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Circe racconta come cambierà il Mediterraneo

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Uno scenario dettagliato degli impatti del cambiamento climatico sugli ecosistemi e le società dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo: ecco a cosa tende il progetto europeo Circe che si è concluso a Roma (23-25 maggio) con una conferenza finale gremita di ricercatori provenienti da Paesi europei, nordafricani e del Medio Oriente.

La novità più importante dal punto di vista scientifico è l'elaborazione di modelli che consentono una simulazione dei cambiamenti climatici nell'area mediterranea e delle sue conseguenze ambientali, economiche e sociali su scala molto inferiore rispetto a queli usati finora (30 km anziché 300 km normalmente usati su scala globale deall'IPCC). Da questi nuovi modelli si ottengono scenari molto più realistici.

Si conferma così che nel Mediterraneo per la metà del secolo è molto probabile attendersi un aumento medio della temperatura intorno ai 2 °C (da 0,8 a 1,8 °C sulla superficie marina), un conseguente aumento del livello del mare da 6 a 12 centimetri (per l'effetto sterico dovuto all'aumento della temperatura e della salinità), una riduzione delle precipitazioni da 5 al 10% e un aumento di frequenza degli eventi estremi come ondate di calore, piogge torrenziali, cicloni: tendenza confrmata soprattuto nei mesi estivi e in Medio Oriente, ma anche in Spagna e Italia meridionale.

“Con Circe la scienza del clima diventa meno ideologica e più fattuale” spiega Antonio Navarra, ricercatore senior all'INGV e coordinatore del progetto. “Sono ancora molte le incertezze nello studiare un'area critica e complessa come il Mediterraneo, affetta da numerose variabilità. Ma con i nuovi modelli elaborati in questo progetto abbiamo iniziato una nuova fase di ricerche, caratterizzate da una maggiore potenza previsionale, base necessaria per politiche di adattamento e mitigazione efficaci”.

La grande sete

Diminuzione delle precipitazioni e della portata dei fiumi, siccità, desertificazione interessano ovviamente anche questa regione, anche se in misura variabile (soprattutto nel settore Sudorientale, mentre sulle Alpi potrebbe esserci un aumento delle piogge). Meno pioggia (globalmente -10/-20%), e maggiore evaporazione (+5-10%) porteranno a un impoverimento delle acque superficiali (-36% di acqua portata dai fiumi al mare) e sotterranee, e una salinizzazione delle falde nelle aree costiere.

L'acqua diventerà una risorsa sempre preziosa, da gestire con oculatezza anche in Europa, sia per gli usi civili e industriali (decrescenti) sia per gli usi irrigui. Per questo è importante sviluppare modelli predittivi sempre più sofisticati per immaginare nuove politiche di adattamento alla scarsità di risorse idriche, come il riuso delle acque e nuovi sistemi di gestione globale delle reti idriche. “La scarsità d'acqua, gestibile nei paesi europei, molto più problematica già ora nel Nord Africa, è un chiaro esempio di come il cambiamento climatico approfondisca le diseguaglianze territoriali” spiega Ana Iglesias dell'Università di Barcellona, componente importante del progetto Circe.

Grano, viti e olivi si sposteranno a Nord

Il cambiamento climatico è troppo rapido per consentire un adattamento da parte degli ecosistemi. In particolare – come ha osservato Roberto Ferrise del CNR di Firenze - vengono colpite le coltivazioni tradizionali dell'area (grano, olivo, vite) sia perché si riduce il tempo per l'accumulazione della biomassa, sia per l'effetto diretto dell'aumento delle temperature e dello stress idrico sulle colture. Il grano conoscerà una importante diminuzione degli areali di distribuzione e dei raccolti soprattutto nella parte Sudorientale della regione mediterranea. La coltivazione dell'olivo conoscerà da qui alla fine del secolo uno spostamento verso Nord, mentre per la vite vi sarà un aumento di produttività alle alte latitudini (per l'aumento della CO2) e un abbassamento più a Sud. In questo caso, strategie di adattamento prevedono l'uso di cultivar più resistenti e semine/raccolti anticipati per evitare che il periodo della crescita coincida con le settimane più calde.

Più boschi ma più fragili

Anche le foreste risentono dell'aumento della temperatura globale. A dispetto dell'aumento della superifice forestale dovuta soprattutto all'abbandono dell'agricoltura (in Italia si è passati da 25 milioni di ettari di superifice agricolta nel 1970 a 19,6 milioni di ettari nel 2000), nel primo decennio di questo secolo è stata registrata una flessione della produzione primaria netta vegetale dovuta all'aumento della siccità. Il caldo e la riduzione delle precipitazioni stanno determinando una diminuzione della crescita degli alberi, una loro crescente mortalità (anche per l'aggrssione dei patogeni) e uno spostamento verso Nord e altitudini maggiori dei principali habitat vegetali. E' urgente a questo proposito – secondo Giorgio Matteucci del CNR di Firenze – mettere in campo strategie di adattamento, come la conservazione della biodiversità e degli habitat, sistemi di protezione e di gestione sostenibile e trattamenti volti a contenere incendi e insetti dannosi.

Il clima fa traslocare i microbi

Il capitolo di Circe dedicato agli effetti sulla salute ha confermato il contributo alla mortalità delle ondate di calore, che si fanno sempre più frequenti e intense, soprattutto in città campione oggetto di studi specifici (come Atene, Roma e Valencia).

“Il progressivo riscaldamento dei mari e delle terre da Sud a Nord determinano anche una redistribuzione degli areali delle malattie infettive” spiega Tanja Wolf del centro Ambiente e salute dell'OMS di Roma (purtroppo in via di smantellamento). “Abbiamo stimato che 33 malattie infettive (da West Nile virus alle encefaliti da zecche) sono condizionate dal clima, e si stanno progressivamente estendendo verso Nord”.

BOX: I dati climatici in Italia secondo l'ISPRA
Coma va l'Italia con i gas serra? Il nuovo rapporto ambientale del'ISPRA sul 2009, presentato a Roma il 25 maggio, dà un quadro aggiornato della situarzone. “Se fino al 2004 l’Italia ha registrato un incremento delle emissioni, successivamente si è osservato un calo, fortemente condizionato dalla crisi economico – finanziaria che ha investito anche il settore industriale” spiega il rapporto. “In particolare, le emissioni del 2009 sono state inferiori del 9,3% rispetto all’anno precedente ma gli obiettivi del Protocollo di Kyoto sono ancora lontani”.
Male con le temperature globali, che continuanoa crescere a dispetto di scettici e negazionisti climatici. “Il 2009 è stato il diciottesimo anno consecutivo con anomalia termica positiva. Il particolare, il numero di giorni estivi ha superato la media climatologica del 24% circa e il numero di notti tropicali estive del 75% circa”. E il 2010 – non ancora considerato da ISPRA – è andata ancora peggio, facendo toccare un nuovo record di temperature crescenti.
“In Italia, uno dei Paesi più vulnerabili in Europa, si registra la riduzione delle riserve nivo-glaciali dell’arco alpino e il conseguente calo della disponibilità idrica” continua il repporto. “In ambiente marino, si assiste all’insediamento di specie di origine tropicale provenienti dall’Atlantico o dalla regione indo-pacifica e lo spostamento verso nord di specie di affinità calda”.
Commenta Stefano Laporta, direttore generale dell’ISPRA: “Nel corso del 2009 la crisi economica globale che ha coinvolto i mercati economici ed energetici ha avuto effetti limitati sui trend climatici. L’aumento della temperatura a livello globale e in Europa osservato negli ultimi decenni è inusuale. In Italia, analogamente ai tre anni che lo hanno preceduto, il 2009 è stato un anno sensibilmente più caldo della norma con un’anomalia media di + 1,19 °C”.

Il caldo fa male al PIL

L'impatto potenziale del clima sul PIL si tradurrà in una flessione dell'1% al 2050, ma con perdite anche del 3% nel Nord Africa e nelle piccole isole (Malta, Cipro), che risentiranno maggiormente degli effetti del cambiamento climatico. Lo studio economico condotto da Francesco Bosello (Fondazione Enrico Mattei) per Circe ha preso in considerazione tre fattori: il turismo (le cui rotte sis tanno già spostando dalle tradizionali mete meridionali a quelle setentrionali), il consumo di energia e l'aumento del livello del mare. In particolare, per l'energia si avrà una maggiore domanda di elettricità (per il condizionamento nei mesi estivi) e una minore domanda di gas per il riscaldamento. Ne trarrà vantaggio la sponda Nord del Mediterraneo, tradizionale esportatrice di beni (alimentari e altro) e importatrice di energia (i cui prezzi diminuiranno). Se quindi la regione Mediterranea nel suo complesso non risulta particolarmente vulnerabile dal punto di vista economico al cambiamento climatico, esso accentuerà le differenze fra Nord e Sud.

Strategie per il futuro

“E' importante prendere coscienza che nel XXI secolo la desertificazione si accentuerà per effetto del riscaldamento globale” spiega Carlo Jaeger, del Postdam Institut di Berlino. “Per questo è urgente dare sostanza a una strategia di green economy incardinata sulla riforestazione e massicci investimenti sulle rinnovabili con una nuova connessione (smart-grid) fra Sud (solare a concentrazione) e Nord (eolico) e fra Est e Ovest del Mediteraneo”.

Il progetto Circe metterà capo entro la fine dell'anno a un Rapporto scientifico (Rapporto di Valutazione Regionale sul Cambiamento Climatico nel Mediterraneo) che fornirà un quadro dettagliato dell'evoluzione del clima nella macroregione mediterranea, anticipato a grandi linee nella conferenza di Roma.

Laurence Tubiana, direttore dell'IDDRI (Fondation de Recherche pour le Developpement Durable et les Relationes Internationales, Francia) e co-responsabile del progetto, ha concluso spiegando come Circe possa rappresentare uno stimolo importante per far scattare una solidarietà fra i Paesi europei e del Nord Africa, accomunati nella difficile sfida del cambiamento climatico.

Sito di Circe: http://www.circeproject.eu 

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