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Ma quanti sono gli ammalati di Covid-19 in Italia?

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Conoscere il numero reale di contagiati darebbe solidità ai modelli previsionali dell'epidemia, ma ancora è un dato avvolto dall'incertezza. Per conoscerlo non sarebbe sufficiente nemmeno eseguire il tampone su tutta la popolazione, servirebbe invece una analisi degli anticorpi su grande scala: una via al momento non praticabile. E' possibile però tentare di ridurre l'incertezza sulle stime dei contagiati attraverso un confronto puntuale tra i dati italiani e quelli forniti dalla Cina.

  • Mostriamo che la fase iniziale dell’epidemia in Cina ha avuto molto in comune con quella italiana, e che l’Italia ha avuto un ritardo di circa 40 giorni rispetto alla Cina
  • Analizziamo il tempo che in media occorre ad una persona contagiata per sviluppare i primi sintomi e la data in cui i pazienti sono diventati sintomatici, e usiamo questa informazione per rendere il confronto fra il caso cinese e quello italiano più stringente. Difficoltà nella somministrazione dei tamponi in Italia hanno certamente portato a statistiche difficili da interpretare
  • Facendo ragionevoli congetture emerge che il numero dei casi sintomatici in Italia potrebbe essere almeno quattro volte più grande di quello dichiarato (e forse anche di più) anche se siamo lontani da avere stime definitive
  • La nostra analisi matematica suggerisce l’importanza di testare molto dei campioni statisticamente significativi di cittadini (misurandone anche gli anticorpi) e di rintracciare il maggior numero possibile di persone con cui i nuovi pazienti positivi sono state in contatto: misure di geo-localizzazione potrebbero essere cruciali
  • Controlliamo infine che, a parte piccole discrepanze spiegabili in vari modi, i dati epidemiologici che la Cina ha fornito sembrano essere affidabili

Ma quanti sono gli ammalati di COVID-19 in Italia? La risposta è difficile da darsi, ma è possibile usare i dati che abbiamo a disposizione per fare delle considerazioni che a loro volta possono suggerire una riduzione della fascia di incertezza. Infatti, parafrasando Eraclito, l’oscuro, i dati non dicono né negano, ma indicano. Una risposta certa verrà con le prove sierologiche a campione. Al momento attuale siamo in una fase di processo indiziario in cui possiamo solo esporre plausibili argomentazioni e sollevare ragionevoli dubbi.

Qualche indicazione potrebbe venire da un confronto fra Italia e Cina. Bisogna tenere conto del fatto che si tratta di due realtà diverse e che l’epidemia italiana, anche in Lombardia, ha una struttura a pelle di leopardo, con delle zone piccole dove è estremamente virulenta: è probabile che questo non sia avvenuto in Cina.

Confrontiamo il numero dei decessi tra Italia e Cina

Come confrontare il numero assoluto di decessi tra l'Italia e la Cina? L’età media in Italia è molto più alta di quella in Cina: i cinesi sono più giovani degli italiani. Una semplice analisi mostra che se in Italia ci fosse la stessa distribuzione di età che in Cina, la mortalità nel nostro paese sarebbe il 40% dell'attuale. Prendiamo questa come una stima affidabile per paragonare i due casi, e moltiplichiamo quindi, al fine di rendere le situazioni nei due paesi comparabili, il numero dei decessi in Cina per un fattore 2,5 (che è l’inverso di 40% e cioè di 0,4).

Presentiamo un grafico per confrontare il numero dei decessi in Italia con quelli in Cina. Abbiamo riportato il numero totale di decessi in Italia, insieme a quello dei decessi in Cina, moltiplicato per un fattore 2,5, avvenuti un una data 39 giorni precedente alla data indicata. Abbiamo scelto 39 giorni per far coincidere le curve nella fase iniziale. La prima considerazione è del tutto immediata. In una prima fase si vede una crescita molto simile nei due paesi: tuttavia la crescita in Cina sembra fermarsi a un livello molto più basso di quello italiano. Il ritardo dell’Italia sulla Cina è di 39 giorni.

Confrontiamo il numero dei casi sintomatici tra Italia e Cina

Guardiamo adesso la data in cui hanno registrato i primi sintomi i pazienti che sono stati trovati infetti: si tratta di un’altra informazione estremamente interessante, che l’Istituto Superiore di Sanità giustamente diffonde (così come fanno molte analoghe agenzie estere). Infatti, per comprendere lo sviluppo dell’epidemia bisogna sapere se le persone che sono risultate positive hanno per esempio avuto i primi sintomi dieci giorni fa o se invece sono persone che si sono appena ammalate. A nostra conoscenza il confronto tra questi due insieme di dati non era stato fatto prima.

Come è stato costruito questo grafico? Si considerano le persone a cui è stato fatto un test (un tampone) e sono risultate positive al virus alla data del 18 marzo. A ciascuna persona si chiede: “Quando hai avuto i primi sintomi?”. In questo modo si ricostruisce la data in cui le persone sono diventate sintomatiche, che è precedente o coincide con la data in cui è stato somministrato il test di positività. Ci sono limitazioni intrinseche a questo metodo: i test non sono fatti a tutte le persone che sono diventate sintomatiche, e in un grafico fatto il 18 marzo non si possono inserire le persone a cui verrà somministrato il test nei giorni successivi.

Un grafico di questo genere dà molte informazioni utili, specialmente se sappiamo tenere bene in conto le sue limitazioni. Considerando il ritardo che interviene quando si registrano possiamo assumere (in accordo con quanto scritto su Epicentro) che siano affidabili i dati ottenuti fino a 6 marzo. Infatti i dati vengono inseriti nelle statistiche con un ritardo medio di quattro giorni (che può crescere in alcuni casi fino ad una settimana o anche piú).

Confrontiamo quindi, per questi nuovi dati, quel che è accaduto in Cina con quel che è successo in Italia. Il confronto funziona molto bene nella prima fase di crescita epidemica dove i dati seguono una legge esponenziale. Il ritardo dell’Italia sulla Cina viene stimato in 41 giorni circa, ed è quindi molto vicino a quello di 39 giorni che avevamo trovato nella nostra prima analisi: più o meno ci siamo. La crescita esponenziale che si osserva è tutta nel periodo precedente alle misure di lockdown.

Differenze tra i due grafici

Salta agli occhi che una volta determinato il ritardo in maniera che i due gruppi di dati si sovrappongano nella fase esponenziale, l’Italia va forse un po’ sopra alla Cina per quel che riguarda il numero di decessi (compreso il fattore di normalizzazione 2.5), ma presenta invece un numero molto più basso di pazienti sintomatici. Il distacco tra le due curve avviene circa verso il 28 febbraio: bruscamente da questa data in poi il numero di persone che accusa i primi sintomi rimane quasi costante per tutti i giorni successivi. Ovviamente parliamo del campione di malati che sono stati successivamente riconosciuti positivi.

Un osservatore superficiale potrebbe dedurne che il 28 febbraio la crescita di nuovi casi sintomatici in Italia sia sostanzialmente rallentata. Sfortunatamente questa potrebbe non essere l’unica spiegazione. Il tempo medio che intercorre tra contagio e primi sintomi è di cinque giorni. Per far rallentare la crescita del numero di sintomatici il 28 febbraio, il numero di contagiati dovrebbe aver rallentato la sua crescita il 23 febbraio, e cioè subito dopo l’istituzione delle zone rosse. Avrebbe inoltre dovuto continuare con una crescita più lenta nei giorni successivi. Sebbene parte dell’effetto è probabilmente dovuto alle misure restrittive nelle zone rosse e tenendo conto che “la paura fa novanta” (e il solo lavarsi le mani ha un effetto molto positivo), temiamo però che spiegare la riduzione dei sintomatici al 28 febbraio solo in questi termini sia troppo bello per essere vero.

L’arresto drastico di questa crescita non è forse il segno che l’epidemia abbia rallentato così fortemente, ma più probabilmente dipende dal fatto che mancano i dati sulle persone che sono diventate sintomatiche a partire dal 28 febbraio, o che diventeranno sintomatiche nei giorni successivi di marzo. Infatti a causa di difficoltà tecniche il numero di tamponi somministrati per ogni caso clinico riscontrato è diminuito in Lombardia dal valore di dieci alle fine di febbraio a sei ai primi di marzo agli attuali tre. Dato che invece le persone vengono scoperte come sintomatiche con un ritardo di qualche giorno, e il numero di persone con sintomi leggeri non testate è enormemente aumentato, è ragionevole pensare che in Italia in quella data non ci sia stato un rallentamento così drastico dell’inizio di nuovi casi sintomatici.

I casi in Italia sono almeno quattro volte di più di quelli stimati?

È una domanda da un milione di dollari: proviamo a dare una risposta molto tentativa.

Se supponessimo, ma solo per fare una stima a spanne, che l’andamento dei casi sintomatici italiani si evolva in modo simile a quello cinese, il numero di malati sintomatici in Italia potrebbe in effetti essere quattro volte più alto di quello stimato. Si tratta in fondo di una buona notizia, che implicherebbe che in Italia la letalità dovrebbe essere quasi quattro volte più bassa di quella stimata. La letalità scenderebbe quindi dal 7.5% a circa il 2%: questo è un dato molto ragionevole se teniamo conto che, riportando il dato alla distribuzione di età cinese, questo 2% scenderebbe addirittura allo 0.8%.

Inoltre, se è vero che in questo momento stiamo registrando solo un malato sintomatico su quattro, ciò vuol dire che esiste un alto margine per migliorare le nostre azioni di contrasto all'epidemia. Questo sia per identificare le persone ammalate, che per curarle meglio, che, soprattutto, per mettere in quarantena i loro contatti che possono essere stati già infettati.

In Cina è stato fatto un lavoro meticoloso. Sempre citando il rapporto dell’OMS notiamo che la Cina ha effettuato un'identificazione accurata dei casi dovuti al virus SARS-CoV-2. A Wuhan hanno rintracciato decine di migliaia di contatti al giorno, identificando i contatti stretti di pazienti risultati infetti. Tra l'1% e il 5% dei contatti stretti sono risultati infetti da COVID-19. Il lavoro è stato svolto da più di 1800 squadre di operatori, con un minimo di cinque persone per squadra. Nel Sichuan sono stati identificati 25347 contatti stretti di pazienti positivi al virus, di cui ne sono stati rintracciati 23178 (91%): poco meno dell’un per cento di questi è stato trovato infetto. In questa provincia cinese i casi sono stati cinquecento: sono cioè stati rintracciati circa cinquanta contatti per ogni caso clinico sottoposto a test. Questi test ai contatti hanno permesso di rintracciare almeno una persona infetta ogni due casi confermati, o forse anche di più. Non è stupefacente che in assenza di una tale ricerca sistematica i numeri stimati per i casi italiani siano molto più bassi dei numeri reali.

Cosa suggeriscono queste considerazioni per Italia? Con le tecnologie usate attualmente in Lombardia aumentare di circa 15 volte il numero di test non è certamente possibile. In attesa di nuove tecnologie sarebbe importante rintracciare una cinquantina di contatti stretti per caso clinico, e intervistarli telefonicamente per monitorare il loro stato di salute. Anche se questo compito non può essere svolto, ovviamente, dal personale sanitario, sembra semplice organizzarsi per affidarlo a personale non specializzato. Avere informazioni sanitarie dettagliate su un gran numero di persone può essere utilissimo, specialmente nella fase di decrescita del numero di contagiati, alla quale contiamo a questo punto di arrivare presto.

Una mano sulla coscienza: quanto sono affidabili i dati cinesi?

È lecito domandarsi quanti sono stati i casi in Cina. Il rapporto dell’OMS suggerisce che il numero di casi che si sono avuti fuori dall’Hubei sia stato molto ben stimato: nel Guandong sono stati fatti 320.000 test a campione sulla popolazione e la conclusione è che non c’è un iceberg nascosto sotto la superficie. Nell’Hubei la situazione è diversa: ci sono stime che dicono che il numero di casi veri potrebbe essere due volte più grande di quello misurato. È facile rendersi conto del problema; i cinesi hanno utilizzato una definizione precisa di casi severi: “dyspnea, respiratory frequency ≥ 30/minute, blood oxygen saturation ≤ 93%, PaO2/FiO2 ratio < 300, and/or lung infiltrates > 50% of the lung field within 24-48 hours”. I casi severi fuori dall’Hubei sono il 10% del totale, mentre nell’Hubei i casi severi sono il 20% del totale.

Una stima ad occhio, confermata da una stima professionale, ci fa pensare che la maggiore percentuale di casi severi nell’Hubei rispetto al resto della Cina corrisponda a una mancata rendicontazione del 50% dei casi, cosa che non deve stupire visto la situazione di enorme confusione che regnava in quei momenti nell’Hubei. La curva che raffigura il numero dei casi dichiarati in Cina come funzione del tempo ha delle stranezze evidenti.

Quando i dati sono strani, è sempre meglio cercare di capire i veri motivi di quella che sembra un’anomalia, per evitare cattive sorprese successive. La riproduciamo qui utilizzando per l’asse orizzontale la data vera, e non quella traslata in modo da sovrapporsi alla curva ottenuta dai casi italiani.

Grosso modo il comportamento descritto è estremamente ragionevole. La curva cresce all’inizio esponenzialmente con la pendenza giusta, e dopo il massimo riscende esponenzialmente con una pendenza di segno opposto un po’ più bassa. La decrescita è molto forte e decisa dopo il 30 gennaio, dieci giorni dopo il lockdown dell’Hubei. Ci sono due dettagli strani:

  • L’aumento del numero di casi che diventano sintomatici il primo febbraio. In questo caso sono diventate sintomatiche circa il 30% di persone in più rispetto sia al giorno precedente che al giorno successivo: questo fatto è, naturalmente, molto sospetto. Questo problema nei dati potrebbe forse essere dovuto a risposte imprecise, del tipo “all’inizio del mese”, che sono state tutte registrate il 1 febbraio. In ogni caso questo problema riguarda solo un numero piccolo di casi
  • L’uscita dall’andamento esponenziale crescente avviene il 23 gennaio, data del lockdown dell’Hubei. Da quella data in poi il numero di nuovi casi sintomatici rimane costante. Dato che il tempo medio di incubazione risulta essere di cinque giorni abbondanti, il lockdown dovrebbe avere effetto cinque giorni dopo i sintomi, e quindi l’abbandono della crescita esponenziale non può essere causata dal lockdown

Possiamo tentare due spiegazioni che ci aiutino a comprendere il fenomeno.

  1. La sottostima dei casi clinici potrebbe essere cominciata verso la fine di gennaio nell’Hubei, e questo potrebbe avere causato un apparente rallentamento (spurio) della crescita una settimana prima, esattamente come ipotizzavamo per l’Italia nell’ultima decade di febbraio. Se la sottostima fosse di un fattore due (un caso registrato per ogni due casi realmente avvenuti) questo introdurrebbe una lieve distorsione della curva nell’ultima decade di gennaio in Cina
  2. Il 18 gennaio nella città di Wuhan si è tenuto un banchetto di quarantamila famiglie che hanno mangiato insieme dividendosi il cibo. Questo potrebbe aver causato un aumento anomalo dei sintomatici nei primi giorni successivi che si riflette infine in un’apparente riduzione nei giorni ancora dopo

Probabilmente ci sono anche altre spiegazioni, ma in ogni caso, qualunque sia l’origine di queste marginali discrepanze, che si tratti di un piccolo artefatto della rendicontazione o di un evento sociale estremamente atipico, esse non appaiono tali da mettere in discussione la sanità sostanziale dei dati cinesi. Tuttavia la probabile sottovalutazione in Cina del numero di casi clinici potrebbe suggerire un'ulteriore sottovalutazione in Italia. Sapremo esattamente quello che è successo quando saremo in grado di fare ricerche degli anticorpi a campione su grande scala.

 


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