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Ma quanto male fa lo smog?

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'Inflation of lungs for still-born babies. Detail, two women, one holding a newborn baby and the other probably blowing air over the child through a pipe' . Credit: Wellcome CollectionCC BY

Se ancora ce ne fosse bisogno, studi recenti hanno confermato gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute, estendendosi progressivamente dai classici effetti respiratori e cardiaci a quelli cerebrali. Si dice spesso che negli ultimi decenni le concentrazioni di inquinanti siano scese. Dipende. Nel caso del particolato fine atmosferico (PM2.5) per esempio, questo non è vero. La concentrazione atmosferica globale di PM2.5 è infatti aumentata di 0.55 mg/m3/anno (2.1% all'anno) dal 1998 fino al 2012.

Tutti sono esposti all’inquinamento atmosferico, e questo fa sì che a fronte di un relativamente basso rischio individuale corrisponda un rischio collettivo significativo. Una metanalisi pubblicata su Lancet ha preso in considerazione 22 studi (di coorte) europei nell’ambito del progetto ESCAPE (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects) per valutare l’effetto dell’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico sulla mortalità. I 22 studi hanno coinvolto 367.251 partecipanti e hanno misurato il livello di particolato (PM10, PM 2.5 e PMgrossolano) e le concentrazioni medie annue di ossidi di azoto (NO2 e NOx). I risultati mostrano una stretta associazione tra esposizione a lungo termine al PM2.5 con aumento della mortalità, in particolare per tumore al polmone e ictus.

Quanto si muore di smog?

Secondo il Global Burden of Diseases le morti da inquinamento outdoor e indoor sfiorano le 7 milioni di persone all’anno. Il fenomeno è particolarmente marcato nei paesi in via di sviluppo ed emergenti, caratterizzati da concentrazioni di inquinamento molto alte e dall’uso di apparecchi per la cucina e il riscaldamento responsabili di molte morti premature indoor. In Italia, il progetto VIIAS (Valutazione integrata dell'impatto di inquinamento atmosferico per l’ambiente e la salute, 2013-2015) ha stimato le morti premature da inquinamento fra le 25 e le 35mila all’anno, su un totale di 520mila morti totali considerando la popolazione sopra i 30 anni.

Si muore più al Nord

Dallo studio è emerso che il 29% della popolazione italiana vive in aree dove la concentrazione di inquinanti è costantemente superiore al limite legale. L’inquinamento colpisce soprattutto la parte settentrionale del paese (65% del totale), dove vi è un’alta concentrazione di aree urbane (inquinamento da traffico e industrie) e l’abitudine a utilizzare le biomasse (soprattutto legno e pellet), che porta a un maggior tasso di mortalità e morbilità da polveri sottili.

I più colpiti

Il progetto RespiraMI, dell’Università degli Studi di Milano e della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, ha valutato l’effetto dell’inquinamento atmosferico sulla popolazione più sensibile: anziani, bambini con malattie respiratorie, diabetici e obesi. Un recente studio in Lombardia ha mostrato un effetto maggiore dei livelli di PM sui ricoveri ospedalieri tra i soggetti over 75 anni. La suscettibilità nei bambini è data dalla loro maggiore capacità di assorbire particolato. Più in generale, un alto indice di massa corporea sembra giocare un ruolo importante nel determinare una maggiore suscettibilità alle polveri, effetto confermato anche da uno studio pilota del Policlinico di Milano.

Polmoni a rischio, dalle infezioni ai tumori

Dal grande studio multicentrico ESCAPE emerge chiaramente l’effetto dell’inquinamento sulla salute dei polmoni: dalla funzionalità polmonare dei bambini e adulti agli episodi di asma alle malattie polmonari croniche. In particolare l’analisi di 10 coorti di nascita europee ha mostrato come, al crescere dei livelli medi annui di inquinanti - biossido di azoto (NO2), azoto ossido (NOx), PM2.5, PM10, PM2.5-10 (grossolana) - aumentano le polmoniti, e in alcuni studi anche l’otite media.

Lo studio ESCAPE ha valutato anche l’associazione tra esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico e l’incidenza del cancro al polmone nelle popolazioni europee. La metanalisi ha preso in considerazione 17 studi provenienti da 9 paesi europei (Svezia, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Regno Unito, Austria, Italia, Spagna e Grecia) effettuati sia su aree urbane sia rurali e suburbane. Nella maggior parte dei casi i soggetti sono stati reclutati nel 1990 e avevano un’età media compresa tra i 43 e i 73 anni. Anche le concentrazioni di inquinamento atmosferico erano molto diverse tra le differenti aree geografiche. Nonostante questa variabilità, i dati della ricerca hanno mostrato una significativa associazione tra i livelli di PM10 e PM2.5 e l’aumento del rischio di sviluppare tumore ai polmoni, in particolare adenocarcinomi.

Cuore a rischio

Sono molte le ricerche cha hanno evidenziato i rischi cardiovascolari che pone l’esposizione ad alti livelli di inquinanti. Secondo un'analisi dai dati ESCAPE, un incremento annuo di 5 μg/m3 di PM2.5 è associato a un aumento del rischio di eventi coronarici del 13%, mentre un aumento di 10 μg/m3 di PM10 comporta un incremento del rischio del 12%. Fino a ora era chiaro il legame fra infarto ed esposizione acuta all’inquinamento atmosferico, ma l’effetto sullo scompenso cardiaco era incerto. I risultati dei nuovi studi mostrano una stretta associazione tra inquinamento, sia del particolato sia dei gas inquinanti (monossido di carbonio, anidride solforosa, biossido di azoto, eccetto l’ozono) e insufficienza cardiaca e conseguente ospedalizzazione e mortalità per insufficienza cardiaca. Negli Stati Uniti, si stima che una riduzione media della PM2.5 da 3 a 9 mg/m³ eviterebbe 7.978 ricoveri per scompenso cardiaco.

Vale la pena a questo proposito ricordare che nell’Unione europea il limite annuale di PM2.5 è 25 mg/m3, che è di gran lunga superiore a quello sancito negli Stati Uniti (12 mg/m3).

Ictus

Sempre lo studio ESCAPE è stato setacciato anche alla ricerca di effetti cerebrovascolari. E in effetti, analizzando una popolazione complessiva di 99.446 persone, 3.086 hanno sviluppato un ictus in modo proporzionale rispetto alle esposizioni. Un incremento annuo di 5 μg/m3 di PM2.5 è associato a un aumento del rischio di ictus del 19%. Risultati simili sono stati ottenuti per il PM10.

Il cervello dei bambini

L’inquinamento atmosferico viene considerato una sostanza tossica anche per lo sviluppo neurologico. Le sostanze inquinanti possono raggiungere il sistema nervoso centrale attraverso il nervo olfattivo, le infiammazioni sistemiche o la barriera ematoencefalica producendo effetti neurocognitivii. Gli inquinanti candidati ad agire a livello cerebrale sono soprattutto gli ossidi di azoto e gli idrocarburi policiclici aromatici. Sono necessari ulteriori studi e scansioni cerebrali strutturali e funzionali per capire meglio quali sono le aree del cervello e le funzioni cognitive maggiormente colpite.

Breathe è uno studio condotto dall’Università di Pompeau Fabra (Barcellona) che ha come obiettivo quello di valutare l’associazione tra sviluppo cerebrale ed esposizione al particolato, in bambini in età scolare. Sono stati presi in considerazione 2.897 bambini di età compresa tra 7 a 10 anni, dal gennaio 2012 al marzo 2013 a Barcellona per valutare lo sviluppo della memoria, il grado di attenzione e impulsività. Nelle scuole sono stati sistemati misuratori del livello di PM. Dallo studio è emerso che l’inquinamento ha un impatto negativo sullo sviluppo neurologico dei bambini e l’aria che si respira tra i banchi di scuola è importante per uno sviluppo sano del cervello. Inoltre, la ricerca ha ipotizzato un effetto benefico delle aree verdi in termini di sviluppo cerebrale.

Tumore alla mammella

Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal l’esposizione al PM2.5 aumenterebbe la mortalità di pazienti che presentano tumore al seno. La correlazione tra esposizione al particolato e incremento dell’incidenza di cancro alla mammella era stato già ipotizzato da studi precedenti. La ricerca ha considerato i dati archiviati nel Registro tumori di Varese, selezionando solo quelli riferiti ai tumori alla mammella diagnosticati in donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni nel periodo tra il 2003 e il 2009 (2.021 casi). La zona di residenza è stata identificata attraverso le coordinate geografiche, mentre l’esposizione individuale al PM2.5 è stata valutata utilizzatando i dati satellitari.

 

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