fbpx Buon compleanno astronomia X! 50 anni di scoperte | Science in the net

Buon compleanno astronomia X! 50 anni di scoperte

Tempo di lettura: 6 mins

L'astronomia X compie mezzo secolo. Era infatti il 18 giugno 1962 quando, dopo due tentativi falliti, dalla base di White Sands nel New Mexico fu lanciato con successo un razzo che portò per pochi minuti al di sopra dell’atmosfera tre contatori Geiger sensibili alla radiazione X, opportunamente schermati dai raggi cosmici tramite il metodo delle anticoincidenze.

I risultati di quell’esperimento vennero pubblicati da Giacconi, Gursky, Paolini e Rossi su “Physical Review Letters”: in quell’occasione venne scoperta la prima sorgente extrasolare di raggi X (battezzata Sco X-1 in quanto localizzata nella costellazione dello Scorpione), sancendo la nascita di un nuovo modo di studiare il cielo: l’astronomia X. Era infatti il 18 giugno 1962 quando, dopo due tentativi falliti, dalla base di White Sands nel New Mexico fu lanciato con successo un razzo che portò per pochi minuti al di sopra dell’atmosfera tre contatori  Geiger sensibili alla radiazione X, opportunamente schermati dai raggi cosmici tramite il metodo delle anticoincidenze.

Si apriva cosi una terza finestra sull’Universo, dopo quella “visibile” (per millenni considerata l’unica) e quella “radio”, che nei trent’anni precedenti si era rapidamente sviluppata a seguito della scoperta da parte di Karl Jansky dell’emissione in banda radio proveniente dal centro della Via Lattea. Questa terza finestra, che si è andata ampliando fino a includere una radiazione elettromagnetica di energia ancora più alta – i raggi gamma – era figlia della guerra fredda e della corsa alla conquista dello spazio.

Ha potuto affermarsi, infatti, soltanto grazie allo sviluppo di razzi in grado di portare la strumentazione al di sopra dell’atmosfera e in orbita attorno alla Terra, perché i raggi X cosmici non sono visibili da terra in quanto vengono completamente assorbiti dalla nostra atmosfera.

Una scoperta casuale

Nella migliore tradizione della serendipità tipica delle scoperte più importanti, che le vuole felicemente ottenute quasi per caso mentre si cerca qualcos’altro, anche la più brillante sorgente astrofisica di raggi X si trovò per un colpo di fortuna nel campo di vista di uno strumento che cercava appunto qualcos’altro (e che in quell’occasione non fu trovato).

Si volevano infatti rivelare raggi X provenienti dalla Luna, attraverso i quali si intendeva  studiare la composizione chimica della superfice del nostro satellite. La radiazione X dalla Luna era attesa per riflessione e diffusione della radiazione X solare che la colpiva (analogamente alla luce visibile) e che era stata da poco scoperta. L’interesse, e i finanziamenti ottenuti dal gruppo di Giacconi dal Cambridge Research Laboratory dell’aviazione militare statunitense, derivavano dal crescente interesse per la Luna a seguito dell’appena annunciato programma Apollo, con cui il presidente Kennedy intendeva vincere la competizione con l’Unione Sovietica nella conquista dello spazio portando un uomo a camminare sulla superficie lunare.

Anno dopo anno, razzo dopo razzo, il numero di sorgenti X celesti continuava ad aumentare. Alla fine degli anni Sessanta se ne contavano una trentina, incluse la Nebulosa Granchio e la galassia M87 nell’ammasso della Vergine. Nel 1970 fu messo in orbita Uhuru, il primo satellite interamente dedicato all’astronomia X. Le sue scansioni di tutto il cielo portarono a più di 300 il numero di sorgenti catalo- gate e permisero di studiare le più brillanti in dettaglio. Si scoprì che molte di esse variano in modo rapido e periodico, e pertanto che sono costituite da sistemi binari in cui una stella è collassata e subisce trasferimento di massa dall’altra. Fu anche possibile contribuire significativamente allo studio degli stati estremi della materia e individuare i primi candidati buchi neri. 

Da Uhuru a Chandra

Gli anni Sessanta portarono alla scoperta di vere e proprie meraviglie del cosmo: i quasar nel 1963, la radiazione cosmica di fondo nel 1965, la prima pulsar radio nel 1967, stesso anno in cui fu registrato dai satelliti Vela il primo gamma-ray  burst (scoperta resa pubblica però solo nel 1973). L’astronomia a raggi X si inseriva bene in quel contesto che ci dava una visione molto energetica e violenta dell’Universo, indicandoci l’esistenza di materia portata alla temperatura di milioni di gradi, particelle accelerate a velocità prossime a quella della luce, esplosioni stellari che generano tanta energia da essere visibili a miliardi di anni-luce di distanza. Osservazioni in banda  X permisero anche, molti anni dopo, di svelare la natura e i meccanismi di funzionamento dei gamma ray burst.

Ma la vera rivoluzione per l’astronomia X avvenne con il lancio, nel 1978, dell’Osservatorio Einstein, il primo telescopio munito di ottiche in grado di focalizzare questa radiazione e produrre quindi le prime vere immagini delle sorgenti.

Einstein fu una rivoluzione non solo per la quantità e qualità dei risultati scientifici che permise di ottenere, ma anche perché con il suo innovativo programma di Guest Observers offrì all’intera comunità astronomica (e non solo agli addetti ai lavori) la possibilità di proporre e condurre osservazioni, nonché di ridurre e analizzare i dati che venivano distribuiti già calibrati e in formati facilmente gestibili.

Questo approccio, fortemente voluto da Riccardo Giacconi, divenne uno standard che da allora è stato seguìto in tutte le imprese successive, da EXOSAT a RO-SAT, da XMM-Newton a Chandra, e che ha contribuito enormemente a formare un’intera generazione di astronomi “multibanda”.

Una disciplina da Nobel

Dieci anni fa, nel 2002, quarant’anni dopo quell’esperimento da lui coordinato, Giacconi ricevette il  Premio Nobel per la Fisica «per i contributi pionieristici all’astrofisica, che hanno portato alla scoperta di sorgenti cosmiche di raggi  X». Per l’apertura, insomma, di una nuova finestra sul cielo, e per avere contribuito a farla affermare come una delle linee protagoniste della ricerca astrofisica.

Oggi possiamo dire che non esistono più persone che si definiscono “astronomi X”: l’utilizzo di telescopi X per affrontare un problema astrofisico, piuttosto, è preso in considerazione in maniera quasi naturale, al pari di quelli ottici, radio e via dicendo. Nonostante che la comunità astronomica non manchi certo di idee e iniziative (come testimoniato per esempio dal numero e dalla varietà di proposte inoltrate alla NASA in risposta alla richiesta dell’agenzia di «concetti per la prossima missione NASA di astronomia X»), e anche se alcune piccole missioni diventeranno operative nei prossimi anni (come NuStar, ASTRO-H), preoccupa che non si stia ancora progettando il successore di XMM-Newton e di Chandra. Questi due telescopi X, rispettivamente dell’ESA e della NASA, operano infatti da oltre un decennio al servizio dell’intera comunità scientifica, e tutti gli scienziati augurano loro, incrociando le dita, almeno altri dieci anni vita.

Tenendo conto dei tempi lunghi che intercorrono tra l’inizio di un progetto e la sua realizzazione, il rischio è di rimanere senza una strumentazione adeguata a soddisfare le necessità che si andranno presentando per stare al passo con le prossime scoperte.

Nel frattempo, comunque, buon cinquantesimo compleanno all’astronomia X!

Quest'anno, per celebrare il 50esimo anniversario della scoperta di SCO-X1 e le prime misure di Giacconi, Gursky, Paolini e Rossi, l'Osservatorio Astronomico di Brera e l'INAF organizzano un meeting dal titolo "X-ray Astronomy: towards the next 50 years!".
In quest'occasione si parlerà dell'astronomia X oggi, dei problemi aperti e prospettive future, col contributo di ricercatori e studiosi di fama internazionale.
L'appuntamento è presso il Museo di Scienza e Tecnologia a Milano, dal 1 al 5 ottobre 2012.
Per informazioni: sito ufficiale dell'evento 

Fonte: "Le stelle" - n°103, febbraio 2012


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Why have neural networks won the Nobel Prizes in Physics and Chemistry?

This year, Artificial Intelligence played a leading role in the Nobel Prizes for Physics and Chemistry. More specifically, it would be better to say machine learning and neural networks, thanks to whose development we now have systems ranging from image recognition to generative AI like Chat-GPT. In this article, Chiara Sabelli tells the story of the research that led physicist and biologist John J. Hopfield and computer scientist and neuroscientist Geoffrey Hinton to lay the foundations of current machine learning.

Image modified from the article "Biohybrid and Bioinspired Magnetic Microswimmers" https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1002/smll.201704374

The 2024 Nobel Prize in Physics was awarded to John J. Hopfield, an American physicist and biologist from Princeton University, and to Geoffrey Hinton, a British computer scientist and neuroscientist from the University of Toronto, for utilizing tools from statistical physics in the development of methods underlying today's powerful machine learning technologies.