Una proposta integrata di alfabetizzazione scientifica in linea con le nuove Indicazioni

 

Progetto di formazione ScienzaInRete

 

PREMESSA: La scuola deve decidersi, una volta per tutte, se vuole o meno insegnare "come si produce e come si prova nuovo sapere" (Antiseri, 1999). E mentre si decide, noi studiamo e sperimentiamo i modi migliori possibili per farlo.

 

Indice Introduzione

 

1. Luoghi comuni sulla scienza

2. Modello di educazione scientifica

3. Giochi di investigazione come modello del metodo scientifico (quando i colpevoli non confessano mai)

4. Concetti propedeutici e cicli di apprendimento

5. Corso di formazione Sassari 10/11 settembre 2007  - 3° Circolo Didattico

 

1. LUOGHI COMUNI SULLA SCIENZA

Derivano dalla lettura di giornali, notiziari, interviste agli scienziati e, purtroppo, dai manuali scolastici.

 

 

LUOGHI COMUNI

COMMENTI

1. Dall’osservazione accurata di fatti, eventi, oggetti, consegue la conoscenza scientifica

Mito dell'accesso diretto alla conoscenza.

In realtà ogni osservazione presuppone la scelta di cosa osservare in una selva complessa, quali semplificazioni fare, e queste scelte non possono essere effettuate senza una qualche idea preconcetta, lo stimolo di un'aspettativa. Per esempio Galilei non avrebbe scoperto la legge di caduta dei gravi se non avesse intuito che l'aria aveva solo il ruolo disturbatore di un comportamento regolare.

2. Una raccolta di descrizioni, osservazioni e misure riguardanti una categoria di eventi e oggetti costituisce di per sé conoscenza scientifica

Mito dello scienziato come collezionista diligente e paziente. Una simile raccolta, di per sé, può al massimo costituire conoscenza popolare (se è di una qualche utilità). In realtà, senza una rete di concetti e principi o senza inventare criteri di classificazione espliciti, è difficile anche realizzare delle osservazioni, assegnare loro un senso e men che meno, senza una teoria è difficile comprendere come queste siano correlate e come possano non sembrare arbitrarie.

Per esempio si possono osservare centinaia di farfalle e bruchi diversi, registrare il tipo di piante di cui si nutrono, gli animali da cui sono predati, ecc., senza mai essere in grado di ripondere alla domanda "perché le farfalle sono diverse le une dalle altre?" in assenza di una teoria che le farfalle sono generate dai bruchi. Charles Darwin scrisse "essere un buon osservatore significa in realtà essere un buon teorico".

3. La conoscenza, le teorie, i principi, nascono spontaneamente dalla meraviglia e dall'estasi dell'osservazione abbandonata (priva di ipotesi di fondo) della bellezza del creato, che si sviluppa poi in una pura e disinteressata descrizione, abbastanza accurata e ricca, tale cioè da consentire di rimandare ogni interpretazione e invenzione teorica ad una fase successiva.

Mito romantico dell'osservazione pura e disinteressata.

Ancora oggi si dice in classe e in laboratorio: "Osservate, descrivete e registrate tutto ciò che vedete e sentite", e questa viene considerata scienza. Questo mito, residuo dell'induttivismo duro a morire, coincide in sostanza col precedente, ed è negativo per i motivi già detti. Ma qui vogliamo evidenziare alcune sue conseguenze nefaste per la pedagogia del metodo scientifico. Come scritto nella premessa, è urgente attivare nella scuola la ricerca su come si insegna a costruire nuova conoscenza, indipendentemente dal fatto che non tutti i cittadini saranno scienziati teorici. Dal momento che l'epistemologia della scienza non abita nella formazione all'insegnamento, nessun insegnante conosce indicazioni teoriche, o tanto meno pratiche, per realizzare questo obiettivo, che è oltre tutto molto complesso, specie nel contesto attuale. Il risultato è questo mito romantico secondo cui tutta la scienza si fonda sull'osservazione pura (chi non ricorda il testo "osservazioni scientifiche" delle medie?), mito che semplifica, indubbiamente, il compito deontologico dell'insegnante di scienze e, inoltre, gli permette di dimostrare, senza sforzo, una sostanziale identità di attitudini e requisiti rispetto ai linguaggi espressivi delle arti e delle forme di conoscenza contemplativa. In questo modo si dimostra che la scienza è abbordabile come disciplina umanistica, ma si cancellano le sue specificità metodologiche e anche le difficoltà connesse alla costruzione della conoscenza scientifica. Si passa da qui direttamente a documentare le leggi e le teorie che altri avrebbero edificato su tali descrizioni degli studenti (di fatto piene di termini scientifici forzati dall'insegnante, pur nella pretesa assenza di preconcetti).

4. Il progresso scientifico si può verificare solo attraverso la capacità (data dalla tecnologia o dall’inventiva umana) di effettuare osservazioni mai fatte in precedenza

Mito dello scienziato esploratore-pioniere.

Anche se a volte nuovi problemi e soluzioni scientifiche sono state generate da prime osservazioni su territori vergini, c'è da riconoscere che un'osservazione in sé non può raggiungere lo status di problema-domanda, se essa non si confronta con conoscenze già acquisite, da cui si possano generare aspettative deluse. E in assenza di un problema-domanda non si avvia il processo di costruzione di nuova conoscenza. In realtà, spesso accade che nuove conoscenze scientifiche si costruiscano rispondendo a domande rimaste aperte, basandosi su osservazioni preesistenti con nuovi punti di vista, o riconoscendo la presenza di problemi, che erano precedentemente sfuggiti, in settori che si consideravano già esplorati.

5. La scienza è in grado di fornire risposte esatte ed esaustive alle domande sul comportamento dei sistemi, partendo dalla conoscenza dettagliata di tali sistemi

Mito dell'infallibilità.

La conoscenza dettagliata di un sistema non è sufficiente per ricavare risposte sul suo comportamento più di quanto non possa farlo una serie di radiografie complete di un'articolazione ossea, senza una teoria fisiologica e altre conoscenze anatomiche.  La scienza fornisce risposte verificabili su un sistema se si è in possesso di una teoria su di esso. Le teorie sono tali solo se falsificabili (controllabili). Quanto più la domanda si allontana dagli stessi fenomeni da cui si è partiti per costruire e controllare la teoria, tanto più aumenta la possibilità che le previsioni siano errate o insufficienti. In altre parole le risposte della scienza sono o banali (perché riproduzioni di quanto già sperimentato) o solo probabili. Eppure ancora si sente parlare di "verità scientifica".

6. La complessità e la difficoltà delle spiegazioni scientifiche derivano dal fare riferimento ad oggetti e concetti che sono fuori dall’esperienza quotidiana e dall’utilizzo rigoroso di procedimenti logici e simbologie astruse. Gli scienziati, e non la gente comune, possono fare scoperte scientifiche perché hanno una conoscenza più diretta di tali oggetti e maggiore competenza nei procedimenti logici necessari

Mito del tecnicismo e dell'astrusità + mito dell'assenza di creatività.

È vero che molta (se non tutta) la scienza moderna parla di oggetti non esperiti quotidianamente e utilizza concetti e linguaggi matematici spesso complicati. Ma è falso che lo scienziato ragioni come una specie di computer. Dati e processi sono manipolati in maniera creativa nella sua immaginazione (che è lo stesso tipo di immaginazione di qualsiasi altra persona, dai bambini agli adulti, in particolare per i primi), e da soli non sarebbero mai sufficienti, anche se messi nella macchina logica più potente del mondo, a elaborare nuove idee e teorie. In realtà gli scienziati non elaborano, ma "incappano" all'improvviso, o credono, in ipotesi ardite, intuiscono, sognano e ne ricavano idee, a volte simili a divinazioni, più spesso semplici errori. Non è affatto un metodo logico quello usato per avere idee nuove, come confermato dall'imprevedibilità delle creazioni scientifiche. Si tratta in realtà di un processo speculativo, con un forte componente avventurosa.

7. Il motore primo della scienza, e al tempo stesso la testimonianza del suo progresso e il suo valore per l’uomo, consistono nell’obiettivo – realizzazione di nuove applicazioni

Mito dell'identificazione della tecnologia con la scienza, distante dall'uomo, pur antipatica, ma necessaria al progresso delle civiltà.

È una delle più superficiali percezioni della scienza (veicolata soprattutto dall'economia dei consumi: il consumatore non deve sapere quali conoscenze scientifiche conducano alle nuove applicazioni, deve limitarsi a utilizzarle). Tra le opinioni diffuse (in realtà si tratta più di deprivazione culturale che di opinione), questa è probabilmente quella con le peggiori conseguenze, poiché conduce ad una grave spaccatura e alla cultura del sospetto, tra "utenti della scienza", diffidenti, e il settore della ricerca applicata, identificato con la scienza stessa, e anche al disconoscimento della scienza teorica. Questa anticultura non può ri-conoscere il ruolo costruttivo della ricerca scientifica cosidetta "di base", in gran misura avente una "storia propria", su scale di tempo secolari e sganciata dalle (potenziali) applicazioni. Il motore della scienza di base è la ricerca di risposte e soluzioni a interrogativi e problemi sul funzionamento della natura. Una cosa che non interessa quasi nessuno; tuttavia, specialmente nell'era moderna, le applicazioni tecnologiche sono sempre state conseguenti al perfezionamento delle conoscenze o teorie sul funzionamento della natura, e tutto fa pensare che sarà sempre così anche in futuro.

È estremamente grave sottovalutare o trascurare la ricerca sui fondamenti della natura, attività che impone in chi la pratica l'adozione della metodologia scientifica, l'atto creativo dell'ipotesi, la ricerca dell'errore, l'antidogmatismo per eccellenza, l'indipendenza di pensiero e l'affinamento delle capacità critiche. Tutto ciò dovrebbe essere considerata una delle finalità primarie dell'umanità, come impresa collettiva, auspicio comune e, anche se non praticata da tutti, conosciuta, sostenuta e imitata in tutti i settori dove siano benefici l'antidogmatismo, la creatività e l'indipendenza di pensiero.

 

8. A scuola si deve insegnare la scienza soprattutto perché la società ne è permeata e non si può avere piena e consapevole cittadinanza senza cultura scientifica

Carenza formativa. 

Il nobile obiettivo della piena e consapevole cittadinanza richiede lo sviluppo del pensiero critico. Se per "cultura scientifica" si intende la trasmissione di tutte le conoscenze e teorie importanti della scienza, che saranno opportunamente ripetute ed esemplificate da esercizi e qualche conferma in laboratorio, non avremo raggiunto l'obiettivo né avremo fatto assimilare la cultura scientifica. Non più di quanto si possa acquisire la cultura basca visitando un sito internet o leggendo un libro su tale argomento. La metodologia scientifica è un saper fare e saper essere acquisibili solo praticando la risoluzione di problemi autentici e non, ad esempio, imparando un decalogo all'inizio di un manuale. In mancanza di tale tirocinio pratico, come avviene nella stragrande maggioranza dei casi, le qualità utili come il pensiero critico, l'immaginazione, l'indipendenza di pensiero, ad esso legate, potranno essere acquisite solo per altre vie, rinunciando al potenziale formativo insito nella vera e completa educazione alla scienza.

 

 

 

2. MODELLO DI EDUCAZIONE SCIENTIFICA 

Questi principali luoghi comuni e pregiudizi negano o trascurano proprio gli aspetti più rilevanti e caratterizzanti della scienza, compatibili con l'etica umana: l'impresa - o avventura - conoscitiva che parte dall'emergere di una domanda o un problema, richiede la creatività e il coraggio  della formulazione di ipotesi e teorie ardite e (dal momento che nessuno conosce le risposte) l'assunzione del rischio legato al sottoporre le teorie a tutti i controlli possibili, l'onestà di riconoscere la loro eventuale falsità, (indipendentemente da dogmi e pregiudizi), la perseveranza nel ripartire dall'errore per immaginare nuove idee.

Se i luoghi comuni appena visti rispecchiano il sentire comune, anche di chi ha ricevuto una formazione scientifica o tecnologica di primo livello, non ci meraviglia il fatto che a scuola queste concezioni si sviluppino autonomamente e si perpetuino facendo  da sfondo alla massa di sapere enciclopedico e risposte a domande che nessuno si è mai posto.

 

Infatti, in aggiunta alle gravi lacune del modello di educazione scientifica corrente, c'è da dire che esso non permette neanche di rispondere alla domanda "che cosa è la scienza?", lasciando di fatto campo libero all'assimilazione, incontrastata e inconsapevole, dei preconcetti e dei luoghi comuni negli studenti e contribuendo a formare la loro unica opinione consapevole: "la scienza è ciò che ci viene insegnato nella materia scienze".

  

In realtà i bambini di prima elementare dimostrano una percezione meno negativa e meno limitata della scienza, come abbiamo riscontrato intervistando una classe ad inizio d'anno, e prima di avviare il percorso di alfabetizzazione scientifica

http://www.scienzainrete.it/Investigazioni/15_02_7_BARATTOLINI/report_15_2_barattolino.htm

Qualcosa ci dice che queste loro intuizioni siano in qualche modo tradite dall'esperienza scolastica successiva.

 

L'esempio seguente vuol chiarire che per metodologia scientifica non si intende qualcosa di estremamente complesso e di improponibile per i bambini, anche se indubbiamente si tratta di qualcosa che è, in larga parte, nuovo.

 

Sono stato dal ciclista per una riparazione ed ho assistito alla consegna di una bicicletta ad una bambina. La madre chiedeva tutti i dettagli sulla funzione di ogni leva, per cambiare i rapporti ecc., ripetendo ciò che aveva inteso, per farne tesoro, come per garantirsi di poter fornire istruzioni dettagliate e successive alla figlia che, tra l'altro era presente ed ascoltava, ma affidava alla madre tutta l'"indagine conoscitiva".

Questo è un esempio di occasione perduta per fare esperienza di metodologia scientifica.  Scrive infatti Popper: "La mia concezione del metodo della scienza è semplicemente questa: esso sistematizza il metodo prescientifico dell'imparare dai nostri errori; lo sistematizza grazie allo strumento che si chiama discussione critica. Tutta la mia concezione del metodo scientifico si può riassumere dicendo che esso consiste in questi tre passi:

1) inciampiamo in qualche problema;

2) tentiamo di risolverlo, ad esempio, proponendo qualche nuova teoria;

3) impariamo dai nostri sbagli, specialmente quelli emersi dalla discussione critica dei nostri tentativi di risoluzione. In tre parole: problemi, teorie, critiche."

 

I bambini sono infatti naturalmente predisposti alla risoluzione scientifica dei problemi, cioè per tentativi ed errori, e facendolo acquisiscono fiducia nella propria capacità immaginativa, imparano ad educare la loro immaginazione, sovrapponendola alla realtà, a compiere speculazioni controllate, ad avere il gusto della scoperta autonoma. E oltre tutto sono anche liberi di dare ad ogni nuova avventura, con parole, cose e idee, la colorazione affettiva che essi preferiscono, apprezzandone anche la bellezza.

La visione razionalista di Popper non è in conflitto con quella di Simone Weil "La Scienza è lo studio della bellezza del mondo" (G. Fiori, "Simone Weil, biografia di un pensiero", Garzanti, 2006)

 

Anche Dario Antiseri (Didattica delle scienze, 2ª ed. Armando 1999), con spirito popperiano, suggerisce di trovare modi per far inciampare gli allievi sui problemi, facendo sì che essi esercitino su questi la fantasia e l'acume critico. "Nelle elementari e ancora nella media quel che spesso si fa non è ricerca, ma ricerchismo: fai una ricerca sul Nilo, fai una ricerca sullo scopritore del motore a vapore. Ma ci potrebbero essere domande più interessanti: a che serve il fiume della tua valle? O ancora perché piove? Perché gela? Perché le piante vogliono la luce? Perché la pentola bolle? Perché l'uovo diventa sodo? Perché dopo l'estate viene l'autunno e poi il freddo dell'inverno? E come mai c'è il giorno e la notte? Perché da noi non vivono gli elefanti? Perché certi uccelli sono tanto variopinti e altri no? Perché ci sono montagne a punta e altre piatte? Perché il nonno ha i capelli bianchi e il babbo no? Perché certe erbe sono velenose e altre no? Come mai il gatto ruba la carne e le galline non la rubano? E perché la cavalletta ha il colore dell'albero in cui si trova?".

Trattandosi di "ricerche" non abbiamo difficoltà ad accettare di movimentare la didattica con simili indagini che richiederebbero di affondare le mani nelle discipline, dal momento che tali problemi, e le spiegazioni elementari che frutterebbero dalla ricerca, sarebbero comprensibili dai bambini e dai ragazzi anche senza dover sviscerare intere tematiche.

Non vorremmo però correre il rischio di assumere tali ricerche come pretesti per iniziare un tema in modo brillante, per poi passare a srotolare tutta la tematica incuranti dei processi ipotetici e di ricerca che l'allievo ha o non ha attivato nella sua indagine.

La vera motivazione, riteniamo, ha tempi lunghi e si costruisce se l'allievo è coinvolto cognitivamente e affettivamente nei problemi su cui inciampa (o lo facciamo inciampare), ed egli lo sarà nella misura in cui sarà capace di venirne a capo attraverso una indagine interpretativa personale, e non intervistando esperti o leggendo fonti autorevoli. Ma ciò che ci preoccupa maggiormente è il fatto che i bambini - ragazzi dovrebbero affrontare ricerche di questo tipo senza aver mai acquisito il necessario habitus metodologico.

Se vogliamo che l'allievo impari a costruire conoscenze nuove, che provi soprattutto 

l'emozione di risolvere un problema grazie alla propria immaginazione creativa e non tramite l'applicazione di una regola data, egli dovrà esercitarsi a farlo su problemi autentici (la cui soluzione non può essere chiesta o ricavata da un'enciclopedia per ragazzi); questi problemi autentici raramente saranno gli stessi che lo interessano e che hanno richiesto secoli di sviluppo culturale per essere risolti (o che ancora non lo sono!)

La strategia da noi proposta prevede pertanto che i problemi su cui inciampare, le attività o i giochi di investigazione, siano costruiti "ad hoc" (se vogliamo "artificialmente", ma preferiremmo definirli "su misura per le loro possibilità"), senza vincolarli ai temi disciplinari. Solo in questa maniera si potranno garantire la sistematicità e l'intenzionalità necessarie a un percorso formativo specificamente dedicato al metodo scientifico.

I giochi di investigazione proposti finora prevedono che si ipotizzi, sulla base di esperimenti, il contenuto di recipienti o sistemi chiusi, che si elaborino teorie per spiegare il funzionamento di meccanismi nascosti, che si ipotizzino e controllino sperimentalmente algoritmi di trasformazione di blocchi logici o di numeri. A differenza dei percorsi sui concetti propedeutici, sulla sperimentazione di tali giochi abbiamo solo valutazioni limitate ad alcune classi e per alcuni mesi dell'anno e, anche se molto incoraggianti, tali risultati devono essere messi alla prova con sperimentazioni più sistematiche e pluriennali.

Oltre al sito www.sceinzainrete.it, una buona descrizione di tale sperimentazione è reperibile sulla rivista online www.scienceinschool.org, tradotta in italiano alle due pagine:

http://www.scienceinschool.org/2006/issue1/play/italian ;

http://www.scienceinschool.org/2006/issue2/play/italian.

 

Occorre dunque articolare almeno due diversi aspetti fondamentali in un modello di educazione scientifica completo ed efficace:

1. acquisizione della metodologia scientifica (saper agire come uno scienziato)

2. acquisizione di conoscenze scientifiche fondamentali (fatti, dati, principi, leggi, teorie) per saper leggere la realtà e applicare tali conoscenze secondo i diversi saperi disciplinari (conoscenze universali e competenze relativamente esperte)

 

In realtà vi sarebbero altri elementi determinanti per il successo formativo, cioè quello affettivo e quello sociale. Ma non riteniamo di doverli trattare come componenti distinte del modello, poiché, come vedremo, il coinvolgimento affettivo e la costruzione sociale della conoscenza possono essere prodotti della pratica didattica per l'acquisizione della metodologia scientifica, anziché prerequisiti.

 

Nel sistema educativo italiano l'insegnamento della metodologia scientifica non trova applicazione sistematica, intenzionale e prolungata in nessun curriculum formativo.

 

Eppure il Quadro di Riferimento P.I.S.A. per la Literacy Scientifica (2006) assegna il peso dovuto alla scienza in quanto metodo: "...

ciò che occorre è un certo grado di conoscenza della scienza in quanto metodo, cioè in quanto processo che produce conoscenza e che propone spiegazioni sulla natura." E, più avanti: "...comprensione degli aspetti distintivi della scienza intesa come forma di sapere e di indagine...", e "...comprensione dei processi attraverso i quali gli scienziati ricavano i propri dati e propongono le proprie spiegazioni...la natura congetturale delle ipotesi scientifiche, la disposizione a rivedere sempre in modo critico i risultati...".

 

Pertanto, la novità principale del modello da noi proposto consiste in un percorso di pratica diretta del metodo scientifico attraverso attività (giochi) investigative, adeguate alle possibilità degli allievi della primaria.

Questa ipotesi di lavoro risulta innovativa anche alla luce delle recenti "Nuove Indicazioni" dove, purtroppo, i vaghi e sparsi accenni al processo di costruzione della conoscenza scientifica, e la carenza di un quadro epistempologico adeguato alla pretesa costruzione di una macro-area comprendente matematica, scienze e tecnologie, non bastano a riconoscere il metodo scientifico, la sua peculiarità e universalità.

La scuola di base dovrebbe invece dare la massima priorità del blocco metodologico, mentre le teorie della scienza e le conoscenze scientifiche più importanti sarebbero insegnate nella secondaria. Nella scuola secondaria di primo grado, in perfetta continuità con l'esercizio del metodo scientifico, si introdurrebbero le prime teorie (modello particellare della materia, modello di vivente, ecc.), attraverso problemi ad hoc, per proseguire con conoscenze più strettamente disciplinari nella secondaria di 2° grado ma, in tutti i casi, procedendo con un approccio storico-critico, che parta da situazioni problematiche, e non trasmettendo, come accade attualmente, le conclusioni e le concezioni "finali" della scienza moderna, in maniera decontestualizzata, come risposte a domande mai fatte.

 

Tornando al percorso della scuola primaria, che è quello di cui ci occupiamo specificamente, esso è accompagnato da cicli di apprendimento finalizzati alla padronanza di alcuni concetti propedeutici a tutte le discipline scientifiche: i concetti di oggetto, proprietà, materiale, interazione, sistema e sottosistema, variabile, energia.

La valenza propedeutica di tale bagaglio di concettualizzazione a livello semantico è testimoniato e si giustifica sulla base delle esperienze già realizzate in scuole dove la programmazione di scienze tradizionale è stata completamente sostituita dal percorso di alfabetizzazione su tutti i cicli della primaria per più anni consecutivi.

Per quanto riguarda la formazione primaria, pertanto, l'approccio è a-disciplinare, centrato sul metodo scientifico e su altri elementi di propedeuticità (concetti propedeutici, science process skills).

 

3. Giochi di investigazione come modello del metodo scientifico (quando i colpevoli non confessano mai)

Per poter apprendere i fondamenti della metodologia della scienza, i bambini non possono attingere da problemi scientifici affrontati correntemente da ricercatori di una o più discipline, come la ricerca di fonti di energia alternative, la comprensione dei mutamenti climatici o l'evoluzione della vita. Questi temi sono eventualmente soggetti di "ricerchismo" a scuola.

La caratteristica dell'autenticità delle investigazioni, proposte sotto forma di giochi, può essere meglio garantita se i problemi sono artificialmente disegnati per essere abbordabili da bambini, dalla prima alla quinta elementare. Cosa si intende per "problema autentico"? Un problema sperimentale è autentico quando l'insegnante, al pari degli alunni, non conosce la soluzione. In tal caso il ruolo dell'insegnante non può essere quello di orientare l'indagine dei bambini verso la "pista giusta" poiché egli non sa quale essa sia. L'insegnante può semplicemente condividere con i gruppi di bambini, come coordinatore o stimolatore, il percorso di investigazione.

Il percorso di investigazione prevede tipicamente fasi di: 

 

1. Esplorazione del sistema: in esso c'è sempre qualcosa che incuriosisce (spesso il problema diventa evidente e definibile solo in questa fase, anche se esso viene enunciato prima della manipolazione).

Questa fase di esplorazione non deve essere confusa con la prima parte del ciclo di apprendimento di Karplus, corrispondente grosso modo ad un'opportunità di compiere osservazioni in modo guidato, ma senza l'emergenza attesa di un problema. Da questa esplorazione nasce quel particolare tipo di osservazione che è utile allo sviluppo della scienza, che è l'osservazione sotto ipotesi: "come funziona?", "come faccio a prevedere il comportamento di questo oggetto?" ecc., in contrasto alla "osservazione pura e disinteressata", quando non puramente estatica, che ancora oggi si insegna nelle nostre scuole. Infatti non si dà osservazione scientifica senza alcun fine, senza domande e aspettative, nella convinzione errata che, essendo la descrizione abbastanza ricca e accurata, essa riesca a "salvare (registrare) tutte le evidenze possibili" e permetta così di rinviare l'interpretazione e la rilevazione dei problemi ad una fase successiva.

 

2. Formulazione di svariate ipotesi di soluzione al problema formulato. All'inizio i bambini tendono a proporre ipotesi che consideriamo "fantasiose" (*). Questo è un punto delicato: non dobbiamo considerarle assurde, ma semplicemente chiedere al bambino di raccontarcele meglio. Non di rado da idee apparentemente improbabili si trae lo spunto per qualcosa di valido.

Non esiste un criterio "scientifico" o "logico" per distinguere ipotesi buone da ipotesi assurde. Sono entrambe frutto dell'immaginazione creativa. In tal caso il fattore discriminante è "quanto si creda" nelle ipotesi che si fanno. E ci si crede maggiormente nella misura in cui gli altri bambini e l'insegnante ci credono.

L'insegnante può anche aiutare il bambino a ideare un modo sperimentale per controllare l'ipotesi (**). Se il riscontro fallisce il bambino sarà incoraggiato a formulare altre ipotesi che, con ogni probabilità saranno più aderenti alle evidenze. Se invece non è possibile realizzare una prova di verifica, l'ipotesi sarà accantonata come "non controllabile". In questo modo si fa sì che i bambini imparino da soli a escogitare ipotesi credibili senza limitare, anzi rinforzando la loro immaginazione.

 

3. Controllo delle ipotesi. A volte un'ipotesi include anche un criterio esplicito (ed indipendente da quanto già noto) per la sua verifica. Ma più spesso occorre ragionarci sopra, per dedurre una conseguenza verificabile dell'ipotesi o teoria. In ogni caso si deve riuscire a compiere una tale previsione indipendente, che sia, cioè, diversa da quando sperimentato nella fase esplorativa del problema, e che sia potenzialmente accertabile. Tra le conseguenze previste possono rientrare anche alcuni dettagli già osservati in precedenza, che non avevano avuto alcun ruolo nella formulazione dell'ipotesi teorica. Le diverse ipotesi concorrenti in genere rispondono in modo molto diverso al primo processo di verifica.

 

4. Conferma. A questo punto potremmo avere soltanto una congettura verificata, che è pur sempre un'ipotesi, o più ipotesi equivalenti e concorrenti. Prima di poter affermare che le spiegazioni, le teorie, o le ipotesi siano valide, occorre sottoporle ad ulteriori verifiche indipendenti. In questa fase accade spesso che le ipotesi siano migliorate o meglio specificate.

 

La conclusione positiva di questo processo indiziario è che abbiamo almeno una teoria migliore di altre che avrebbe cioè vinto la competizione superando la critica basata sulle prove sperimentali - cioè l'essenza del metodo scientifico.

Non è una vera conclusione, poiché la teoria selezionata può essere sempre rimessa in discussione per l'emergere di nuove idee o a causa dell'apporto di nuove evidenze, ed essere a sua volta superata da nuove teorie.

 

Per poter essere contenuta nell'ambito dell'unità didattica, questa idealizzazione del processo di indagine scientifica presuppone che si affrontino problemi teorici sufficientemente complessi, specialmente per attivare l'ultima fase del superamento tramite nuove teorie. 

I giochi di investigazione proposti, invece, singolarmente coprono solo una parte di questo processo. Ma realizzandoli con sistematicità si potrà fare un tirocinio completo sulla metodologia.(***)

 

Come i concetti disciplinari e i concetti propedeutici (proposti nella sezione successiva), anche l'esperienza metodologica richiede generalizzazioni per divenire formativa. I nomi di questi concetti e princìpi generali dovranno entrare in uso nel linguaggio dei bambini, se vogliamo che il metodo scientifico giunga al livello della consapevolezza e dell'abitudine. 

Alcune di tali generalizzazioni sono già emerse: esplorazione, osservazione, ipotesi o teoria, controllo, previsione, conferma, revisione. È importante che tali termini siano utilizzati ripetutamente dall'insegnante e dai bambini per marcare le corrispondenti attività, durante il loro svolgimento e anche nella verbalizzazione seguente.

Altre generalizzazioni specifiche potranno essere esplicitate ogni volta che i bambini sceglieranno particolari strategie o criteri per ordinare i dati, per disegnare le ipotesi, semplificare il lavoro di verifica delle ipotesi, per dividersi il lavoro nei gruppi, ecc.

L'occhio dell'insegnante deve essere sempre aperto per cogliere opportunità di compiere generalizzazioni, basandosi sull'osservazione dell'operato dei bambini, stimolandoli anche a compiere comparazioni tra quanto fatto in esperienze diverse.

I principi generali devono essere sempre trascritti sul quaderno delle investigazioni, possibilmente con un nome (es. "criterio dell'ipotesi più semplice") in un apposito elenco e ogni volta che sarà possibile-pertinente si dovranno rievocare. È molto importante tenere uno storico condiviso di tutta la comunità di apprendimento che "inventa" il metodo scientifico.

 

(*) Non sono solamente i bambini che compiono ipotesi "fantasiose", antropomorfe o "animiste". La storia della scienza è zeppa di tali ipotesi. Un esempio è costituito dall'"horror vacui". Anticamente (fino al dopo Galilei) si spiegava il fatto che, sollevando un pistone, un liquido potesse essere "aspirato", sulla base della teoria che la natura avesse paura del vuoto e provvedesse, quindi, a colmare il vuoto creato sotto al pistone attirando in esso il liquido.

(**) La smentita di un'ipotesi fantasiosa o "magica" è, dal punto di vista logico, un'impresa impossibile e certamente differente dal controllo di un'ipotesi metodologicamente corretta (tale cioè che, anticipando una previsione, contempli il "rischio" di essere errata), in quanto l'ipotesi fantasiosa è non solo fatta "ad hoc", ma può essere ricorsivamente riaggiustata con opportune assunzioni (ipotesi accessorie) successive, che consentano di mantenerla in piedi a dispetto di qualunque evidenza contraria. In base alla teoria di Torricelli, il liquido era pressato verso l'alto dal peso dell'aria, e non risucchiato a colmare lo spazio vuoto da una fobia della natura. Per controllare tale ipotesi Pascal prevedette che, salendo in alta quota, dove l'aria è più rarefatta, l'altezza della colonna liquida si sarebbe dovuta ridurre. Egli riscontrò questa previsione, ma - in linea di principio - la teoria dell'horror vacui poteva essere comunque "salvata", "comprendendo" che la paura del vuoto non fosse costante, ma decrescesse gradualmente all'aumentare della quota. La differenza tra il comportamento dei bambini e quello degli scienziati scadenti, è che i secondi sposano una teoria e introducono ipotesi ad hoc ad oltranza, appositamente per difenderla, mentre i bambini, nella loro onestà intellettuale, forniscono spiegazioni "magiche" per il puro piacere di farlo, spesso anche poco finalizzate alla soluzione del problema. In questo caso, se si spinge la loro rappresentazione a conseguenze comunque osservabili e se tali conseguenze, come ovvio, non saranno riscontrate, non sarà tanto complicato far sì che il bambino rinunci alla propria teoria, ma il far sì che egli la rielabori in modo da tenerla ben focalizzata e definita, quindi suscettibile di controllo logico, prima che la sostituisca con altre ipotesi altrettanto fantasiose e indefinite. Solo in questo modo potremo sperare che in seguito compirà ipotesi più finalizzate all'interpretazione delle evidenze e più legate a un problema dato.

(***) In relazione al fatto che l'attenzione dei bambini ha breve durata, l'incompletezza delle investigazioni proposte, rispetto ai 4 punti, può essere considerato un aspetto necessario e un vantaggio. C'è da dire che, visto globalmente, il metodo scientifico, non è connaturato nel comportamento "normale" dei bambini, ma è una "forma mentis" da costruire sui tempi lunghi. I bambini sono spesso più curiosi e più immaginativi degli adulti, ma anche meno perseveranti e molto meno orientati al pensiero logico. Per queste ragioni può venire meno la motivazione a indagare per arrivare alla "soluzione del caso" e i bambini si possono stancare. Occorra allora saper dosare e alternare le attività investigative, dare ad esse il tempo necessario per far sentire ai bambini che tali investigazioni insegnano loro qualcosa, che esse sono indagini nel vero senso della parola e non giochi di poco conto. Sottolineare quando si incontra un caso difficile, nuovo, ritornarci a distanza di tempo per rivedere come si sia riusciti a risolverlo ugualmente; insomma, capitalizzare il sentimento di competenza, il gusto per il nuovo e il complesso. Sono anche questi compiti fondamentali dell'insegnante di metodologia della scienza.

4. Metodologia per la didattica dei concetti propedeutici: oggetto, proprietà, materiale, interazione, sistema e sottosistema, variabile, energia

La nostra scelta di concetti generali, propedeutici a tutte le discipline scientifiche, o "organizzatori cognitivi" è coerente con le "nuove Indicazioni" e, ciò che più conta, ha una lunga storia di sperimentazioni di durata pluriennale (vedere, ad esempio, http://members.xoom.alice.it/SuperSeT/), in classi sperimentali (vedi es.

2005/2006                 http://www.elementarebernalda.net/public/sir.htm

2004/05                       http://www.scienzainrete.it/esp_04_05.htm

2002/03                      http://www.elementarebernalda.net/SET/paroleclassi2003.htm 

2001/02 - 2002/03    http://www.elementarebernalda.net/SET/scienze.htm

 

La maggior parte di questi concetti organizzatori può essere fatta risalire alle geniali intuizioni di Robert Karplus, ideatore del programma di alfabetizzazione scientifica SCIS, che ebbe una larga diffusione tra gli anni 60 e 80 negli Stati Uniti.

La conversazione clinica (di qui in avanti CC, dalla Didattica per Concetti di Elio Damiano) è fondamentale in ogni caso in cui si voglia arrivare a una definizione e scoperta di un concetto, ma va posta e finalizzata in modo differente nell'ambito dei cicli di apprendimento (di Robert Karplus, esplorazione, invenzione, scoperta, che chiameremo CK), a seconda che il termine sia già in uso, anche se solo in modo marginale (es. oggetto, proprietà - termine  appreso in ambito logico-matematico -, materiale, energia), oppure se il suo significato e rispettivo termine devono essere costruiti ex novo (interazione, sistema-sottosistema, variabile).

 

Nel primo caso il termine potrà essere introdotto e usato fin da subito e potremo attivare la CC prima  e/o durante l'attività di esplorazione.

La CC in questo caso potrà servire per accertare le preconoscenze, orientando così l'organizzazione e gli obiettivi da dare all'esplorazione. Avendo già la classe una conoscenza del termine, la fase di invenzione del CK sarà sostituita dalla negoziazione di una definizione condivisa, anche se provvisoria, per quel concetto, tramite domande e ascolto reciproco; quindi le esperienze successive, relative alla "scoperta" del concetto, serviranno alla rievocazione in contesti diversi del concetto elaborato dai bambini, al mettere in evidenza aspetti critici, affinare e differenziare le loro concezioni (blocchi critico e sistematico della didattica per concetti *).

 

Nel secondo caso le tre fasi del CK saranno ben distinte e la conversazione clinica sarà successiva alla invenzione (introduzione) del concetto. La progettazione didattica delle esperienze successive terrà conto di quanto emerso nella CC **)

 

Per gli altri dettagli riguardanti la metodologia di Karplus, vedere il progetto precedente (del quale questo documento costituisce la revisione)

 

* Nel blocco critico si cerca di destabilizzare le concezioni errate dei bambini, emerse durante le precedenti fasi, tramite scelta opportuna di attività sperimentali che mettano in evidenza gli aspetti critici delle concezioni stesse. Nel blocco sistematico si progettano le attività al fine di sistematizzare la concettualizzazione, tramite differenziazioni del concetto principale e di raccordi tra diversi concetti a questo correlati. I due blocchi sono in genere preceduti dal blocco dell'esplorazione, in cui si realizza una sistemazione provvisoria dei dati raccolti  durante l'esplorazione del concetto. Nella progettazione della didattica per concetti, questi tre blocchi possono anche essere molto diversi per tipologia e numero dalla sequenza qui descritta, in funzione alle caratteristiche specifiche del concetto e del risultato della conversazione clinica.

 

** La CC è finalizzata alla conoscenza e alla presa d'atto degli schemi di assimilazione, delle conoscenze spontanee già costruite dagli alunni, e non al cambiamento delle concezioni dei bambini. Non ha importanza, ai fini del dover tener conto delle preconoscenze degli allievi, se queste sono state acquisite durante l'unità didattica (come nel caso di un concetto nuovo) o molto tempo prima.