Un gruppo di ricercatori del dipartimento di fisica della Sapienza Università di Roma ha inviato una chiave quantistica in modalità wireless tra due edifici del campus distanti circa 250 metri, usando come sorgente un quantum dot, un particolare tipo di dispositivo semiconduttore di dimensioni nanometriche. Si tratta di un protocollo di crittografia quantistica basato sul fenomeno dell'entanglement, che caratterizza le coppie di fotoni (particelle di luce) emesse da questi dispositivi. La chiave quantistica serve sia a decifrare il messaggio inviato attraverso un canale classico, sia ad allertare in caso di attacchi di terze parti. Le sorgenti di fotoni entangled più convenzionali hanno il difetto di emettere coppie di fotoni identiche quasi contemporaneamente. Questo mette a rischio la sicurezza della chiave, perché una terza parte può "leggere" le informazioni portate dai fotoni di una delle due coppie senza che né mittente né destinatario se ne rendano conto. Al contrario i quantum dot emettono singole coppie on demand e rappresentano quindi una soluzione molto promettente per i protocolli di crittografia quantistica.
Un'immagine dell'esperimento, per gentile concessione degli autori (tutti i diritti riservati).
La crittografia è uno degli ingranaggi nascosti della macchina della rete che utilizziamo, talvolta inconsapevolmente, accedendo a un account bancario o comunicando con un conoscente tramite una app di messaggistica. I dati vengono protetti dall’intrusione di terze parti usando algoritmi che richiederebbero risorse computazionali impraticabili per essere attaccati. La sicurezza a medio-lungo termine di questi sistemi di crittografia si basa infatti su assunzioni riguardo le capacità tecnologiche dell’agente ostile.
La crittografia quantistica offre una soluzione alternativa e radicalmente diversa al tema della sicurezza nelle comunicazioni. Gli schemi più comuni permettono di scambiare una chiave segreta tra le parti comunicanti e al tempo stesso di rilevare ogni tentativo esterno di impossessarsi di questa informazione. La chiave segreta condivisa permette di criptare e decifrare messaggi scambiati sulla rete tramite canali di comunicazione classici impedendo che possano essere letti anche qualora vengano intercettati.
In uno studio pubblicato recentemente su Science Advances, abbiamo realizzato per la prima volta lo scambio wireless di una chiave quantistica tra due edifici distanti circa 250 metri all’interno del campus della Sapienza Università di Roma impiegando come sorgente delle particelle quantistiche (fotoni) un quantum dot, in italiano “punto quantico”. Si tratta di nanostrutture di dimensioni migliaia di volte più piccole dello spessore di un capello umano, realizzate utilizzando tecniche e materiali comunemente impiegati nell’industria dei semiconduttori e della optoelettronica.
La postazione mittente sul tetto dell'edificio intitolato a Guglielmo Marconi all'interno del campus universitario della Sapienza. Dall'altro lato della piazza su cui affaccia il rettorato si vede l'edificio intitolato a Enrico Fermi dove è collocata la postazione destinataria della comunicazione (per gentile concessione degli autori, tutti i diritti riservati).
Il protocollo che abbiamo realizzato è basato sull’entanglement quantistico tra due fotoni, in italiano “intreccio”, e fa riferimento alla possibilità di correlare gli stati quantistici assunti dalle diverse particelle, in un modo impossibile classicamente. Tale intreccio rivela la sua unicità ogni qual volta si effettua una misurazione su uno dei due fotoni, il cui “collasso” quantistico su un determinato stato, determina un collasso correlato del secondo fotone, qualsiasi sia la distanza fra le due particelle. Per studiare tale comportamento è necessario confrontare i risultati delle misure sui due fotoni. Lo strumento principe che confronta le misure e certifica la presenza di tale correlazione quantistica non locale è la misura della disuguaglianza di Bell.
Nel nostro caso, viene emessa una sequenza di coppie di fotoni entangled nella polarizzazione. Di ogni coppia, un fotone viene inviato al mittente della comunicazione e l’altro al destinatario. Parte dei fotoni scambiati sono usati per condividere bit di chiave, mentre un'altra parte per misurare il grado di entanglement fra di essi, attraverso la disuguaglianza di Bell. Nel caso in cui un intrusore provasse a “leggere” l’informazione trasportata da uno dei fotoni, l’altro fotone subirebbe un cambiamento che verrebbe rilevato come perdita di entanglement dai due utenti, svelando il tentativo di attacco.
Il risultato è frutto della collaborazione tra il gruppo di Nanophotonics, coordinato da Rinaldo Trotta, esperto in tecnologia dei quantum dot e principal investigator del progetto SPQRel finanziato con uno starting grant dello European Research Council (ERC), e il Quantum Information Laboratory, coordinato da Fabio Sciarrino, esperto di informazione quantistica che ha recentemente ottenuto un advanced grant dell’ERC per il progetto di computazione quantistica QU-BOSS. I due gruppi di ricerca collaborano anche nel progetto Qurope, finanziato sotto lo schema FET-Open su tematiche relative allo sviluppo di ripetitori quantistici con fotoni entangled emessi da quantum dot.
Sono diversi i tentativi di sfruttare il fenomeno dell’entanglement quantistico per estendere il funzionamento della crittografia quantistica a reti di comunicazione, aumentando le distanze dei collegamenti e garantendo la sicurezza su nodi intermedi non attendibili. Un esempio notevole è l’esperimento condotto nel 2020 dal gruppo di Jian-Wei Pan della University of Science and Technology of China che ha usato il satellite cinese Micius per inviare sequenze di fotoni ciascuno appartenente a una coppia di fotoni entangled.
Un punto cruciale per sfruttare con successo questa proprietà è la capacità di generare e trasmettere segnali ottici a singolo fotone (i portatori dell’informazione quantistica) che restino stabili su lunghe distanze e fuori dalle condizioni ideali dei laboratori. Finora le sorgenti più utilizzate per generare questi segnali sono stati i cristalli non lineari. Se investiti con un fascio laser questi emettono delle coppie di fotoni entangled, ma lo fanno in modo probabilistico. In altre parole non è un’emissione on demand e può accadere che dopo lo stimolo laser il cristallo non emetta nulla, oppure emetta una o due coppie di fotoni entangled identiche. Questo rappresenta un rischio nella trasmissione di una chiave quantistica. Se infatti sono emesse due coppie identiche di fotoni entangled, l’intrusore può ottenere la chiave crittografica senza che i due utenti della comunicazione se ne rendano conto. I quantum dot risolvono questa limitazione, poiché permettono di emettere singole coppie di fotoni entangled on demand.
Nell’esperimento che abbiamo condotto alla Sapienza, il laboratorio di Nanophotonics ha agito come mittente dall’edificio del dipartimento di fisica intitolato a Guglielmo Marconi (grande pioniere della comunicazione wireless) generando sequenze di coppie di fotoni entangled e condividendone una parte in un fascio di luce inviato verso il ricevente. Questo ruolo è stato interpretato dal Quantum Information Laboratory collocato a circa 250 metri di distanza nell’altro edificio occupato dal dipartimento di fisica e intitolato a Enrico Fermi dove il segnale quantistico è stato raccolto a distanza e misurato.
L’utilizzo di questo canale di comunicazione ha permesso di valutare la robustezza del segnale ottico rispetto a disturbi e interferenze in ambiente urbano, obiettivo raggiunto anche grazie a specifiche soluzioni tecniche. In particolare, abbiamo messo a punto un sistema di specchi veloci in grado di correggere la direzione del fascio luminoso perturbata da vento e variazioni di temperatura.
Le sequenze di coppie di fotoni entangled condivise con successo sono state usate per creare a distanza due copie uniche di una chiave crittografica, una stringa di bit casuale e privata. Il protocollo di comunicazione permette di testare costantemente la presenza di entanglement nei segnali scambiati tra mittente e ricevente, permettendo di escludere la possibilità di intrusioni durante la condivisione della chiave. La chiave scambiata è stata impiegata per criptare i dati trasmessi su un canale classico fra i due gruppi e relativi a un'immagine del logo Sapienza.
È la prima volta che un dispositivo a quantum dot viene utilizzato per un protocollo urbano di crittografia basato su fotoni entangled e che un canale quantistico in aria viene stabilito all’interno di un ambiente come il campus della Sapienza. L’esperimento che abbiamo realizzato getta le basi per la realizzazione di una infrastruttura per lo studio sperimentale di reti di comunicazione quantistica. La dimostrazione di impiego fuori dal laboratorio è un’importante tappa intermedia in una direzione di ricerca molto promettente: i quantum dot, a differenza di soluzioni adottate in passato, ambiscono a produrre segnali quantistici di alta qualità on demand, compromettendo così lo sviluppo di numerose strategie di hacking altrimenti efficaci con altre tipologie di emettitori. Il nostro auspicio è che la combinazione di questo approccio con i rapidi progressi a cui assistiamo quotidianamente in tutte le altre aree di questo campo di ricerca, permetteranno di dimostrare il funzionamento della crittografia quantistica su scala globale.