ha votato contro. Oppure possiamo continuare a brigare per accrescere la nostra partecipazione: potremmo riuscirci, ma di poco e se gli altri solo fanno lo stesso (o di più), il distacco cresce. Infatti la Gran Bretagna ha aumentato la sua rappresentanza imponendo una (a mio avviso ingiustificata) nomina di 50 nuovi soci (non eletti) afferenti a discipline marginali (evoluzionistica e neurobiologia): di colpo sono entrati 23 inglesi e un italiano! 

Forse la migliore alternativa è negoziare: visto che il coordinamento comunitario e la promozione della ricerca sono auspicabili, proponiamo che continui a occuparsene l’EMBO; tutti e cinque i laboratori sperimentali dell’EMBL potrebbero passare ai Paesi ospitanti che li rileverebbero versando all’EMBO un congruo controvalore, in sostanza cospicue risorse con cui l’EMBO potrebbe perseguire meglio obiettivi realmente comunitari, come il potenziamento del suo ruolo istituzionale di diffusore della cultura biologica (ce n’è bisogno!), di coordinatore delle ricerche, di consulente nella valutazione di casi nazionali e di compensatore di eventuali carenze. L’eccellenza nella ricerca non deve contrastare con la coesione tra i Paesi. Se per i nostri giovani vogliamo un futuro migliore anche a casa loro, riflettiamo attentamente su EMBO/L. Intanto però potenziamo la competenza politica e scientifica dei nostri rappresentanti e la sensibilità dell’intera comunità. Magari consultando i colleghi fisici.


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