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La medicina di genere non è medicina delle donne

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“La distinzione principale nei poteri mentali dei due sessi è costituita dal fatto che l’uomo giunge più avanti della donna, qualsiasi azione intraprenda" - scriveva Charles Darwin in The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex (1871), aggiungendo che - "se gli uomini sono in molte discipline decisamente superiori alle donne, il potere mentale medio dell’uomo  è superiore a quello di queste ultime”.
Negli stessi anni (1869) John Stuart Mills sosteneva che una volta eliminate le disparità e aperte le porte dell’istruzione e della carriera, le donne sarebbero diventate in tutto simili agli uomini.
Della correlazione tra il supposto minor potere mentale delle femmine e il maggiore successo degli uomini ne abbiamo già parlato e, come si vede, siamo ancora lontani dall’aver realizzato le condizioni per confermare la validità dell’affermazione di Mills.
A dispetto (o in ragione) delle trasformazioni sociali e del progresso scientifico e tecnologico che ci separano dai “nostri”, la questione della disparità e delle differenze tra uomini e donne si è ulteriormente complicata.
L’introduzione del concetto di “genere” aiuta a chiarire ciò che neppure Darwin aveva considerato e cioè che essere biologicamente maschi non significa essere considerati automaticamente uomini.
Lo stesso accade per le donne. Piaccia o no, maschi e femmine sono riconoscibili anche da una serie di elementi culturali che traducono il sesso, dato naturale, in genere. Perché gli individui nascono sì sessuati ma non dotati di genere, che si costruisce secondo tipologie sociali condivise.

Fulvia Signani è autrice de “La salute su misura. Medicina di genere non è medicina delle donne” (Este Edition, 2013). Psicologa e dirigente ASL a Ferrara - già coordinatrice della Rete Città Sane dell’OMS e dal 2001 docente incaricata di Promozione della salute all’Università di Ferrara – definisce la medicina di genere come “un esempio di terza cultura, un ponte tra le due culture della medicina e delle scienze umane, un’interdisciplinarietà resa concreta e i cui contorni sono tutti ancora da esplorare”.  “La medicina di genere – spiega - ha la velleità di sensibilizzare in modo umanistico una disciplina che si considera scienza dell’uomo ma che rischia di farsi prendere dal tecnicismo, omettendo di valutare la persona con le sue specificità”.

Come ha operato sinora la ricerca medica, di base e applicata, e perché si è focalizzata soprattutto sui maschi?
Se dividiamo il percorso di cura nelle sue varie fasi e consideriamo quella della ricerca pre-clinica e clinica, dell’applicazione delle procedure e la fase diagnostica rivolta al paziente, vediamo che ci sono varie problematiche. La prima, fondamentale, è legata alla ricerca clinica e pre-clinica e alla grande difficoltà di un arruolamento delle donne paritetico a quello degli uomini nei trials e nelle sperimentazioni. Fino a pochi decenni fa l’idea era quella che le donne fossero uguali agli uomini e che ciò che si riscontrava su questi ultimi potesse essere adeguato anche per le donne. Poi ci sono stati casi come quello del Talidomide e altre esperienze negative che hanno sconsigliato di coinvolgere le donne nei trials di ricerca a causa delle differenze tra i sessi e le troppe variabilità nelle donne nel tempo – la gravidanza, le differenze ormonali, il ciclo mestruale. E’ chiaro però che le difficoltà non affrontate nelle sperimentazioni si traducono in possibili effetti collaterali indesiderati al momento della somministrazione.
Aver trascurato le donne negli ambiti di ricerca è uno dei problemi fondamentali che vive la medicina quando accetta di applicare un approccio di genere (gender oriented). Capire le differenze tra uomini e donne significa un po’ tornare alle origini della capacità semeiotica [dal greco σημεῖον, semèion, che significa "segno", e da τέχνη, "arte" ndr] di leggere i sintomi. Una capacità che la medicina allopatica [che identifica la malattia dai sintomi della malattia stessa ndr] attuale ha un po’ dimenticato e che rappresenta la grande scommessa della medicina di genere: la sua capacità di diagnosi differenziale. 

Quali sono le difficoltà e i vantaggi di diagnosi differenziali in base al sesso, in una prospettiva attenta al genere?
Se il dolore al plesso solare in una donna è diagnosticato come attacco di panico e in un uomo come infarto, quella è un’interferenza di genere, culturalmente determinata. Mentre la differenza sintomatologica, reale, è una differenza biologica data dal sesso diverso: diverse proporzioni del corpo e di collocazione del cuore. Questo si traduce in un problema di conoscenza: se il sintomo d’infarto per una donna è il mal di schiena nella parte destra alta o dolore alla mandibola e questi non sono sintomi noti, bisogna acculturare sia le persone, futuri possibili pazienti, sia spesso anche i medici, che non è detto li abbiano studiati nel loro percorso universitario. Ora si tratta di capire come acculturare su queste “scoperte”, per lo più note ma sottovalutate in precedenza, e insediare nella pratica di cura questi tipi di attenzione. Dopo che qualcuno ha avuto la buona volontà di mettersi a studiare gli organi in un’ottica di genere, al di là di quelli riproduttivi, abbiamo visto che tutto quello che si pensava fosse uguale è diverso e tutto ciò che si pensava diverso è uguale. L’esempio è quello del tumore alla mammella, dove diagnosi differenziali raffinate hanno verificato che interessa il 4% degli uomini ma soprattutto stanno riscontrando che molti dei tumori nei maschi hanno origine proprio dal tumore alla mammella. C’è necessità di un’azione autoriflessiva della medicina, ma chi ha la forza e la voglia di intraprendere percorsi così difficoltosi?

E’ noto che le malattie sono socialmente determinate, ma non è così scontato sapere che sono determinate anche dall’appartenenza sessuale e dall’orientamento di genere
Nella teoria dei determinanti di salute il sesso-genere, indubbiamente basilare, è quello più trascurato. Tutti capiscono che la deprivazione o le crisi economiche hanno un effetto sulla salute ma è più difficile far capire che è diverso stare bene in salute per i maschi e per le femmine. Probabilmente la medicina di genere è quel giusto passaggio, accessibile, tra quella che può essere una medicina personalizzata e individuale e l’attuale medicina, standardizzata sul fisico del maschio. Almeno una via di mezzo che tenga insieme una serie di variabili che al momento non sono state considerate, un compromesso che possa ridurre il danno delle 'dimenticanze' finora perpetrate. Molte abitudini di pensiero interferiscono anche nella relazione paziente e medico: la donna di solito è più descrittiva, più abituata a parlare dei sintomi a differenza dell’uomo.
Dobbiamo accettare che la medicina va avanti con idee un po’ stereotipate, che in linea di massima funzionano, ma in questo standard dimentichiamo una serie di piccoli dettagli che fanno la differenza. Dalla raccolta dati si rileva che sono di più le donne che muoiono o hanno delle gravi situazioni per reazioni avverse ai farmaci, ma che non è un problema solo delle donne. C’è una ragione se il differenziale di aspettativa di vita tra uomini e donne è di sei sette anni? I dati dell’accesso ai servizi, nella fascia dai 16 ai 65 anni, dicono che gli uomini non frequentano i servizi sanitari: le donne si ammalano di più ma  gli uomini muoiono prima.

L’ETAN (European Technology Assessment Network) ha pubblicato report periodici di statistiche e indicatori sull’equità di genere nella scienza per monitorare la partecipazione delle donne alla ricerca. Dal 2011 lo European Gender Summit ha allestito una piattaforma informatica per favorire il dialogo tra gli scienziati e i decisori della ricerca orientata al genere, per promuovere le migliori strategie di uguaglianza di genere. A che punto siete?
Ho partecipato all’ultimo Gender Summit a Bruxelles e il tema era appunto quello, problematico, dell’accesso delle donne alla ricerca scientifica, basandosi sul presupposto (o pregiudizio) che se una donna fa ricerca riesce a prestare molta più attenzione ai gender bias [pregiudizi di genere ndr]. Poiché abbiamo visto che più le persone progrediscono nella carriera e meno eccellono in sensibilità, siano esse uomini o donne, personalmente credo che la sfida stia nella capacità di formulare quesiti di ricerca sempre più attinenti al genere. E’ un approccio un po’ meno femminista ma forse più pragmatico rispetto a quelle che possono essere le vere utilità. Ci sono stati interventi in questo senso e credo che se ne parlerà al prossimo summit di Bruxelles dove tra l’altro ci sarà la presentazione di una raccolta di buone pratiche. A Novembre invece si terrà a Tel Aviv il convegno mondiale della Medicina di Genere e per la prima volta tra i temi di possibile esposizione della ‘call for abstract’ sono presenti le scienze sociali. Una conferma che la medicina di genere sta accettando la sua specificità di terza cultura.  


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