Succede che per cercare di ridurre gli eccessi della cosiddetta medicina difensiva si proponga ai medici di attenersi alle buone pratiche e alle linee guida elaborate dalle società scientifiche. E succede che un gruppo di esperti di sanità prendano la penna e scrivano una lettera all’autore di questa proposta considerandola errata e pericolosa. Cosa succede? Dove sta l’errore? E il pericolo?
Tutto parte dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli
errori sanitari, che ha stimato in 10 miliardi di euro annui i costi della
medicina difensiva attiva, vale a dire il costo di quelle prestazioni inutili
(quando non dannose) che i medici prescrivono solamente per sventare o ridurre
il rischio di un contenzioso legale con il paziente e i suoi familiari. E’ una
realtà nota: spesso i medici prescrivono farmaci o esami anche per "tener
buoni" pazienti troppo ansiosi, o addirittura per mettersi al sicuro da
possibili cause.
Da qui l’idea di Federico Gelli, parlamentare responsabile
della sanità PD, che per contrastare questa piaga propone alcuni emendamenti al
disegno di legge sulla responsabilità professionale dei medici in discussione
alla Camera. Alcuni di questi emendamenti dispongono che il medico non sia
perseguibile se si è attenuto alle “buone pratiche e alle linee guida adottate
dalle società scientifiche iscritte nell’apposito Albo presso il Ministero
della salute”.
E’ qui che intervengono con una lettera all’onorevole alcuni medici ed esperti
di sanità pubblica coordinati da Alberto Donzelli (ASL Milano).
E’ un errore -
si legge nella lettera - attribuire per legge alle Società scientifiche il
compito di dettare linee guida cogenti rivolte a chi lavora nel Sistema
sanitario nazionale. Questo riporterebbe indietro il sistema elaborato da
alcuni anni, in Italia come altrove, che prevede linee guida nazionali
multidisciplinari, libere da conflitti d’interesse e aperte al dibattito
pubblico. "Condividiamo l’intento di contrastare la medicina
difensiva, per il suo rilevante impatto economico improduttivo e i rischi per
la salute di procedure non necessarie” si legge nella lettera. "Pensiamo,
però, che queste formulazioni non raggiungerebbero l’obiettivo e creerebbero
una situazione ancora più inflattiva e insostenibile. Infatti, molti medici
oggi prescrivono test diagnostici e interventi sanitari in eccesso non (solo)
per mancata conoscenza e in violazione di linee
guida evidence-based e ottimizzate nelle valutazioni di
costo-efficacia, ma spesso proprio perché influenzati da pletore di 'linee
guida' specialistiche, spesso condizionate da: a) logiche autoreferenziali; b)
modelli di remunerazione degli attori in sanità che creano paradossali
conflitti d’interesse con la salute; c) relazioni finanziarie con i produttori
di farmaci, dispositivi, diagnostica”.
Le società scientifiche, in altre parole, portano una
visione importante ma necessariamente parziale di un problema sanitario. I
legami con l’industria farmaceutica e dei dispositivi medici, inoltre, ove
presente, possono condizionare le raccomandazioni. Sarebbe importante, quindi -
sempre secondo gli autori della lettera - far ripartire un programma nazionale
di linee guida coordinato da un ente pubblico come l’ISS o l'Agenas, in modo da
lavorare a nuove linee guida anche, ma non solo con gli specialisti e le
società scientifiche, recuperando quella metodologia basata sul vaglio delle
prove di efficacia e sull’approccio multidisciplinare che per alcuni anni aveva
caratterizzato il Programma nazionale linee guida avviato dall’Istituto
superiore di sanità.
E' questa la miglior difesa contro i costi e danni della
medicina difensiva? La soluzione a questo stato di cose sta nelle linee guida?
Che ruolo possono giocare le società scientifiche? Il dibattito è aperto.