fbpx Organi su un chip e sensori sul (e nel) corpo: il ruolo dallo studio all’approvazione di nuove terapie | Scienza in rete

La rivoluzione di chip e sensori nello studio e approvazione di nuove terapie

Primary tabs

Tempo di lettura: 7 mins

Dati fisiologici o comportamentali  misurati attraverso dispositivi che possono essere portatili, indossabili, impiantabili o digeribili, ossia i biomarcatori digitali, e gli organi o tessuti “on a chip”, micro-dispositivi progettati per supportare tessuti e cellule viventi, imitando in vitro la fisiologia umana e le malattie, sono due tra gli strumenti più promettenti per il supporto agli studi clinici e preclinici: in questo articolo, Michela Moretti esplora le loro potenzialità e attuali limiti.

Crediti immagine: National Center for Advancing Translational Sciences/Flickr. Licenza: dominio pubblico

La pandemia di Covid 19 ha dato una svolta al dibattito sui percorsi per accelerare i tempi della ricerca e l’approvazione di nuove terapie, in particolare quelle che riguardano patologie ancora senza cura. Pur rimanendo prioritaria la necessità di fornire garanzie di sicurezza ed efficacia di un farmaco, è sempre più condivisa la volontà di trovare soluzioni che velocizzino tali iter. Gli sforzi delle istituzioni e degli enti regolatori - non senza difficoltà - per fornire indicazioni più precise, direttive certe e meno burocrazia sono stati e sono ancora numerosi. Pur tuttavia, ci sono ancora molti limiti legati alle metodologie utilizzate per condurre con successo studi clinici e giungere all’approvazione di una terapia.

Negli studi preclinici per lo sviluppo di farmaci, gli strumenti attuali prevedono in gran parte l'uso di cellule coltivate in laboratorio in 2D e di modelli animali, che non sempre predicono le risposte che si avranno nell'essere umano; scarsità di informazioni e risultati fuorvianti conducono al fallimento, all’interruzione o al rallentamento di numerosissimi progetti.

Un altro aspetto riguarda la necessità, prima di disegnare studi clinici, di avere a disposizione dati completi sulla storia naturale di una malattia che forniscano una direzione precisa. Prima che gli scienziati potessero analizzare la storia naturale del SARS-CoV-2, non c'era un valido supporto per il processo decisionale a livello nazionale e globale sul controllo del virus. Se si considerano le patologie a progressione lenta o rare, malattie piuttosto eterogenee che colpiscono una piccola popolazione, la costruzione di studi di storia naturale efficienti è una strada in salita.

Con un numero crescente di studi clinici che utilizzano nuove terapie avanzate, tra cui la terapia genica, dimostrare il beneficio di un trattamento e scegliere la popolazione giusta da trattare sono diventati elementi vitali. Tuttavia, la determinazione di questi fattori per i pazienti con malattie rare è ancora un iter complesso, poiché le conoscenze e gli strumenti a disposizione sono tuttora piuttosto limitati.

Negli ultimi anni, farmaci con un biomarcatore hanno avuto più possibilità di ottenere l’approvazione rispetto a quelli senza un biomarcatore, ma il percorso che va dalla scoperta alla convalida di biomarcatori richiede anni, oltre a ingenti investimenti da parte delle aziende farmaceutiche.

In questo complesso contesto, gli studi in ambito tecnologico stanno provando a fornire valide alternative portando, pur con le attuali limitazioni dovute al loro recente sviluppo, a interessanti prospettive. Le circostanze create dalla pandemia, con l’impossibilità di spostarsi, di recarsi nelle cliniche e negli ospedali, hanno favorito l’ampio utilizzo di trial clinici in remoto, con la raccolta di dati attraverso sensori in remoto, strumenti digitali o telemedicina.

Questo scenario ha enfatizzato la discussione sull’utilizzo dei cosiddetti biomarcatori digitali, ossia dati fisiologici o comportamentali che vengono misurati attraverso dispositivi che possono essere portatili, indossabili, impiantabili o digeribili. I dati sono raccolti al di fuori del contesto clinico tradizionale, nell'ambiente naturale del paziente, con metodiche non invasive. Tutte le informazioni passano poi attraverso algoritmi che le trasformano in misurazioni. I dispositivi sviluppati sono in grado di raccogliere elementi che con metodi e tecniche tradizionali passerebbero inosservati; ci sono sensori in grado di rilevare biomarcatori digitali della parola, movimenti oculari, battito delle palpebre e riflessi pupillari, espressione facciale e altre abilità motorie, memoria spaziale e capacità di navigazione; o sudore, saliva e respiro, solo per citarne alcuni.

Nel 2019, la Velocità di passo 95° centile (Stride Velocity 95th Centile, SV95C) ha ricevuto la qualificazione dalla European Medicine Agency (EMA) come primo endpoint digitale derivato da dispositivi indossabili per la distrofia muscolare di Duchenne, dimostrando le potenzialità di utilizzo dei biomarker digitali negli studi clinici per misurare l’efficacia di nuovi trattamenti. L'applicazione nell’ambito delle neuroscienze è vasta; sono in corso diversi studi su disturbi motori e malattie cognitive, dell'umore, come il morbo di Parkinson, dove l'obiettivo è quantificare la gravità e la distribuzione dei sintomi motori e delle anomalie vocali legate alle prime fasi della progressione della malattia. Oltre a offrire un modo per risparmiare tempo nella raccolta di informazioni precise e puntuali, questa tecnologia sta portando alla creazione di enormi database sulle malattie, che si basano sulla raccolta di dati su un lungo periodo di tempo, e non solo durante le visite di routine dei pazienti.

Dal punto di vista preclinico, i biomarcatori digitali traslazionali possono essere utili per perfezionare gli studi sugli animali: i dati raccolti sulla risposta fisiologica o comportamentale alla progressione della malattia o all'intervento terapeutico possono accelerare il percorso dagli studi preclinici alla clinica.

Anche un altro approccio, seppure ancora esordiente, è visto come una via potenzialmente più breve verso l’approvazione di un farmaco: l'uso, negli studi preclinici e clinici, di micro-dispositivi progettati per supportare tessuti e cellule umani viventi, imitando in vitro la fisiologia umana e le malattie. Questi incredibili modelli, costituiti da accurate piattaforme 3D, sono chiamati tessuti su chip o organi su chip e possono integrare diversi tipi di sensori, consentendo l'analisi in tempo reale di processi biologici. Gli organi su chip permettono di osservare aspetti del funzionamento di alcune parti del corpo umano che sono difficili da esaminare con gli strumenti attualmente a disposizione; l’obiettivo di questa tecnologia è di riprodurre ciò che accade realmente nel nostro organismo, superando i limiti dei modelli cellulari 2D utilizzati finora che non rispecchiano la tridimensionalità del corpo umano. Gli scienziati hanno già creato diversi modelli 3D in vitro e in diversi luoghi del mondo si sta lavorando su polmoni, fegato, cuore, reni, intestino e persino cervello su un chip.

C’è un enorme potenziale all’interno di questa tecnologia ai suoi albori. Tra le opportunità, c’è quella ricreare il microambiente tumorale umano in vitro per studiare il comportamento e gli aspetti della progressione del cancro, e prevedere l'efficacia e la tossicità o meno dei farmaci negli organi prima di iniziare studi clinici, riducendo i modelli animali da utilizzare; è anche possibile costruire modelli di processi infiammatori, o infezioni e risposte immunitarie, per comprendere meglio questi complessi meccanismi e sviluppare trattamenti per malattie infiammatorie, come l'Alzheimer, e per le infezioni, compresa quella da SARS-CoV-2. Le intuizioni di questi modelli potrebbero aiutare a facilitare la somministrazione di terapie, come la terapia genica, al cervello. Il nervo su chip è un tessuto motorio, neuronale o sensoriale in un ambiente 3D creato per imitare i nervi: il suo utilizzo può migliorare la conoscenza delle malattie neurodegenerative, aiutando inoltre gli sviluppatori di farmaci a testare se il loro composto è neurotossico.

Una recente evoluzione di questa tecnologia è il multi-organo su chip, dotato di canali microfluidici (per mimare il sistema di trasporto di sostanze nel corpo) e di sistemi multisensoriali. Cuore, polmone, pelle e tessuti del fegato possono essere messi sullo stesso chip e collegati insieme per studiare il potenziale comportamento, le attività biologiche, le proprietà meccaniche, la risposta delle cellule malate a un farmaco e come questo farmaco potrebbe influenzare tutti questi organi.

L’obiettivo finale, che per la sua ambiziosità presenta alcune sfide, è quello di creare un modello che imiti l'intero corpo umano, prevedendo con un alto livello di precisione che cosa potrebbe accadere durante gli studi in vivo, studiando le interazioni fisiologiche tra gli organi e persino le risposte ai farmaci dell'intero corpo umano. Ciò apre la possibilità di applicare questa tecnologia in studi clinici personalizzati, oltre a ridurre, come detto, gli studi su modelli animali.

Sia i multi-organo su chip che i biomarcatori digitali necessitano di ulteriori miglioramenti per superare i loro limiti effettivi. Nel caso dei biomarcatori digitali, nonostante i numerosi tentativi, pochissimi a oggi hanno avuto un ruolo sostanziale nella ricerca; manca poi un pieno consenso sulla affidabilità dei dati prodotti attraverso l’uso di sistemi di valutazione dei parametri raccolti; inoltre, si riscontra un’ampia diversità di studi condotti e di varietà di dispositivi utilizzati; infine, poiché il fattore umano gioca un ruolo importante nell’uso sicuro ed efficace della tecnologia, un utilizzo non corretto dei dispositivi digitali può condurre fuori strada. Gli organi su chip hanno bisogno di tempo per essere perfezionati; tra le sfide vi è quella dell’approvazione da parte di tutti gli attori in gioco di un modello standard da seguire, poiché le metodologie di realizzazione sono varie; l’aspetto più complesso è tuttavia quello di allungare il ciclo della vita degli organi su chip per renderli veramente utilizzabili sul lungo periodo. Infine, è necessario sviluppare un dialogo più aperto tra chi crea queste tecnologie, con le proprie logiche di guadagno a breve termine, e chi si occupa di sviluppare nuovi farmaci e terapie, con i tempi che ciò richiede.

Ciò nonostante, i biomarcatori digitali e gli organi su chip, con i loro innovativi sistemi multisensoriali, sembrano essere tra i principali fattori di cambiamento nell’ambito del percorso verso l’approvazione di un trattamento. L'enorme quantità di informazioni che queste tecnologie possono mettere a disposizione in tempo reale è una risorsa essenziale per fornire nuove conoscenze che possono cambiare il modo e la velocità con cui verrà sviluppata la medicina del futuro, a vantaggio soprattutto dei pazienti con forti bisogni ancora non soddisfatti.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

"We did not do a good job in explaining how flexible biology can be," interview with Frans de Waal

Frans de Waal

Eva Benelli and Anna Romano interview Fran de Waal about his latest book, Different. Gender issues seen through the eyes of a primatologist.

Photo of Catherine Marin

After reviewing Different. Gender issues seen through the eyes of a primatologist, we wanted to have a chat with the author, the primatologist Frans de Waal, to find out what motivated him to deal with gender issues and to get his opinion on research in this and other fields of ethology. Here is our interview.