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Il nucleare è sicuro?

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Se l'Italia imboccherà la strada del nucleare, gli impianti che probabilmente verranno realizzati sono le centrali francesi EPR della società Areva e quelle nippo-statunitensi AP1000 della Westinghouse, anche se all’orizzonte fanno capolino centrali simili di fabbricazione russa e coreana. Nessuna di queste centrali cosiddette di terza generazione è ancora in funzione. Il mondo, ad oggi, è ancora popolato dalle centrali di seconda generazione, di cui le nuove rappresentano un’evoluzione soprattutto sotto il profilo della sicurezza.

Entrambe le centrali EPR e AP1000 sono dotate di reattori ad acqua in pressione (PWR), come la maggior parte delle centrali oggi in servizio nel mondo. I vantaggi di questa tecnologia rispetto a quella dei reattori ad acqua bollente (BWR) stanno anche nel fatto che – come spiega uno dei massimi esperti europei di sicurezza nucleare, Flavio Parozzi del RSE di Milano - “l'acqua che si scalda a contatto con il reattore genera il vapore che alimenta la turbina tramite un circuito secondario a cui cede calore. Di fatto, non vi è quindi contaminazione radioattiva fra il reattore e la macchina che genera elettricità”.

Sotto questo aspetto le centrali PWR di tipo francese e di tipo americano sono simili. Le EPR sono già in costruzione, come nel sito finlandese di Olkiluoto e in quello francese di Flamanville, e hanno più mercato in Europa, mentre le AP1000 sono già in costruzione in Cina e verrano quasi sicuramente realizzate negli USA. Ma quali sono le differenze? “Si tratta di dettagli tecnici” spiega Parozzi. “Intanto la EPR ha una potenza di 1600 MW elettrici, mentre la AP1000, di circa 1100 MWe. Per quanto riguarda le prestazioni, le centrali nippoamericane sembrerebbero più facili da costruire e gestire, mentre le EPR rispondono meglio ai requisiti di sicurezza europei, ma proprio per questo sono più complesse”.

Il discorso della sicurezza è centrale nell'industria nucleare, segnata nei suoi sessant'anni di vita dai due incidenti-simbolo di Three Miles Island (1979) e di Chernobyl (1986). “In entrambi i casi vi fu fusione del nocciolo” spiega Parozzi. “Tuttavia nel caso americano non vi furono conseguenze sulla popolazione, mentre a Chernobyl l'incidente sfuggì completamente dal controllo e non era presente alcun edificio di contenimento. Oggi però parliamo di centrali completamente diverse, in cui la probabilità di un incidente grave è più che remota, con possibili conseguenze davvero limitate, e che non hanno nulla a che vedere con quella di Chernobyl”.

Le centrali di nuova generazione sono infatti dotate di sistemi di sicurezza ridondanti, che prendono in considerazione incidenti che nel passato non venivano nemmeno concepiti in sede di progetto. Ecco allora le contromisure messe in gioco dai due impianti in caso di fusione del nocciolo, durante il quale, se il raffreddamento non garantisce un controllo della temperatura, possono esserci rilasci di sostanze radioattive dal reattore, anche se pur sempre all’interno di un edificio di contenimento. “L'AP1000 ha un vessel (contenitore del reattore) in acciaio che può essere facilmente raffreddato dall'esterno. Nel caso vi sia fusione del nocciolo e l'acqua evapori, essa torna allo stato liquido a contatto con le pareti fredde del vessel in acciaio e quindi torna ad allagare il reattore abbassandone al temperatura”.

Il reattore dell'EPR, invece, è confinato in due scocche di cemento armato dello spessore di 1,5 metri, a prova non solo di impatto di caccia, ma – dopo l'11 settembre – anche a prova di aereo di linea. “Anche in questo caso le misure di sicurezza sono molteplici” spiega Parozzi. “Basti dire che se il nocciolo fuso dovesse per qualsiasi motivo sfondare il vessel, esso verrebbe raccolto su una apposita superficie protetta e raffreddata chiamata core catcher, in grado di raffreddare il nocciolo e di mantenerlo in condizioni di sicurezza”.

Ovviamente sia la centrale made in USA sia quella francese sono, oltre che a prova di bomba e di attacco terroristico, con un altissimo livello di protezione antisismica, antincendio e antiallagamento. I sistemi di sicurezza sono tali – prosegue Parozzi – che le nuove centrali non dispongono nemmeno di un piano di evacuazione in caso di incidente, poiché l'eventualità di una contaminazione esterna all'impianto è sostanzialmente pari a zero.

La centrale EPR di Olkiluoto ha fatto parlare di sé perché i lavori sono in ritardo e si dice che i prezzi stiano lievitando oltre misura. “Si tratta in effetti, della prima centrale di questo genere in costruzione” commenta Parozzi, “e quindi bisogna metter in conto i tempi con cui viene affrontata una situazione che presenta una serie di novità. In un qualche modo i costuttori francesi hanno pattuito con il governo finlandese un prezzo particolarmente vantaggioso in cambio della possibilità di provare sul campo tutta una serie di procedure e tecniche che si trovano ad affrontare per la prima volta. Da qui anche certi ritardi”.

Attualmente nel mondo si contano 441 reattori nucleari dedicati alla produzione di energia elettrica, di cui 269 sono di tipo PWR. I nuovi impianti in costruzione nel mondo sono oltre una sessantina. Molti di questi, oltre all'uranio, potranno bruciare un combustibile misto uranio-plutonio (MOX) proveniente dallo smantellamento delle testate nucleari. “Il tempo medio di costruzione delle nuove centrali varia idealmente dai 6 agli 8 anni, mentre la longevità sarà di circa 60 anni” conclude Parozzi. “I primi 35 anni di esercizio, pur dando un ritorno economico in linea con le regole del mercato, serviranno per ammortizzare gli straordinari investimenti richiesti. Il vantaggio maggiore, tuttavia, sarà dato dalla diversificazione delle fonti di produzione elettrica, un aspetto in cui il nostro Paese è ora particolarmente vulnerabile”.

Pubblicato su Newton, dicembre 2010


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