L'Europa è il luogo dove ha preso avvio la Rivoluzione Industriale: una transizione epocale che ha catapultato l'intero pianeta verso una nuova epoca. In un battito di ciglia geologico l'umanità si è imposta come una forza globale capace di lasciare segni profondi e duraturi in tutti gli ecosistemi. Oggi la crisi climatica pone l'umanità di fronte alla necessità di una nuova transizione, ambientale, economica e sociale. Se in Europa questa transizione potrà davvero partire ed essere completata, potrà essere solo l'Europa stessa a deciderlo con le politiche che sceglierà di perseguire. Ma per ora, nonostante le ambizioni, la politica europea è troppo timida. Nell'immagine: cava di lignite a cielo aperto, Germania.
«Sebbene le politiche europee sull’ambiente e il clima abbiano contribuito a migliorare la situazione ambientale negli ultimi decenni, i progressi compiuti dall’Europa non sono sufficienti e le prospettive per l’ambiente nei prossimi dieci anni sono tutt’altro che rosee». Questa affermazione, poco rassicurante, si legge sul sito dell'Agenzia Europea dell'Ambiente in un commento al rapporto L’ambiente in Europa: stato e prospettive nel 2020 pubblicato il 4 dicembre. Pubblicato ogni cinque anni dal 1995, questa sesta edizione appare in un momento storico in cui la questione ambientale, grazie anche al movimento globale contro i cambiamenti climatici, sembra essersi guadagnata una posizione tra i temi di maggiore interesse pubblico. Termini come sostenibilità ed espressioni come green new deal abbondano nei discorsi istituzionali, nelle dichiarazioni programmatiche di molti partiti e nel dibattito mediatico. Ma quando l'ambiente, da principio un po' astratto, si tramuta in dato ed evidenza, la differenza tra realtà e narrazioni si manifesta con una certa durezza.
Questa differenza è proprio ciò che il rapporto dell'Agenzia Europea per l'Ambiente fotografa. «Questa edizione del 2020 - scrive, nell’introduzione alla relazione di sintesi, Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’Agenzia - individua lacune gravi tra lo stato dell’ambiente e gli attuali obiettivi a breve e lungo termine della politica dell’UE».
Il rapporto dell'Agenzia Europea per l'Ambiente viene pubblicato mentre a Madrid è in corso la conferenza della Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP25). Ed è proprio sulla crisi climatica che quelle lacune, denunciate da Hans Bruyninckx, si fanno più visibili. L'Unione Europea ha ridotto del 23% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, un risultato superiore di tre punti alla percentuale che era stata stabilita per il 2020 nell'ambito del pacchetto clima ed energia approvato nel 2007. Questo risultato può apparire confortante, ma le prospettive a lungo termine lo sono molto meno. Con l'accordo sul clima di Parigi del 2015 la comunità internazionale si è data l'obiettivo di arrestare l'aumento della temperatura globale sotto i 2 gradi centigradi, con uno sforzo aggiuntivo per non superare 1,5 gradi. In linea con l'accordo, l'Unione Europea ha stabilito di raggiungere una condizione di neutralità carbonica (cioè un livello di emissioni nette pari a zero) entro il 2050. Ma le previsioni indicano che con le politiche attuali questo obiettivo è oggi del tutto fuori portata. Di questo passo l'Europa non centrerà nemmeno il target di riduzione delle emissioni del 40% nel 2030 (dovrebbe fermarsi al 30%).
Il 28 novembre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che dichiara l'esistenza di un'emergenza climatica e ambientale. Un provvedimento dal valore poco più che simbolico, simile a quello votato in Italia da molte amministrazioni comunali negli ultimi mesi, con cui il Parlamento incoraggia la Commissione Europea a prendere provvedimenti conseguenti all'accordo di Parigi. Ma le evidenze dicono che, ad oggi, le politiche europee sul clima e l'energia non sono ancora all'altezza della gravità di una crisi climatica che richiede azioni urgenti e coraggiose.
Tendenze delle emissioni di gas serra nell'Unione Europea e proiezioni fino al 2050 (fonte: L’ambiente in Europa: stato e prospettive nel 2020)
Se viene a mancare anche la terra sotto i piedi
Il 2050 non è solo l'anno entro cui in Europa dovremmo smettere di emettere gas serra, ma anche quello in cui dovremmo risolvere un altro grave problema ambientale: il consumo di suolo, cioè la progressiva sottrazione di suolo, soprattutto agricolo ma anche naturale, sotto la spinta della continua espansione delle aree residenziali e commerciali e della costruzione di infrastrutture. È uno dei fenomeni antropici più potenti e pervasivi, capace di sconvolgere l'assetto di interi territori e di trasformare nell'arco di una manciata di anni (e di fatto definitivamente) il loro paesaggio.
Un esempio impressionante in Europa è rappresentato dalla pianura padana: uno dei maggiori territori fertili del continente, ma anche un'area geografica coperta da una coltre di urbanizzazione diffusa e dispersiva che, in alcune aree, appare ormai quasi senza soluzione di continuità. Dal dopoguerra a oggi, in Italia, il suolo andato perduto a causa della trasformazione di suoli agricoli o naturali in superfici coperte da cemento o asfalto è aumentato di circa il 180%. La percentuale di suolo consumato è pari oggi al 7,65% dell’intero territorio nazionale (era il 2,7 negli anni '50). Per avere un'idea delle dimensioni di questa trasformazione, basti pensare che l'aumento corrisponde circa a un'area pari alla somma delle superfici della Liguria e delle Marche.
Dopo aver toccato gli 8 metri quadrati al secondo degli anni 2000, il consumo di suolo in Italia ha iniziato a rallentare negli anni tra il 2008 e il 2013, frenando ulteriormente tra il 2013 e il 2015 e arrivando a circa 2 metri quadrati al secondo nel 2017. Secondo il rapporto dell'Agenzia Europea per l'Ambiente, le superfici artificiali in Europa sono aumentate del 7,1% tra il 2000 e il 2018. Come in Italia, anche nel resto dell'Europa il consumo di suolo ha mostrato segni di rallentamento negli ultimi anni. Ad oggi in Italia la sua velocità si è stabilizzata poco al di sotto dei valori che si registravano nel 2017. Ma da qualche tempo ci sono chiari segnali che questa inversione di tendenza si sta esaurendo. In assenza di politiche e leggi efficaci il consumo di suolo rischia non solo di non fermarsi del tutto, ma perfino di riprendere a correre.
Consumo di suolo netto in Unione Europea tra il 2000 e il 2018 (fonte: L’ambiente in Europa: stato e prospettive nel 2020)
Il consumo di suolo può cancellare in breve tempo un ecosistema che è tra i più complessi del pianeta e forse anche uno dei più sottovalutati e meno conosciuti. Si stima che i suoli ospitino circa ¼ di tutte le specie presenti sulla Terra, una componente biologica enorme sia in termini di biomassa che di numero di specie. Contengono inoltre circa il doppio del carbonio che si trova nell'atmosfera e sono la seconda riserva di questo elemento sul pianeta dopo gli oceani, escluso quello contenuto nella crosta terrestre e nei depositi di sostanze fossili.
È difficile sopravvalutare l’importanza delle funzioni ecosistemiche che i suoli svolgono, per la stessa sopravvivenza umana. Il suolo, supportando la crescita delle piante, è una risorsa primaria per l'agricoltura. Tuttora la produzione alimentare continua a dipendere dalla disponibilità di terreni liberi. Il suolo partecipa ai cicli biogeochimici globali del carbonio, dell'azoto, del fosforo, dello zolfo. È una riserva idrica, grazie alla sua capacità di filtrare e immagazzinare acqua nelle falde sotterranee. Al contrario, un terreno coperto da superfici impermeabili diventa incapace di trattenere l'acqua durante precipitazioni molto intense.
L'espansione delle aree urbane e delle infrastrutture non solo cancella superfici agricole e paesaggi rurali, ma frammenta il territorio in aree libere di dimensioni sempre più piccole e isolate, interrompendo la continuità degli habitat di molte specie animali. È quindi un processo sistemico che coinvolge un intero territorio urbanizzato anche al di fuori delle superfici già impermeabilizzate. Oltre all'avanzata dell'urbanizzazione, l'integrità dei suoli è minacciata da altri processi di degrado, come l'erosione, la perdita di sostanza organica, la desertificazione. La pressioni antropica sui suoli è enorme e dilapida una risorsa preziosa frutto di un processo di formazione che può richiedere secoli.
Come per le emissioni di gas serra, anche il target del consumo di suolo zero entro il 2050 appare oggi difficile da centrare. Le ragioni non sono tecniche, ma politiche, legislative ed economiche. Ad oggi l'Unione Europea non dispone ancora di una legislazione coerente per la tutela del suolo. L'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, nel rapporto sul consumo di suolo in Italia pubblicato quest'anno, osserva che «le politiche, a livello europeo, rimangono ancora oggi piuttosto lacunose e non si intravedono per i prossimi anni grossi spiragli di cambiamento. L’opposizione forte di alcuni Stati Membri ha portato, nel maggio 2014, al ritiro definitivo della proposta di direttiva». Del resto anche l'Italia è in ritardo nella definizione di una legislazione nazionale in materia. Dopo l'approvazione di una legge sul consumo di suolo alla Camera nel 2016, l'iter legislativo in Senato langue e la questione rimane lontana mille miglia dal dibattito pubblico.
Obiettivi ambiziosi, azioni insufficienti
Il rapporto dell'Agenzia Europea per l'Ambiente traccia una quadro che abbraccia l'intero panorama dei temi ambientali. Per ognuno il documento descrive la situazione attuale e i progressi compiuti negli ultimi anni e presenta una valutazione dello stato del raggiungimento degli obiettivi che l'Unione Europea si è data. Anche su quei temi dove negli ultimi 10-15 anni si sono registrati significativi passi avanti, diversi indicatori rimangono negativi e le prospettive da qui ai prossimi dieci anni sono spesso incerte o negative. Alcuni esempi lo testimoniano.
Negli ultimi due decenni la superficie complessiva delle aree protette nel territorio dell'Unione è aumentata. I siti della rete Natura 2000 coprono ora il 18% della superficie emersa dei paesi dell'Unione. Ma, come osserva il rapporto, l'istituzione di aree protette non è da sola una garanzia di tutela della biodiversità. Il 60% delle specie animali e vegetali prese in esame mostra uno status di conservazione non favorevole. «A dispetto dei suoi ambiziosi obiettivi l'Europa sta continuando a perdere biodiversità a un tasso allarmante», si legge nel rapporto.
L'Europa non solo non è in linea con gli obiettivi di conservazione della biodiversità previsti per il 2020, ma è in ritardo anche nelle azioni di tutela dei corpi idrici. Sebbene la riduzione della concentrazione di inquinanti abbia migliorato la loro qualità, solo il 40% delle acque superficiali gode di uno stato ecologico buono. Molti indicatori di inquinamento migliorano, ma fiumi e laghi continuano a risentire delle pressioni antropiche come l'inquinamento diffuso e l'estrazione di acqua per le attività industriali, agricole e domestiche.
Anche la qualità dell'aria evidenzia un chiaro miglioramento. Dal 2000 ad oggi la concentrazione dei principali inquinanti atmosferici ha subito una costante diminuzione. Ma le morti premature che in Europa ogni anno si possono attribuire al particolato PM2,5 sono ancora 400mila. Una mortalità ancora elevata, nonostante sia diminuita del 60% rispetto a quella che si registrava nel 1990. Se le politiche attuali saranno completamente realizzate, entro il 2030 il 54% delle morti premature per inquinamento da PM2,5 potrebbe essere scongiurato.
Il Continente dell'Antropocene
L'Europa è il luogo dove nella seconda metà del '700 ha preso avvio la Rivoluzione Industriale. Non è stata una semplice successioni di eventi, ma una transizione epocale che ha catapultato non solo il Vecchio Continente ma l'intero pianeta verso una nuova epoca. Si discute ancora su quale sia il momento storico in cui collocare l'inizio di quello che oggi chiamiamo Antropocene, ma non c'è dubbio che negli ultimi 200 anni, e dopo la Grande Accelerazione del secondo dopoguerra, le attività umane abbiano raggiunto una scala e un'intensità tali da riuscire a ridisegnare questo pianeta. In un battito di ciglia geologico l'umanità si è imposta come una forza globale capace, con le proprie attività che interagiscono con i processi fisici, chimici e biologici che si svolgono sulla Terra, di lasciare segni profondi e duraturi in tutti gli ecosistemi.
L'Europa dei nostri giorni porta su di sé tutti i segni di questa nuova epoca. Oggi la crisi climatica pone l'umanità di fronte alla necessità di una nuova transizione, ambientale, economica e sociale. Se in Europa questa transizione potrà davvero partire ed essere completata, potrà essere solo l'Europa stessa a deciderlo con le politiche che sceglierà di perseguire. Oggi e nei prossimi decenni.