Giacomo Leopardi e la chimica

Pubblicato il 02/05/2011Tempo di lettura: 4 mins

In occasione dell’anno mondiale della chimica e del 150° dell’Unità d’Italia mi pare opportuno ricostruire e riflettere sul ruolo assunto dalla chimica nella determinazione di una cultura nazionale moderna. Ricordo con Alessandro Volpi che la chimica era divenuta nel primo Ottocento «un paradigma generale piuttosto che una specificità settoriale». Giacomo Leopardi interpreta in modo del tutto originale tale ruolo culturale della chimica, non soltanto mostrando un interesse attestato fin dai primi studi giovanili, ma ponendo alcuni tasselli di una filosofia chimico-fisica che confluirà nella più complessa e matura filosofia della natura e trasparirà fino alle ultime composizioni poetiche e letterarie. Concetti come quelli di “ragione analitica”, “sostanza semplice”, “trasformazione” e la visione de «li continui rivolgimenti della materia» (Frammento aprocrifo di Stratone di Lampsaco) sono aspetti tanto centrali nella filosofia leopardiana della natura, quanto tipici della filosofia chimica, quale viene a delinearsi dopo la svolta prodotta da Antoine-Laurent Lavoisier, che il giovane Leopardi studia e comprende fin dagli anni delle Dissertazioni filosofiche (1811-12). Alla lettura dei volumi chimici presenti nella Biblioteca paterna Leopardi aggiungerà nella maturità la frequentazione di chimici che ebbero un peso non soltanto nel suo pensiero, ma anche nella sua vita affettiva: Domenico Paoli, Francesco Orioli e Gaetano Cioni.

Per rendere adeguatamente conto dell’intimo rapporto di Leopardi con la chimica divido questo mio intervento in tre parti: la prima richiamerà sommariamente qualche tratto della formazione chimica leopardiana, la seconda si soffermerà sulla riflessione matura di Leopardi e la terza presenterà le affinità elettive di Leopardi con gli “amici chimici”.

La formazione chimica leopardiana

La disposizione del giovane Leopardi verso la chimica fu resa possibile dalla fornitissima biblioteca di Monaldo, che offriva un ottimo repertorio di libri e riviste di argomento chimico. Se si passano in rassegna anche soltanto i volumi espressamente dedicati alla chimica presenti nella Biblioteca di Casa Leopardi ne risulta una scelta di testi aggiornati, uniti a manuali e a opere ormai classiche. Sono presenti, tra gli altri, la prima edizione italiana del Trattato elementare di Chimica (1791) di Antoine-Laurent Lavoisier, la seconda edizione veneta degli Elementi di fisica sperimentale (1796) di Giuseppe Saverio Poli e Vincenzo Dandolo, la prima edizione degli Elementi di chimica (1795-98) di Luigi Valentino Brugnatelli, la Chimica applicata alle arti (1820) di Jean-Antoine Claude Chaptal, il Corso di chimica (1700) di Nicolas Lémery, la Chimica sperimentale e ragionata (1781) di Antoine Baumé, il Corso di chimica secondo i principii di Newton e di Sthall (1750), nonchè gli «Annali di Chimica o sia raccolta di memorie, che riguardano la Chimica e le arti, che ne dipendono dei celebri de Morveau, Lavoisier, Monge, Berthollet, de Fourcroy, Dietrich, Hassenfrats, Adet, etc» (1799). Da segnalare inoltre la presenza della fortunata opera divulgativa di Giuseppe Compagnoni Chimica per le donne (corrispettivo per la chimica del Newtonianismo per le dame di Francesco Algarotti).

Le Dissertazioni filosofiche offrono il migliore saggio delle letture chimiche del tredicenne Giacomo. È necessario almeno richiamare le dissertazioni Sopra l’attrazione, Sopra l’estensione, Sopra l’idrodinamica, Sopra i fluidi elastici, Sopra la luce e Sopra l’elettricismo, che testimoniano l’acquisizione di un sapere chimico non superficiale, collocato nel quadro di un deciso distacco dalle concezioni metafisiche di una natura aristotelicamente “sostanziale” e di una piena e convinta adesione al sistema fisico newtoniano.

Il sapere chimico di Leopardi si dispiega esemplarmente nella dissertazione Sopra l’estensione, che discute le dispute ancor vive sull’esistenza del vuoto e i problemi connessi alla dimensioni, alla penetrabilità, alla divisibilità e alla figurabilità della materia. A proposito della divisibilità, Leopardi introduce una visione molecolare dei corpi («Ciascun corpo è formato di particelle, e di molecole unite insieme per mezzo dell’affinità di aggregazione, di cui sono dotate»; G. Leopardi, Dissertazioni filosofiche, a cura di Tatiana Crivelli, Antenore, Padova 1995, p. 163) che non esclude il concetto “geometrico” di divisibilità all’infinito. Richiamando un’argomentazione proposta in uno dei principali manuali di riferimento – i ricordati Elementi di Fisica sperimentale di Poli e Dandolo –, che avrà un ruolo determinante per la fissazione della cultura chimica leopardiana, il giovane Leopardi discute sulla divisibilità indefinita dei corpi, seguendo la propria curiosità descrittiva e sperimentale. In questo contesto va sottolineato il ruolo di una nota di Dandolo, riportata da Leopardi e intesa così integralmente da individuare il ruolo ossidante dell’ossigeno, in piena sintonia con la teoria di Lavoisier. Inutile ricordare che a questa data (1811) sono davvero pochi i chimici italiani che accettano integralmente la nuova nomenclatura lavoisieriana. Peraltro, l’attenzione di Leopardi si addensa sulla chimica dei fluidi dimostrando sensibilità per l’indagine sulle 'arie', sull’acqua e sui processi di ossidazione, ambiti cruciali della nuova chimica.

La presenza della chimica nelle Dissertazioni testimonia l’interesse del giovane Leopardi per la svolta teorica e terminologica promossa da Lavoisier, prontamente recepita nel suo rilievo linguistico e metodologico, non circoscritto soltanto alla chimica, e per il rapporto tra scienza e tecnologia, ben evidente nella ricerca di un costante abbinamento tra presentazioni teoriche e descrizioni di esperimenti e di strumenti. Si tratta di indicatori sicuri di una maturazione di pensiero che sfocerà in una riflessione linguistica e metodologica di largo peso nella poetica e nella filosofia leopardiana, esemplificabile nella nota distinzione fra termini (scientifici) e parole (poetiche).

La filosofia chimica di un poeta

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Se ci si allontana dalle Dissertazioni e si tralascia – per una scelta obbligata – il non ancora edito Compendio di storia naturale (1812), i riferimenti alla nuova chimica tornano a essere significativi in alcune pagine dello Zibaldone.

Innanzitutto va segnalato l’ambito di riflessione logico-linguistico. I pensieri relativi a combinazioni e strutture linguistiche fanno leva anche sulla ricognizione dei composti operata dalla nuova chimica e di conseguenza sulla sua riforma della nomenclatura. Leopardi aveva colto con sicurezza nelle letture di riferimento delle Dissertazioni, e soprattutto nell’opera di Vincenzo Dandolo, la rilevanza del tema della riforma della nomenclatura chimica proposta dalla côterie di Lavoisier, che tocca un aspetto centrale della riflessione illuministica sul linguaggio – sviluppato tra gli altri da Pierre-Louis Moreau de Maupertuis e da Étienne Bonnot de Condillac –, ovvero quello dell’arbitrarietà del segno linguistico unita al carattere puramente analitico e razionale delle lingue moderne. Per Condillac l’arte di ragionare diviene un aspetto della comunicazione linguistica il cui significato più profondo risiede nella corporeità umana. Su questa base si muove Lavoisier, il quale riteneva la scienza una “lingua” atta alla comprensione oggettiva dei fenomeni e si proponeva di costruire una lingua della nuova chimica per facilitarne le operazioni sperimentali e mentali, secondo coerenti procedure argomentative sostenute da continue prove sperimentali. In questo quadro – rafforzato in modo rilevante dalla lettura degli Elementi d’Ideologia di Destutt de Tracy nell’edizione curata da Compagnoni (1817) – si inserisce quello che diverrà un nucleo forte della sua teoria estetica e linguistica: la distinzione fra «parole», vaghe ed espressive, e «termini», univoci e rigorosi, quale è attestata nello Zibaldone. Proprio discutendo intorno al ruolo dei «termini», segni linguistici che esprimono una simbolizzazione analitica, Leopardi riconosce il necessario legame fra argomentazione razionale e scientifica, e precisione terminologica. Si tratta del pensiero del 30 aprile 1820 (Zib 109-111/30. Aprile 1820.) in cui viene operata la distinzione tra «termini» e «parole».

Sul problema della metodologia della conoscenza scientifica e correlativamente filosofica appare importante e complessivo il lungo scritto del 26 giugno 1821 (Zib 1213-1229), che richiama in causa il ruolo del linguaggio nella conoscenza della natura. Le potenzialità di astrazione e di conoscenza razionale della lingua della scienza vengono esemplificate con un espresso riferimento alla nuova terminologia chimica introdotta da Lavoisier. In queste pagine dello Zibaldone da un lato emerge la sicura e convinta percezione che il valore della nuova chimica risieda nell’introduzione della nuova nomenclatura, dall’altro l’adesione a una visione “linguistica” (direi quasi kuhniana) del razionalismo scientifico secondo la quale il mutamento di paradigmi linguistici delle scienze comporta di per sé un profondo rinnovamento teorico.

Il richiamo al sapere chimico trova spazio in un altro ordine di riflessioni, relativo alla storia delle scoperte e al loro carattere sostanzialmente casuale e favorito dalla lettura da un noto libro di Louis Dutens sulle origini antiche delle scoperte moderne (L. Dutens, Origines des découvertes attribuées aux modernes, 2 voll., Veuve Duchesne, Paris 1776); si tratta di un’opera molto seguita da Leopardi nella sua riflessione relativa alla querelle des anciens et des modernes, che contiene anche alcuni elementi di confronto tra la chimica degli antichi e quella dei moderni, che sicuramente Leopardi tenne presenti. Fra il marzo 1821 e l’agosto 1822 viene ribadito cinque volte che le invenzioni e le scoperte dell’umanità sono frutto del caso. Tale interpretazione generale dello sviluppo storico della scienza e della tecnica mette anche in discussione il valore dello sviluppo razionale della chimica moderna: la nuova chimica non sarebbe nata senza l’emergere di singole scoperte casuali e parallelamente nell’antichità si sono conseguite importanti scoperte pur senza le adeguate cognizioni razionali (cfr. Zib 2605-2606/10 agosto 1822).

Secondo Leopardi, la rigorizzazione dei principi cognitivi della nuova chimica, correttamente valutata come il suo principale carattere distintivo, non ha condotto a nuove e significative scoperte, confrontabili con le grandi scoperte dell’antichità (come la scoperta della polvere fulminante non è confrontabile con quella della polvere da sparo); naturalmente tale affermazione sarebbe uscita ridimensionata dopo l’esplosione di scoperte e applicazioni chimiche prodottasi nel secondo Ottocento.

Dedichiamo soltanto un cenno a una traccia chimica presente in un Canto – la Palinodia al Marchese Gino Capponi (primavera 1835) – dove leggiamo: «e co’ fulmini suoi Volta né Davy / lei [la legge secondo la quale chi possiede «imperio e forze» ne abusa per dominare] non cancellerà», vv. 82-83). Qui Leopardi asserisce che una fatale legge naturale prevale sulle nuove, esemplari, scoperte elettrochimiche di Alessandro Volta e Humphry Davy, che tuttavia rimangono impotenti dinanzi al dominio della natura.

Ma il luogo privilegiato della filosofia chimica si trova nelle Operette morali ed è racchiuso nel denso “saggio di filosofia naturale” costituito dal Frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco (autunno 1825). Qui Leopardi richiama l’esistenza di «una o più forze proprie» della «materia in universale», che si possono «congetturare ed anco denominare dai loro effetti, ma non conoscere in se»; tali forze possono poi essere da noi distinte «con diversi nomi», ma risultare in realtà una stessa e medesima forza, la «forza della materia», che «muovendola» «ed agitandola di continuo, forma di essa materia innumerabili creature, cioè le modifica in variatissime guise». Nel nostro mondo «la distruzione è compensata continuamente dalla produzione» e tale continua formazione e distruzione delle «creature» è segno dell’incessante forza della natura, dei «continui rivolgimenti della materia», che producono e distruggono «infiniti mondi nello spazio infinito dell’eternità». Tale universale dinamismo cosmico possiede più di un’assonanza con le filosofie chimiche che sostenevano la convergenza delle forze chimiche, elettriche e magnetiche, che, unite alla più consolidata forza di attrazione universale, venivano variamente intese come aspetti di una medesima forza che muove tutti gli esseri naturali, organici e non. L’esempio migliore di tale “filosofia chimica” è quello fornito da Domenico Paoli nelle Ricerche sul moto molecolare dei solidi (Annesio Nobili, Pesaro 1825), riconosciute come una possibile fonte del Frammento. Al di là dell’attendibilità specifica dell’ipotesi rimane sicuro un richiamo solido e meditato alla “filosofia chimica”, che costituisce una delle radici più profonde del materialismo ‘stratonico’ leopardiano, nel segno di una continuità di interessi che dagli esercizi di studio e di lettura delle Dissertazioni giovanili si consolida con la lettura di saggi chimici innovativi e con la frequentazione diretta di chimici che uniscono all’aggiornamento disciplinare una buona dose di conoscenze filosofiche e una non episodica vocazione letteraria. (continua)

Le affinità elettive con gli "amici chimici"

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Alle letture e alle meditazioni zibaldoniche sulla chimica Leopardi ha unito rapporti diretti con tre chimici – Domenico Paoli, Francesco Orioli e Gaetano Cioni – che divennero amici anche fraterni.

Il fisico e medico conte Domenico Paoli (Pesaro, 1783 – 1853), conterraneo di Leopardi e amico di famiglia (è in relazione anche con il cugino Terenzio Mamiani della Rovere), ebbe legami stretti e amichevoli con Leopardi, che a partire dal 1827 favorì i contatti dell’amico con l’ambiente accademico pisano e con il circolo fiorentino del “Gabinetto Scientifico-Letterario” di Giovan Pietro Vieusseux, nel giornale del quale (l’Antologia) Paoli pubblicherà varie note. Prima della conoscenza diretta di Paoli Leopardi lesse la sua opera più nota, le ricordate Ricerche sul moto molecolare dei solidi, che fornivano una sintesi fisico-chimica delle scienze naturali a partire dalla centralità del movimento, proprio non soltanto degli esseri viventi, ma analogicamente rintracciabile anche nelle trasmutazioni chimiche dei minerali. Il fine dell’opera di Paoli è quello di connettere intrinsecamente, nel quadro di un dinamismo universale, l’attrazione planetaria con l’affinità chimica, estesa ai fenomeni organici.

Accanto a Paoli va collocato per “affinità elettiva” il ‘bolognese’ Francesco Orioli (Vallerano, Viterbo, 1783 – Roma, 1856). Ricordato con stima nel libro di Paoli, Orioli ottiene presto la cattedra di Fisica generale e particolare nella Facoltà di filosofia di Bologna (1815). La conoscenza reciproca con Leopardi ha una prima radice nella comune cultura umanistica, sempre presente – va rimarcato – nei profili intellettuali degli scienziati italiani di fine Settecento: entrambi pubblicano due note in latino, relative all’edizione di Angelo Mai del De Republica di Cicerone, nelle pagine immediatamente successive della stessa rivista. Un’altra concomitanza che avvicina Orioli a Leopardi è la comparsa sullo stesso volume del «Bollettino universale di scienze lettere ed arti» del 1825 della recensione alle Canzoni del 1824 (attribuita allo stesso Orioli) e di un breve scritto intitolato Scoperta graziosa ed interessante del Prof. F. Orioli che descrive un fenomeno elettrolitico.

Grazie a Giacomo Tommasini, amico intimo di Leopardi, Orioli viene presentato a Vieusseux, collabora con l’«Antologia» e diviene socio corrispondente dell’Accademia dei Georgofili. La sua brillante carriera verrà interrotta dall’attiva partecipazione ai moti del 1831, dopo i quali sarà costretto all’esilio a Corfù, dove otterrà la cattedra di fisica presso la locale Università. Tornato in Italia insegnerà storia e archeologia all’Università di Roma. Orioli si muove da specialista sia nell’archeologia (con una predilezione per l’etruscologia, apprezzata da Leopardi), sia in scienze naturali. Oltre agli scritti archeologici, nella Biblioteca Leopardi è presente l’opuscolo De’ paragrandini metallici (Marsigli, Bologna 1826), che testimonia di un interesse per le nuova tecnologia recepito con una citazione indiretta da Leopardi nell’operetta Proposta di premi fatta dall'Accademia dei Sillografi. Dopo la morte di Leopardi anche Orioli, come Paoli, parteciperà ai primi Congressi degli scienziati italiani.

Almeno uno scritto chimico lega direttamente Orioli, Paoli e Leopardi: si tratta del breve articolo Sopra la composizione Chimica de’ principali materiali immediati del regno organico («Raccoglitore Medico» di Bologna, 1828-29) apprezzato da Paoli nel Capitolo XV della seconda edizione delle Ricerche sul moto molecolare dei solidi (Stamperia Granducale, Firenze 1840), nel quadro della «dottrina delle proposizioni determinate», ovvero della nuova chimica lavoisieriana. Nella sua ultima parte lo scritto ha un suo valore per il tentativo di descrivere la fisiologia vegetale dei composti organici sulla base della chimica atomica  lavoiseriana.

Ma il più intimo amico chimico di Leopardi, affezionato compagno del periodo più bello della vita del poeta, quello pisano, fu Gaetano Cioni (Firenze, 1760 – 1851). «Il Dottor Cioni» è inserito nel mondo sociale e accademico: ha frequentato il collegio Medico-Fisico dell’Università di Pisa, è stato per un breve periodo (dal marzo al giugno 1801) docente di Fisica sperimentale, ma ne è stato allontanato perché filo-francese dopo il ritorno dei Lorena nel Granducato, trasferendosi a Pistoia con un impiego presso una ferriera, dove ha realizzato esperimenti di ottica e di chimica industriale e ha collaborato all’Accademia pistoiese di Scienze e Lettere. Dopo aver incontrato Leopardi al Gabinetto di Vieusseux, del quale fu fino alla morte amico intimo e consigliere (collaborando attivamente all’«Antologia»), lo condusse con sé a Pisa nel novembre 1827 e visse in contatto quasi quotidiano con il poeta durante il suo periodo pisano (9 novembre 1827 – 7 giugno 1828), passeggiando e discutendo con lui e introducendolo nell’ambiente universitario e culturale.

Sicuramente Leopardi apprezza la cultura chimica di Cioni – uno fra i primi divulgatori nel Granducato delle teorie chimiche di Torbern O. Bergman e di Lavoisier – e la sua capacità di unire agli studi scientifici un grande interesse letterario. Va anche segnalata la non marginale attenzione di Cioni per la letteratura, avviata con la pubblicazione di un manoscritto apocrifo attribuito a un presunto Giraldo Girardi; la fama letteraria fece sì che sia Alessandro Manzoni che Niccolò Tommaseo richiedessero la sua consulenza per la «risciacquatura in Arno» dei Promessi Sposi (con correzioni che furono per la maggior parte accolte da Manzoni) e del Nuovo Dizionario dei Sinonimi della Lingua Italiana.

Il principale scritto chimico di Cioni, composto insieme a Ferdinando Giorgi, riguarda la decomposizione dell’acqua (si tratta del Prospectus eorum commentarii circa aquae analysim a dd. Meusnier & Lavoisier, Parisiis, anno 1784 factam, Florentiae 1785). Al chimico fiorentino si deve anche la traduzione della prima edizione italiana (Trattato elementare ovvero principj di fisica, 7 voll., Jacopo Grazioli, Firenze 1791) del Traité élémentaire, ou principes de physique (3 voll., Montard, Paris 1789) di Brisson, presente nella Biblioteca Leopardi. Nell’Avvertimento del traduttore, apposto al tomo quinto della prima edizione veneta, si legge una chiara presa di posizione a favore della nuova chimica e della nomenclatura della côterie, che si appoggia espressamente sull’operato di Dandolo.

In un breve saggio composto insieme Pietro Petrini – Memoria sull’azione chimica dell’elettricità nella decomposizione dell’acqua (Per Giuseppe Tofani e Comp., Firenze 1805) – la ricerca di una «connessione delle verità» sviluppate insieme dall’osservazione e dall’analisi sembra così vicina alla ricognizione della complessità della natura prospettata da Leopardi in note pagine zibaldoniche da far supporre che nelle serate pisane i due amici discutessero anche di scienza e filosofia della natura.

Nel caso di Cioni, più ancora che in quello di Orioli e di Paoli, il contatto diretto, non attestato da riferimenti a pubblicazioni di rilievo, rimane racchiuso in un’intimità che non può essere squarciata. In ogni caso per letture, riflessioni e contatti personali sarebbe, in definitiva, parziale e discutibile ridurre il sapere chimico di Leopardi a una vicenda episodica e la sua ricostruzione a un esercizio retorico.