Signor Presidente della Repubblica
Signor Presidente del Senato
Signora Presidente della Camera dei Deputati
Signor Presidente del Consiglio dei Ministri
Nel corso degli ultimi
cinque decenni, la ricerca nei settori dell’antropologia biologica e della
genetica ha dimostrato sperimentalmente che il concetto tassonomico di razza
non può essere applicato alla nostra specie: Homo sapiens. In tassonomia infatti quel concetto, che definisce la
categoria della classificazione biologica posta al di sotto della specie, esprime
il rapporto di parentela, ovvero di antenato-discendente, esistente tra le
popolazioni.
Nel corso del Settecento, dell’Ottocento e della prima metà del
Novecento invece quel concetto, e le conseguenti classificazioni razziali
dell’umanità, non ha risposto a quel dettato: cioè non è stato in grado di
stabilire i rapporti di parentela tra i gruppi umani. Al contrario, esso ha
permesso di ricostruire i rapporti ecologici esistenti tra le popolazioni.
E
ciò perché si basava, e non era possibile per gli scienziati fare diversamente,
sui caratteri morfologici: principalmente sul colore della pelle. Ma in tal
modo si è posto fuori dal suo significato scientifico.
Veniamo a un esempio. Secondo
l’antropologia classica, e le sue classificazioni razziali, da una parte si
collocava la maggiore parentela tra gli europei e gli asiatici e dall’altra
quella tra gli africani e gli australiani: la divisione cioè era tra popoli di
pelle chiara e di pelle scura. La recente ricerca molecolare invece ha
dimostrato che gli asiatici sono geneticamente più simili agli australiani,
perché quei popoli si sono separati dalla popolazione africana, che è la
popolazione madre di tutta l’umanità attuale, in epoca più antica rispetto a
quando lo hanno fatto gli europei.
Ovvero, gli europei sono geneticamente più
prossimi agli africani perché sono stati un’unica popolazione per un tempo più
lungo.
Il concetto di razza è stato
abbandonato in antropologia biologica e in genetica perché inidoneo a
ricostruire il rapporto antenato-discendente tra le popolazioni umane: che è il
compito precipuo della tassonomia. Le differenze morfologiche che si osservano
tra i popoli, e si osservano perché esistono, sono invece di natura ambientale,
vale a dire ecologica. Gruppi diversi in ambienti simili tendono a somigliarsi
anche se geneticamente molto lontani tra loro.
Sostenere che le razze umane
non esistono non significa affatto misconoscere le differenze biologiche
esistenti tra i diversi popoli dell’umanità. Significa solo ritenere che quelle
differenze non possono essere analizzate e tantomeno comprese attraverso lo
strumento scientifico del livello tassonomico della razza.
Ciò non riguarda il problema
del razzismo, perché quest’ultimo non ha natura scientifica, o per meglio dire
non attiene alle scienze sperimentali.
I biologi assolvono il loro compito studiando
la storia evolutiva umana nell’ambito della più generale evoluzione della vita
e non sono usciti dalla loro sfera di competenza quando hanno dimostrato per
via sperimentale che il concetto di razza non può essere applicato alla nostra
specie.
Sul razzismo devono – se non vogliono tradire la loro funzione – affermare
che esso non ha alcuna base scientifica e rapportarsi a quella grave
degenerazione da cittadini.
Auspichiamo che il termine razza, per l’uomo, sia eliminato dalla Costituzione e dagli atti ufficiali del nostro Paese, così come è avvenuto in Francia.
Cordiali saluti.
Bibliografia
Barbujani G., L’invenzione delle razze,
Bompiani, Milano, 2006.
Biondi G., Rickards O., Race: The extinction
of a paradigm, Annals of Human Biology, 34, pp. 588-92, 2007.
Idd., L’errore della razza, Carocci editore,
Roma, 2011.
Cavalli-Sforza L.L., Menozzi P., Piazza A.,
Storia e geografia dei geni umani, Adelphi, Milano, 1997.
Chiarelli B., Race: A fallacious concept,
International Journal of Anthropology, 10, pp. 97-105, 1995.
Id., Race: What is it?, L’Anthropologie, 34,
pp. 225-9, 1996.