Come si potrebbe usare la scienza per disinnescare le percezioni intuitive, che nel caso del razzismo producono ben più danni di una percezione geocentrica? Uno studio pubblicato di recente su Science Education mostra come se si insegna bene la variabilità biologica e la sua origine/funzione evolutiva agli studenti, e se li si guida a capire davvero le modalità attraverso cui geni e contesto ambientale concorrono a costruire il fenotipo, questi smettono spontaneamente di credere alle razze e controllano i bias razzisti. L'ipotesi è, quindi, che l’insegnamento della biologia e della genetica possa disinnescare il bias cognitivo essenzialista
Chi ha studiato l’abc della genetica sa che le razze non esistono nella specie umana. Chi ha studiato l’abc delle neuroscienze cognitive sa che il razzismo però esiste, come predisposizione grosso modo innata a discriminare chi non fa parte del gruppo di riferimento. Per riprende un esempio usato anche da Guido Barbuiani, noi sappiamo studiando l’astronomia che la Terra gira intorno al Sole, ma quando guardiamo verso il cielo, vediamo il contrario. E non ci serve quello che sappiamo per cambiare la nostra percezione. Come si potrebbe usare la scienza per disinnescare le percezioni intuitive, che nel caso del razzismo producono ben più danni di una percezione geocentrica?
La National Science Foundation, negli Stati Uniti, ha destinato 1.300.000 dollari a un progetto di ricerca che studierà se si può effettivamente cambiare la percezione e le credenze sbagliate sul tema della razza, tra gli studenti delle scuole superiori, in modo da farne dei cittadini più informati e migliori. Gli Stati Uniti hanno seri problemi con la diffusione e gli abusi politici, persino da parte del Presidente, dei pregiudizi razziali. Anche in Italia non siamo messi bene, dato che siamo uno dei Paesi con la più alta percentuale di cittadini razzisti: sul tema ci sono diffusi pregiudizi e sentimenti di paura, ovvero diversi media, social e no, che gettano benzina sul fuoco.
Negli ultimi anni in USA la situazione si è fatta molto ingarbugliata per l’intersecarsi di diversi fattori. Provando a tagliare la complessità del quadro con l’accetta, c’è un deciso tentativo dei cosiddetti suprematisti bianchi di usare o riusare dati e ricerche genetiche per difendere tesi razziste1. D’altro canto, come scrivono diversi osservatori, mentre ci sono folle di scienziati o medici disposti correggere le disinformazioni sul cambiamento climatico, l’antivaccinismo, gli ogm, le superstizioni, eccetera, sono rari i genetisti disposti a esporsi per disinnescare sul piano scientifico la controversia sulla razza. Si possono persino trovare interventi di importanti genetisti che si chiamano fuori dalla disputa, o perché troppo polarizzante o pensando che sia troppo complesso riuscire a spiegarla al largo pubblico. Il che appare singolare considerando che i genetisti stanno pubblicando numerosi articoli che dimostrano l'enorme variabilità genetica e la difficoltà di separare la componente ereditaria da quella ambientale nella determinazione dei tratti complessi.
Qualcuno pensa che questo disimpegno di genetisti e biologi evoluzionisti sia la conseguenza del fatto che a seguito della vergogna dell’eugenetica2, e del fatto stabilito scientificamente negli anni Sessanta che le razze non esistono come forma di suddivisione della specie umana, la questione andasse lasciata in mano a umanisti e scienziati sociali, perché spiegassero al mondo che la razza è una costruzione culturale. Così da diversi manuali di biologia delle scuole superiori d’oltreoceano la parola “razza” è sparita e qualcuno pensa che gli insegnanti di scienze non dovrebbero usarla mai a scuola, per non mettere a disagio gli studenti.
Tuttavia, come mostra uno studio pubblicato di recente su Science Education3, l’aver lasciato il tema della razza nelle sole mani delle scienze umane non chiarisce i tanti dubbi e mispercezioni che possono affiorare negli adolescenti di fronte ad alcune semplici osservazioni, come il variare del colore della pelle fra popolazioni, o al fatto che alcune malattie sono più frequenti tra i neri o che l’80% dei bianchi digerisce il lattosio mentre due terzi dei neri no, eccetera. Senza trascurare i pregiudizi razzisti diffusi nell’ambiente familiare e sociale in cui vivono. In mancanza di una buona conoscenza di genetica umana e delle variazioni genetiche interne ed esterne alle popolazioni, tali osservazioni possono condurre a inferenze scorrette di tipo razzista.
Gli insegnanti-ricercatori dello studio hanno fatto un paio di studi pilota su studenti dell’ottavo e nono anno4, ben costruiti sul piano statistico, dai quali si evince che se si insegna bene la variabilità biologica e la sua origine/funzione evolutiva agli studenti, e se li si guida a capire davvero le modalità attraverso cui geni e contesto ambientale concorrono a costruire il fenotipo, questi smettono spontaneamente di credere alle razze e controllano i bias razzisti. La loro ipotesi è che l’insegnamento della biologia e della genetica possa disinnescare il bias cognitivo essenzialista, con cui ogni individuo si approccia intuitivamente alla categorizzazione della variabilità naturale. Sarà vero? I revisori del progetto finanziato dalla National Science Foundation sono rimasti apparentemente colpiti dalla qualità e dagli obiettivi dello studio.
Il metodo che pensano di usare per cambiare il modo di ragionare dei ragazzi è una forma di dialettica partecipata: figure fittizie difendono due tesi contrapposte, e cioè che le conoscenze biologiche sono irrilevanti per capire il problema del razzismo perché le razze non esistono ma sono solo costruzioni culturali, e che le razze esistono e ci dicono qualcosa su chi è naturalmente superiore o inferiore. I fattori cognitivi e culturali nelle elaborazione dei bias razzisti sono importanti, ma funzionerebbero attraverso il bias essenzalista. Le specie e le popolazioni non sono definite da tipologie uniformi o arbitrarie, ma caratterizzate da una diversità genetica che ha una storia evolutiva senza alcuna valenza politico-morale. Nel confutarne gli argomenti, lo studente capirà la variabilità/diversità umana e che i geni servono a fare proteine e non determinano direttamente, isolatamente o da soli un’abilità matematica piuttosto che la resistenza a correre una maratona.
Note
1. socially desirable reporting and the expression of biological concepts of race. Morning A et al. Published online by Cambridge University Press: 14 October 2019.
2. Cioè del sostegno di larga parte genetisti negli Stati Uniti nella prima metà del secolo scorso alle politiche razziste.
3. Toward a more humane genetics education: Learning about the social and quantitative complexities of human genetic variation research could reduce racial bias in adolescent and adult populations. Donovan BM et al. Science education 18 March 2019.
4. L’ottavo e nono anno nelle scuole statunitensi equivalgono alla fine delle scuole medie e l’inizio delle scuole superiori.