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Se ci credo è vero

Scultura di Sergio Rodella presentata al convegno "L’Uomo della Sindone. Ricostruzione tridimensionale del corpo avvolto dalla Reliquia", 20 marzo 2018, Archivio Antico di Palazzo del Bo a Padova.

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La disputa sulla datazione della Sindone ha visto contrapposti studiosi e scienziati che si occupano di campi diversi, divisi tra coloro che, sulla base di dati ritenuti il frutto di risultanze scientifico-sperimentali (o come tali presentati), ne sostengono l’autenticità, o perlomeno la plausibilità, collocandone l’origine cronologica a una data prossima a quella della morte di Gesù; e coloro che, sulla base di dati di ugual natura, la negano, affermando si tratti invece di un manufatto databile al medioevo, quando in effetti riferimenti a questo oggetto iniziano a comparire nelle fonti scritte. Questo tema e, più in generale, su quello della verità o falsità delle reliquie dei santi cristiani, di cui la Sindone è uno degli esempi più noti ma anche, più controversi. Il mio, lo dico subito, è il contributo di chi si occupa di tali questioni da un punto di vista certo (per quanto mi riesce) scientifico, ma proprio di scienze diverse da quelle cosiddette dure, ossia le scienze umane; e, in particolare, della storia sociale e religiosa del periodo medievale. Un punto di vista che va ad affiancarsi, in nessun modo a sostituirsi ma al massimo a proporsi come arricchimento, a quello dei dati sperimentali. Un punto di vista che, in verità, non pone al centro del proprio interesse la questione della verità o falsità della Sindone – così come di qualsiasi altra reliquia dei santi.

C’è stato un periodo, anche piuttosto lungo e conclusosi (ammesso si sia concluso) da non molti decenni, in cui anche chi studiava storicamente questi oggetti, i testi, le tradizioni e tutti gli altri fenomeni che li riguardavano e li circondavano si poneva seriamente questa domanda, e faceva del suo meglio per arrivare a conclusioni criticamente circostanziate – nell’uno o nell’altro senso, cioè pro o contro l’autenticità di una reliquia. Questo periodo è durato dei secoli, sin da quando, nel XVII secolo, alcuni studiosi ecclesiastici perlopiù di area belga (i Bollandisti, ossia i seguaci dell’iniziatore di queste ricerche, Jean Bolland) si sono messi a esaminare le fonti sui santi cristiani – perché gli storici lavorano sempre e solo a partire dalle fonti –, soprattutto i testi agiografici, per capire quali fossero attendibili e quali no; quali cioè raccontassero il vero e quanti fossero, in tutto o in parte, frutto di invenzione. I risultati sono stati a loro modo dirompenti, perfino sconcertanti. Si è dimostrato come non solo certi testi fossero puramente inventati e del tutto privi di valore per ricostruire i fatti che narrano, ma addirittura le figure sante di cui parlano non siano con ogni probabilità mai esistite come persone fisiche – c’è chi dubita dell’esistenza di san Benedetto da Norcia, oppure di san Cirillo, il missionario degli Slavi. Interi culti, con tutto il bagaglio di testi, tradizioni e manifestazioni devozionali (ivi comprese, eventualmente, le reliquie) che si portavano dietro, furono screditati, e smisero di essere studiati, poiché il risultato che ci si era posti sembrava definitivamente raggiunto: erano stati dimostrati come falsi e dunque non meritavano più di far parte delle fonti utili per ricostruire gli eventi del passato.

Come dicevo, questo approccio e queste domande facevano parte del metodo seguito dagli studiosi fino a non molto tempo fa, all’incirca fino agli anni ’60 del XX secolo, quando le cose hanno cominciato a cambiare. Le domande che gli studiosi si fecero esaminando i testi agiografici non furono più: “Cosa può dirci questo testo sui fatti e i personaggi che racconta?”, bensì: “Cosa può dirci questo testo sul suo autore, ciò in cui credeva, gli scopi per cui prese in mano la penna, e il contesto storico, politico, sociale, religioso in cui operava – e in cui il suo testo ebbe una diffusione e degli effetti, grandi o piccoli che fossero?” In altre parole, l’attenzione si spostò dai protagonisti dei testi, i santi e le loro reliquie, ai contesti in cui essi furono prodotti e trasmessi. La questione della verità o falsità di un santo(/a) e di una reliquia passò, per ben che andasse, in secondo piano, se non direttamente nell’oblio. Da un certo punto di vista, non ci sono santi veri e santi falsi, reliquie vere e reliquie false; tutti i santi e tutte le reliquie di cui sia storicamente possibile accertare un culto, anche solo per brevi periodi o in modo intermittente, sono considerati veri, poiché tali erano visti da chi quel culto praticava, alimentava, dirigeva, controllava. E in questa veste metteva in moto, oppure, nel caso dei comuni fedeli, portava avanti senza rendersene ben conto, processi sociali, politici, perfino economici attivati attorno a quel culto e al suo oggetto, un santo e/o una reliquia. Perché detenere e controllare santi e reliquie, direi fino alla Rivoluzione francese e in qualche caso anche dopo, era un potentissimo strumento di rivendicazione, definizione e gestione del potere: le folle di pellegrini che si riversavano, e ancora oggi talora si riversano, in un santuario pregavano presso la tomba del santo e al contempo riconoscevano l’autorità di colui, vescovo, abate, re, imperatore, papa, che manteneva (nel senso di effettuare la manutenzione) quotidianamente le infrastrutture necessarie al culto – chiese, alloggi per i pellegrini, strade, ponti, ecc. E ne arricchiva le casse tramite offerte, donazioni, lasciti pii, destinati ufficialmente e simbolicamente al santo(/a) ma effettivamente amministrati dall’autorità che controllava il santuario. Limitarsi a definire falsa una reliquia e/o inesistente il relativo santo(/a) voleva dire, agli occhi degli storici, mettere da parte una messe di informazioni sulle modalità in cui quel culto si era comunque svolto, e sulle sue ricadute per la società che lo aveva praticato.

A queste considerazioni ne possono essere aggiunte altre, ancor più generali. Ciò che oggi noi chiamiamo vero o falso era ben diverso da ciò che in passato si riteneva vero o falso – e lo sarà rispetto a ciò che in futuro si riterrà vero o falso. Ogni epoca ha il suo modo di distinguere tra vero e falso. Nel medioevo, quando il culto delle reliquie ragginse il suo apice, le persone non erano più credulone, ingenue o ignoranti di oggi (non tutte, almeno); tanto è vero che a intervalli pressoché regolari si levarono voci critiche a proposito del culto di questa o quella reliquia, o del culto delle reliquie in generale. Tuttavia l’armamentario ideologico, sociale e politico costruito dai detentori del potere attorno al culto delle reliquie e il ruolo di quest’ultimo come risposta alle necessità materiali e quotidiane delle singole comunità erano tali da renderlo un pilastro della società medievale tutta. I santi, come scrisse un famoso studioso negli anni ’80, erano gli amici invisibili, coloro cui i fedeli si rivolgevano in caso di difficoltà, malattia, crisi, nella speranza di essere confortati, guariti, aiutati – o anche solo di ‘sfogarsi’ con qualcuno che li stesse ad ascoltare. Non era, dunque, una questione di ingenuità o predisposizione a lasciarsi ingannare, ma di strutture sociali laboriosamente e abilmente costruite in modo da soddisfare esigenze e al contempo legittimare posizioni di potere.

Torniamo alla Sindone. In base a quanto detto sinora, emerge come lo storico non si ponga, ora come ora, la domanda se la Sindone sia autentica o un falso medievale, bensì, tenendo sempre conto delle fonti a disposizione, chi abbia avuto nel tempo l’interesse a utilizzarla, cosa vi abbia costruito attorno, quale sia stato il successo o meno di queste operazioni, e quali conseguenze abbiano avuto sul contesto più ampio in cui tutti gli attori coinvolti si trovavano a operare. Darne un quadro, per quanto sintetico, qui sarebbe impresa titanica – e non ho problemi ad ammettere di non essermi mai nemmeno occupato direttamente della Sindone. Il mio intende essere soltanto un contributo a latere al dibattito cui ho accennato in apertura; un contributo volto certo non a stabilire punti fermi, bensì ad aprire ulteriori domande, come del resto la ricerca dovrebbe sempre fare. E al massimo a relativizzare, almeno in parte, l’importanza di una di esse, se, cioè, la Sindone sia vera o falsa.


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