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Neuroetica

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Ciò che emerge subito ad una prima lettura del libro Neuroetica – Tra neuroscienze etica e società a cura di Andrea Cerroni e Fabrizio Rufo, nella collana Scienza e Società della UTET, è la plasticità del termine neuroetica, che con continue operazioni di zoom-in e zoom-out permette ora di cogliere i dettagli delle discipline coinvolte nei vari capitoli (neuroscienze, etica, estetica, diritto, economia, psicologia, sociologia, politica), ora di proporre un reticolo in continua evoluzione, che le imbriglia e le congiunge, creando un campo problemico aperto.

Partendo dall’analisi del rapporto tra neuroscienze ed etica, sin dal primo capitolo vengono proposti al lettore una serie di interrogativi a partire da casi concreti, che vanno dall’uso (e abuso) di nuove sostanze psicotrope per controllare la vita emotiva o il potenziamento cognitivo, al rischio di assimilare gli effetti dei farmaci sul comportamento ad una concezione riduzionistica dei vari stati mentali (emozioni) in termini essenzialmente molecolari.

Tuttavia, proprio grazie alle moderne tecniche di "Brain Imaging" come la PET (Tomografia ad Emissione di Positroni), alcuni studi sull’amigdala dimostrano che quest’ultima è la possibile responsabile delle azioni violente, il cui verificarsi non può essere previsto dallo studio delle funzioni nervose associate: se ci si fermasse ad una neuroanatomia della morale, per impedire la violenza di alcuni, bisognerebbe limitare la libertà di molti.

Sempre grazie ai progressi nel campo delle neuroscienze, con particolare riferimento agli studi sulla corteccia premotoria, è possibile capire con sempre maggior precisione come entrare in risonanza con gli altri, attraverso l’attivazione dei cosiddetti "mirror neurons", i neuroni specchio che si attivano quando osserviamo una persona compiere una determinata azione, che viene quindi compresa perché la sua rappresentazione motoria è innescata nel nostro cervello.

Proseguendo la lettura degli influssi delle neuroscienze sul diritto, affrontati nel terzo capitolo, risulta evidente che stati mentali legati a precise patologie mettono ormai in crisi l’idea stessa dell’agire deliberato, fino al punto che la spiegabilità di un’azione possa escludere la responsabilità della stessa. Non è tuttavia ancora chiaro se la crescente comprensione delle cause fisico-psichiche del comportamento umano avrà un effetto trasformativo o aggiungerà solo nuovi dettagli alla preesistente dottrina giuridica.

Con il superamento delle antinomie mente-corpo ed individuo-società, risulta chiaro al lettore che la neuroetica trova fondamento come laboratorio di immaginazione sociologica, per occuparsi della mente che è sia innervata in tutta la società umana come conoscenza, sia estesa in tutto il corpo dell’individuo, se solo si pensa a quello “scantinato del cervello”, rappresentato dalle aree ventro-mediali, da cui partono quei segnali periferici che il cervello percepisce come emozioni. Abbandonando per un attimo la collocazione spaziale della mente ed indotti a riflettere sul tempo di ogni singolo pensiero e di ogni atto di coscienza, lo si scopre come una clessidra, dove la contemplazione cosciente corrisponde alla strozzatura ed al breve istante della serialità.

A partire dalla scoperta di questa natura densa del presente, una sorta di “fuori-tempo” che può essere posto in relazione con qualsiasi istante precedente, successivo o richiamato a seguito di un collegamento, alla fine del libro il lettore viene spinto a ri-immaginare la neuroetica come quella dimensione meta-spaziale, meta-temporale e, perché no, meta-disciplinare, in cui far incontrare scienziati e studiosi di menti umane (o di menti altre), per la costruzione di una teoria generale della mente.

Per questo il libro, che raccoglie i contributi di M. Borri, B. Bottalico, A. Cerroni, P. Greco, M. Motterlini, A. Oliverio, F. Rossi, F. Rufo, A. Santosuosso e S. Tagliagambe, rimane un affascinante viaggio dentro e fuori la mente, spiegandone gli spazi ed i tempi, i legami e le dipendenze con le discipline affrontate, in un moderno sistema di reti di scatole cinesi, perché, come sostiene lo stesso Pietro Greco, “la neuroetica è l’unica che si occupa del black box della comunicazione (lo studio del cervello) e della comunicazione tra black boxes (le relazioni tra cervelli)”.


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