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Manifesto per la comunicazione del vaccino contro Covid-19

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Per quanto riguarda il vaccino contro SARS-CoV-2, restano alcuni nodi da affrontare. Oltre alla distribuzione, dovremo capire in che modo i cittadini hanno percepito, stanno percependo e percepiranno il vaccino contro Covid-19. In altre parole, dobbiamo chiederci come comunicare in modo corretto ciò che riguarda il vaccino: qui le dieci proposte dei giornalisti Nicola Zamperini e Francesco Marini.

L'uomo può augurarsi di proposito, consapevolmente, anche qualcosa di dannoso, di stupido, perfino stupidissimo, e cioè per avere il diritto di augurarsi anche ciò che è stupidissimo e non essere vincolato all'obbligo di desiderare soltanto ciò che è intelligente. Infatti questa cosa stupidissima, questo capriccio, signori, in realtà può essere quel che di più vantaggioso c'è per noialtri sulla terra, soprattutto in certi casi. E in particolare può essere più vantaggioso di tutti i vantaggi perfino nel caso in cui vi porti un danno evidente e contraddica alle più sensate deduzioni della nostra ragione in materia di tornaconto, perché in ogni caso ci salvaguarda la cosa più importante e preziosa, cioè la nostra personalità e la nostra individualità.

Memorie dal sottosuolo, Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Un processo lungo, che generalmente richiede anni. E che invece, per una volta, viene compresso in un tempo limitato, pochi mesi. Alcuni tra i migliori scienziati del mondo raccolti in direzione di un unico obiettivo, comune, condiviso: un vaccino contro il nuovo Coronavirus. La storia del vaccino – o meglio, dei vaccini – contro Covid-19 è una di quelle che meglio descrivono quanto la scienza, e con essa la tecnologia, rappresentino una risposta concreta alle crisi che ci troveremo ad affrontare da qui ai prossimi anni.

Restano, naturalmente, alcuni nodi da affrontare. Primo fra tutti, quello della distribuzione, una sfida che coinvolgerà i governi di tutto il mondo da qui a tutto il 2021. Una distribuzione equa in tutto il mondo. Sfida cui si aggiunge un altro tema centrale da affrontare: in che modo i cittadini hanno percepito, stanno percependo e percepiranno il vaccino contro Covid-19? Detto in altri termini, come facciamo a raccontare questa storia, delineandone gli esiti, e a rendere le persone disponibili a vaccinarsi?

Ad aprile, questa domanda avrebbe avuto poco senso. In piena emergenza, con le bare che uscivano da Bergamo su mezzi militari, in pochi avrebbero detto no a quella che in fin dei conti è l’unica vera soluzione alla pandemia. Tuttavia è passato del tempo, tante parole sono state dette e la percezione sembra essere mutata.

Secondo un sondaggio di Nature condotto in 19 Paesi a giugno del 2020, il 70% degli intervistati sarebbe disponibile a fare il vaccino, con percentuali variabili dal 90% della Cina al 55% della Russia. Questi numeri raccontano la storia solo in parte. Per uno sforzo collettivo così enorme non è solo importante l’effettiva disponibilità di una percentuale variabile di popolazione a fare il vaccino, ma è essenziale che più persone possibile, all’interno di una comunità, ne comprendano l’importanza, siano convinti del valore solidale di questo gesto.

La strada è raccontare, parlare, spiegare. E farlo dove le persone stanno per la maggior parte del tempo, soprattutto nel decennio che si è appena aperto: nello spazio digitale. È necessario che media e istituzioni comprendano che, come nel caso della pandemia, la comunicazione del vaccino anti-Covid non è accessoria, ma è anzi parte integrante di uno sforzo che ha come obiettivo l’immunità di gregge. Che, ancora, come vedremo, le comunicazioni (al plurale) attorno al vaccino hanno lo stesso rilievo dello sforzo organizzativo, logistico che investe le istituzioni e i singoli.

Comunicare i vaccini resta, tuttavia, sfida ardua, che va a impattare sulla sfera emotiva delle persone, sulle loro paure. Per questo abbiamo pensato a 10 proposte rivolte a istituzioni, professionisti della salute, scienziati e media per una comunicazione efficace del vaccino Covid-19. L’intenzione è stimolare un dibattito che avrà un ruolo centrale per il futuro prossimo del nostro Paese. Un dibattito che ha bisogno del contributo attivo e dell’impegno di tutti, nessuno escluso.

1. Ascoltare la rete

Con l’emergenza Coronavirus, ancora di più la nostra esistenza si è spostata in rete. In rete lavoriamo, ci relazioniamo con gli altri, ci informiamo, litighiamo, guardiamo film e serie tv. Insomma, conduciamo una parte sempre più rilevante delle nostre esistenze. La rete, rispetto allo spazio fisico, ha però una caratteristica utile a chi vuole ascoltare: le azioni e le interazioni sono tendenzialmente misurabili. Per questo motivo, alla base della buona comunicazione digitale del vaccino anti-Covid c’è l’ascolto. E questo vuol dire studiare le ricerche su Google, monitorare le conversazioni sui social network, entrare nei gruppi di chi è scettico per capirne le ragioni.

Qualunque buona comunicazione parte da una fase di ascolto organizzato, allora l’invito è ad ascoltare per studiare messaggi efficaci. Ed è un invito che si può rivolgere anche alle piattaforme, specialmente ai social network: perché non rendere pubblici i dati delle conversazioni e delle ricerche - sì, nei social network si fanno anche ricerche - sulle parole chiave relative al Covid-19?

2. Parlare, spiegare, raccontare, scrivere

Il primo passo, sembrerà banale dirlo, è produrre più contenuti possibili. Raccontare cos’è il vaccino, com’è fatto, come funzionano le vaccinazioni e farlo in tutti i modi che la multimedialità intrinseca del web consente. Invadere lo spazio digitale di notizie verificate, di spiegazioni, di una voce – il più possibile univoca – che spieghi che cos’è il vaccino in ogni suo aspetto e perché è importante farlo. In un ecosistema in cui molti, singoli e organizzazioni, produrranno contenuti avversi al vaccini, occorre che altrettanti, singoli e organizzazioni, producano tanti contenuti verificati. Il numero non è mai un elemento trascurabile, in uno spazio in cui anche la quantità di interazioni definisce la rilevanza di un contenuto.

3. Accorciare le distanze

L’emergenza Coronavirus ha allungato in maniera sostanziale le distanze tra le comunità, micro e macro. Restare a casa, isolarsi, affidarsi allo spazio digitale per qualsiasi operazione quotidiana ha messo a dura prova il tessuto sociale: le persone, in altre parole, si sono tendenzialmente allontanate.

Accorciare le distanze vuol dire provare a riannodare questi fili, parlando un linguaggio comprensibile a tutti, accettando dubbi, rimostranze, problemi, senza urlare, senza inutili dimostrazioni di forza. Vaccinare il numero più alto di persone possibile rappresenta una sfida che non vuole vincitori, non vuole protagonisti, non vuole star. Comunicare – e ancora di più comunicare la scienza – vuol dire fare un passo verso le persone, verso tutte le persone.

4. Rispondere alle paure

Le fake news esistono e continueranno a esistere. Ai fini di una comunicazione efficace, però, meglio non interpretarle come tali. Dietro le notizie false e tendenziose ci sono spesso paure personali e collettive, per la propria salute e per il futuro. Alle paure si risponde - sempre - con il dialogo e un incoraggiamento mai aggressivo. Per questo motivo è centrale proseguire l’ascolto della rete con costanza, per elaborare messaggi e contenuti che rispondano alle paure e ai dubbi della popolazione. Non serve necessariamente il debunking: è fondamentale però presidiare quegli universi di senso.

5. Riconoscere che la prima mediazione la fanno gli algoritmi

Lo spazio digitale ha delle caratteristiche fondamentali, che vanno comprese e prese in considerazione prima di affrontare uno sforzo collettivo così importante. In questo luogo, la gestione dei contenuti – e di conseguenza dell’attenzione delle persone – è affidata agli algoritmi, che ordinano i contenuti sulla base delle supposte preferenze dell’utente. Accettare questo assunto è un primo passo e significa scrivere e produrre contenuti contemporaneamente per gli algoritmi e per le persone, per eliminare ogni possibile barriera all’accesso. Se non si raggiunge una sorta di compliance algoritmica dei contenuti pro-vaccino, sarà impossibile raggiungere le persone.

6. Riempire i vuoti

Nella ricerca scientifica che si occupa di fake news, è emerso negli ultimi due anni un concetto particolarmente interessante, che è quello di data void. Si tratta, in breve, di buchi di informazioni nello spazio digitale, di spazi di senso ancora non presidiati, all’interno dei quali riescono a inserirsi con particolare successo i produttori di fake news. In altre parole, se una determinata ricerca/parola chiave non è coperta da un contenuto che abbia autorevolezza scientifica - magari perché non la si riteneva importante - sarà più facile per un soggetto produttore di notizie false appropriarsene, farla propria, imporre un discorso.

Ancora, una comunicazione efficace passa per un ascolto continuo che abbia, tra le altre cose, anche l’obiettivo di riempire i vuoti. Emerge una nuova preoccupazione sul vaccino? È sempre fondamentale occupare quello spazio.

7. Ragionare sulle micro-comunità

Immaginare di avere un pubblico – in particolare su Internet – è quantomeno illusorio. Nel web, ma ormai nelle nostre società, appare più sensato parlare di pubblici, di insiemi e di nicchie con interessi, caratteristiche e bisogni diversi. Per questo, anche nella comunicazione del vaccino anti-Covid è importante pensare a piccole comunità di persone, ognuna con le loro caratteristiche peculiari. Come raggiungere queste comunità con un messaggio sostanzialmente unico?

Influencer non è solo Chiara Ferragni. Influencer è qualunque persona che parla in maniera autorevole con una propria comunità, secondo un proprio tono di voce. Influencer può essere un medico di base, il sindaco di un piccolo comune, uno scrittore di nicchia di romanzi fantasy. Comunicare il vaccino anti-Covid vuol dire portare a bordo il numero più alto possibile di megafoni, di moltiplicatori di messaggi, di rassicuratori di micro-comunità. Saranno loro a gestire poi la comunicazione alle loro comunità di riferimento, adattando il messaggio alle caratteristiche dei gruppi.

8. Creare una cassetta degli attrezzi per chi vuole essere testimonial

Le istituzioni e i media non devono solo preoccuparsi di diffondere il messaggio. Devono riuscire anche a mettere in condizione chi lo volesse di diventare testimonial di questo messaggio. Parlavamo prima di influencer: come si fa a mettere queste persone in condizione di relazionarsi con le loro comunità di riferimento? Basta creare una cassetta degli attrezzi digitale: uno spazio in cui è possibile scaricare materiali per i social network, video, informazioni, che possono essere utili a chiunque volesse contribuire a questo sforzo collettivo di comunicazione.

9. La comunicazione deve portare a una conversione

Sempre più, le persone si aspettano di concludere ogni parte di ciò che devono fare online, nello spazio digitale. Tradotto, se io cerco un idraulico, su Internet devo poter confrontare i prezzi, leggere le recensioni e, in ultimo, anche prenotare l’intervento. Ecco, l’approccio deve essere questo: la comunicazione deve anche ‘convertire’, per usare una parola dell’e-commerce. Per questo motivo, è fondamentale immaginare dei funnel di conversione che portino l’utente a completare un processo, a fare qualcosa.

Esistono vari gradi di conversione. Si può lasciare una e-mail o un recapito per essere ricontattati o si può, ancora meglio, condividere quel contenuto con il proprio network, farsi megafono, rappresentare o mostrare la propria scelta. In ultimo, si può immaginare la possibilità di prenotare il proprio vaccino online, garantendo così la gestione dell’intero percorso all’interno dello spazio digitale. In sostanza, è importante che l’utente non incontri difficoltà: il percorso deve essere facile, lineare, non offrire spazi di scetticismo.

10. Tanti pubblici, molti formati, un solo messaggio

Questa serie di azioni di comunicazione può apparire granulare, forse addirittura dispersiva. Ma lo scopo di una campagna di comunicazione determinante per il futuro del Paese deve essere quello di raggiungere – e in modo efficace – il maggior numero di persone possibile. E questo, oggi, lo si può fare solo adattando il proprio messaggio ai diversi pubblici come abbiamo detto, alle diverse comunità ma anche ai differenti livelli di attenzione, di alfabetizzazione, di scolarizzazione, di fiducia nei confronti di istituzioni e scienza, di coinvolgimento, e certo pure ai diversi livelli di rabbia. Il messaggio va declinato in varie modalità, in tante, in differenti formati: tutti quelli che lo incontrano devono riuscire a comprenderlo, devono essere in grado di farlo proprio.

In conclusione, la comunicazione dei vaccini dovrà poggiare tanto sui valori quanto sull’efficacia del prodotto vaccino. Limitarsi a uno o all’altro aspetto risulterà miope. Non sarà sufficiente parlare di futuro, senza spiegare da cosa derivano le reazioni allergiche; non basterà dire che gli esiti avversi sono minimi, se non si calcherà la mano sulla componente solidale della vaccinazione. Un giovane pediatra del sud, in questi anni, ha raccolto intorno a sé, nei social network, una vasta comunità di persone del suo territorio e non solo, parlando spesso del valore dell’immunità solidale. L’idea è che un approccio simile possa essere declinato in molteplici formati e contenuti per tante altre comunità, sparse in tutto il paese.

 


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