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Ischia, un terremoto da capire

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Ischia, lunedì 21 agosto, ore 20.58. Un boato forte e secco, come un colpo di cannone, accompagna un movimento breve – pochi secondi – ma violento del terreno. Tra Casamicciola, nelle zone più lontane dalla costa, e nella parte alta di Lacco Ameno si registrano gravi lesioni a centinaia edifici e almeno 20 crolli. Muoiono due signore, i feriti sono una quarantina. Gli sfollati a tutt’oggi un numero indeterminato compreso fra 300 e 400.

Il terremoto di Ischia ha occupato per ore e ore gli spazi televisivi, e radiofonici, per pagine e pagine quelli dei giornali e si è conquistata ampia attenzione sui media digitali. Ma si è parlato soprattutto degli effetti e delle possibili responsabilità dell’uomo. Da un lato si è sollevato il tema dell’abusivismo diffuso, dall’altro – soprattutto da parte delle autorità locali – si è precisato che la parte inagibile è davvero piccola e molto localizzata e che l’isola, al 90%, è del tutto intatta e pronta a continuare la sua attività, che è quasi esclusivamente quella turistica.

Ritorneremo su questi aspetti. Prima però conviene sollevare un problema di tipo più squisitamente scientifico, che però ha anche delle ricadute pratiche immediate (per esempio, per la ricostruzione). I dati strumentali raccolti presso la Sala Operativa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) dell’Osservatorio Vesuviano (OV) hanno indicato un sisma di magnitudo 4,0 con epicentro in mare, 4 chilometri a nord-ovest di Casamicciola e ipocentro a 5 chilometri di profondità. Lo European Mediterranean Seismological Centre (EMSC) ha dati analoghi, anche se i suoi strumenti hanno misurato una magnitudo superiore: 4,3.

Nessun dubbio che sia gli scienziati dell’INGV-OV, guidati da Francesca Bianco, sia quelli dell’EMSC, siano persone di estrema competenza. Il meglio che le scienze geofisiche possono mettere in campo. Tuttavia ci sono alcuni aspetti che forse meritano un approfondimento e che potrebbero portare a una riconsiderazione dell’epicentro, dell’ipocentro e forse anche della magnitudo del sisma del 21 agosto. La gran parte degli aspetti critici li ha messi in evidenza Giuseppe Luongo, professore emerito dell’Università Federico II di Napoli e già direttore dell’Osservatorio Vesuviano.

Il primo ha un carattere generale. Ischia è un vulcano. E non è semplice studiare i terremoti che avvengono in aree vulcaniche. Per due motivi. Uno intrinseco: i sismi che avvengono sotto un vulcano hanno comportamenti un po’ diversi rispetto a tutti gli altri. E, come sostiene Luongo, noi ne conosciamo meno bene le dinamiche. Inoltre, come ha dichiarato Gianluca Valensise, geofisico dell’INGV-OV, non è semplice studiarli «perché le stazioni di rilevamento possono essere distanti alcuni chilometri e di conseguenza questo richiede un’analisi più complessa rispetto a quanto avviene nel caso dei terremoti tettonici». A questo punto bisogna aggiungere che Ischia ha relativamente poche stazione di rilevamento (due o quattro secondo le nostre fonti) e i dati principali sono stati raccolti da stazioni che sono sulla terraferma e che, spiega Luongo, potrebbero aver commesso un errore non banale nella localizzazione dell’epicentro e dell’ipocentro.

Poi ci sono i dati empirici. Il terremoto di Ischia è stato molto localizzato e ha determinato danni a mezza collina, nella parte alta di Casamicciola e di Lacco Ameno. Molti meno danni sulla costa. Se il terremoto avesse avuto il suo epicentro a mare, sostiene Luongo, i danni sulla costa dovrebbero essere almeno paragonabili a quelli registrati in collina.

Tuttavia, ci possono essere effetti di amplificazione – spiega Aldo Zollo, geofisico dell’Università Federico II di Napoli – determinati sia dalla natura geologica del suolo sia effetti ben noti che convogliano verso l’alto l’energia del terremoto, che rendono non lineare sia la dipendenza dalla magnitudo che la distanza dall’epicentro. In altre parole, a parità di ogni altro parametro (ivi inclusa l’adeguatezza degli edifici) si possono avere effetti gravi anche a magnitudo relativamente basse. E si possono avere danni più gravi anche in un luogo più distante dall’epicentro di un altro. Tuttavia questi fattori di amplificazione potrebbero non bastare a spiegare l’estrema localizzazione del fenomeno sismico di Ischia, sostiene Luongo. E anche tenendo conto dell’errore connesso a ogni dato sperimentale, c’è qualcosa che non sembra tornare.

Anche la storia sismica di Ischia, continua Luongo – che insieme ad altri l’ha ricostruita in diversi libri, tra cui Il terremoto del 28 luglio 1883 a Casamicciola nell'isola d'Ischia (Il Poligrafico dello Stato, 1998) e Casamicciola (Bibliopolis, 2012) – sembra dirci qualcosa.

Questo del 21 agosto è stato il terremoto di gran lunga più potente che si è registrato a Ischia dal 1883 a oggi. Ma nel secolo precedente si sono verificati quattro terremoti con conseguenze molto serie: nel 1796, nel 1828, nel 1881 e nel 1883, appunto. Tutti hanno avuto come epicentro la zona compresa tra Casamicciola alta e Lacco Ameno alta. Questo terremoto nei suoi effetti e in molte delle sue modalità è del tutto simile a quelli del 1796-1883. Non è dunque improbabile, spiega Luongo, che anche questo del 2017 abbia avuto come epicentro questa zona e un ipocentro molto di superficie, di solo uno o due chilometri. Il che spiegherebbe un po’ tutte le anomalie di cui abbiamo parlato finora.

C’è da aggiungere, ci segnala Aldo Zollo che pure non è in accordo con le deduzioni di Luongo, che di recente l’INGV ha rivalutato la magnitudo (non registrata strumentalmente, ma desunta) del terremoto del 1883 che fece oltre 2.313 morti: dei quali 1.784 a Casamicciola e 146 a Lacco Ameno. Abbassandola da 5,8 a 4,3. Insomma, la potenza del sisma devastante del 1883 potrebbe essere stata di poco superiore a quella dell’altro giorno.

Il problema più importante, sostiene Giuseppe Luongo, non sono i dati strumentali, ma i modelli teorici che li interpretano. È un problema del tutto generale, che deve coinvolgere l’intera comunità scientifica del pianeta. I nostri modelli sono lineari e approssimano bene la realtà dei fenomeni sismici abbastanza lontano dall’epicentro. Ma forse sono inadatti a spiegare bene i fenomeni molto più caotici e complessi che avvengono all’epicentro. Ecco, il terremoto di Ischia potrebbe aiutarci ad aprire un dibattito scientifico su questo argomento.

Ed è questo lo spirito con cui Scienzainrete ne sta parlando. Ne deriva che i nostri spazi sono, come sempre, a disposizione per tutte le donne e gli uomini di scienza che volessero intervenire.

Va da sé che se Giuseppe Luongo ha ragione, allora occorre approfondire il discorso sulla ricostruzione, lì a Casamicciola. Si deve ricostruire nelle zone più pericolose? Se sì, occorrerà che gli standard siano molto, molto alti e i controlli severissimi.

Questo ci riporta all’altro aspetto della questione. Quello che non ha a che fare solo con la scienza, ma anche con i concreti comportamenti di noi tutti, cittadini comuni. Pur con tutte le specificità geologiche e geofisiche del luogo, nessun terremoto avrebbe potuto far crollare o danneggiare gravemente tanti edifici se essi fossero stati costruiti al meglio delle tecnologie esistenti. Lo ha detto, autorevolmente, il capo della Protezione Civile nazionale, Angelo Borrelli: la maggior parte delle case nella zona rossa di Casamicciola sono crollate perché mal costruite. Solo un’analisi puntuale, casa per casa, ci dirà se questa inadeguatezza è dovuta all’età o anche ad abusivismo e a utilizzo, in epoca moderna, di materiali e tecniche del tutto inadatte.

Sappiamo che l’isola è stata oggetto negli anni ’70 e ’80, ma anche più di recente, di diverse e potenti ondate di “abusivismo”. Certo, non c’è una correlazione diretta tra il costruire in maniera non legale e costruire in maniera insicura. Ci saranno certamente case abusive costruite con criteri antisismici d’avanguardia. Ma è molto probabile che molte case, costruite in totale o parziale difformità, siano anche state costruite senza tener conto dei criteri antisismici.

C’è da fare un’ulteriore precisazione. Non è che le case costruite con criteri antisismici non possano subire lesioni, a causa di un forte sisma. Quello che non devono fare è subire un cedimento strutturale e uccidere le persone.

Al netto di tutto questo, occorre che Ischia recuperi i 134 anni perduti nella costruzione di una radicata e diffusa cultura della prevenzione – mancanza di cultura di cui l’abusivismo è figlio degenere – e inizi un’opera urgente e sistematica di analisi del suo patrimonio edilizio e di verifica puntuale delle necessità di adeguamento ai criteri antisismici più adeguati. Non è impresa facile, ma è impresa necessaria.

È persino banale dirlo: questo non è solo un problema di Ischia. È un problema che riguarda l’Italia intera. Come ci ricorda il terremoto che esattamente un anno fa, il 24 agosto 2016, ha distrutto Amatrice e tante altre cittadine e paesini al confine tra il Lazio, l’Umbria e le Marche. E come ci ricorda una lunga storia di tragedie da cui – a differenza di altri paesi – abbiamo imparato troppo poco.


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